martedì 26 gennaio 2010

Déjà vu

Copione consueto, classico, sempreverde e nero.
Misto marcio in salsa d'abbandono.
Puzza di macerie e muffa
sono l'humus grasso di interesse e speculazione.
Portate agli assassini la bacinella per lavarsi le mani.
Dedicate una strada qualsiasi in una periferia del niente.
Spargete l'incenso e congedate l'orchestra.

Chiuso il sipario,
si comincia a contare
per dividere i proventi dell'emergenza.
Meno posto al cimitero,
più posti a tavola.

Buon appetito!


Taranto 13 maggio 1975
Sono le 14.30 del 13 maggio 1975. Nella città vecchia di Taranto crolla una palazzina di tre piani in Vico Reale. L’ennesimo crollo di una lunga serie. Muoiono 6 persone di cui tre bambini: Ettore, Teresa e Maria Palumbo, rispettivamente di 3, 5, 6 anni. Sono stati trovati dai soccorritori abbracciati accanto al nonno materno, Ettore Camerino di 70 anni.
Nella stessa palazzina troveranno la morte anche Addolorata Midea di 73 anni e Cosimo Larice di 81 anni: “si erano messi da poco a letto per il riposo pomeridiano e sono passati dal sonno alla morte.” (dalla Gazzetta del Mezzogiorno del 13 maggio 1975).
Saranno state le 14.30. Tre meno venti precisa qualcuno. Vico Reale a quell’ora è più calma del solito: pioviggina e neppure i bambini hanno voglia di starsene nel largo a giocare…. Lì come in tanti altri luoghi della città vecchia è rimasto solo il dialetto, poche anime, tante case squassate e cadenti. sembra che la vita si svolga in una condizione di morte imminente. E infatti in Vico Reale a quell’ora sta per compiersi una tragedia autentica.
Il vico è raggiungibile da Via Garibaldi: t’infili in vico San Gaetano e dopo aver attraversato il largo omonimo, la minuscola strada con annessa piazzetta ti si presenta davanti agli occhi. Una reggia. O almeno ad una reggia fa pensare il nome che a quella stradicciola, hanno affibbiato. Alle 14.30 in quella reggia c’è il cambio della guardia. Dalla vita si passa alla morte.
”( dalla Gazzetta del Mezzogiorno del 13 maggio 1975)
Al 14 maggio 1975 sono 210 gli appartamenti dichiarati pericolanti per altrettante famiglie pari a 1150 persone. Vico Reale ha sicuramente lasciato il segno a più di qualcuno.
Ma di questa tragedia passata, che ha lasciato tante ferite aperte, sofferenze e drammi irrisolti (dall’esodo degli abitanti di città vecchia a Paolo Sesto – alle case parcheggio – alle case della zona Bestat fino al problema del degrado socio-culturale della Città vecchia che vive ancor oggi in stato di abbandono…) cosa è rimasto nella memoria della città? (Labuat)

Crollo Favara, oggi i funerali delle bambine
Il sindaco: "L'amministrazione non ha colpe"
FAVARA (AGRIGENTO) - Si celebreranno questa mattina nella chiesa madre di Favara i funerali di Marianna e Chiara Bellavia, le due sorelline di 14 e 4 anni morte sabato nel crollo della loro abitazione. L'arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, ha fatto sapere che in segno di protesta non officerà le esequie: "sarò tra la gente a pregare - ha affermato il monsignore - ma non me la sento di parlare". Il suo malessere nasce dal fatto che considera quella di Favara una tragedia annunciata per via dell'assenza di interventi sulle case pericolanti e per la mancata assegnazione degli alloggi popolari.
Intanto stamattina è tornato a parlare, intervistato da "Mattino cinque", il sindaco del comune agrigentino, Domenico Russello: "Quelli di Favara - ha detto - sono problemi storici, analoghi a quelli di tutti i centri storici della Sicilia. Il problema non riguarda solo l'abitazione che è crollata. Negli ultimi due anni e mezzo, dal momento della mia elezione a oggi, ho fatto tutto quanto era nelle mie competenze. Abbiamo lavorato con il consiglio comunale per approvare lo schema di massima del Prg e abbiamo avviato il monitoraggio del centro storico. Non mi risultava un pericolo imminente di crollo - ha aggiunto Russello - né una segnalazione in tal senso. Se ci fosse stata l'ufficio tecnico comunale avrebbe ordinato lo sgombero e la demolizione".
E a chi parla di racket degli affitti, il primo cittadino risponde: "Si sta ingigantendo il problema, si stanno facendo speculazioni", inoltre "vorrei ricordare che si tratta sempre di un edificio privato, la cui diretta responsabilità e del proprietario non dell'amministrazione".
Ma la famiglia Bellavia aveva fatto domanda per un alloggio popolare? Il sindaco risponde: "L'aveva fatta nel 2003 ma è stata esclusa perché non ha fornito una serie di documenti che avevamo richiesto. Per quanto mi riguarda abbiamo fatto tutto quanto era di nostra competenza. Da quando sono stato eletto abbiamo completato la procedura per le graduatoria, individuando le 56 famiglie, sulle 390 che avevano fatto istanza, alle quali affidare l'alloggio". E ha concluso: "Il Comune è al limite del dissesto, non abbiamo nemmeno i soldi per pagare le bollette e l'ordinaria amministrazione" (La Repubblica).


La frana di Agrigento
Il 19 luglio del 1966, quarant´anni fa, l´Italia venne battuta uno a zero dalla Corea del Nord e fu eliminata dai mondiali di calcio. Una frana, titolarono i quotidiani sportivi. Lo stesso giorno un´altra frana avrebbe segnato in profondità l´Italia. Sconvolse Agrigento e solo per un accidente non provocò vittime, ma tanta paura e la diffusa impressione di quanto fragili fossero il territorio italiano e le basi su cui era fondata una crescita economica molto concentrata sul cemento. Nel novembre di quello stesso 1966 vennero le alluvioni di Firenze e di Venezia, e l´Italia, che pure aveva assistito alle tragedie del Polesine e del Vajont, iniziò ad abituarsi ai disastri che avevano solo in parte cause naturali.
Il direttore generale dell´Urbanistica, Michele Martuscelli, aiutato da Giovanni Astengo, consegnò l´8 ottobre la relazione definitiva, dopo appena due mesi di lavoro. Quel testo emana un´energia potente: «Gli uomini, in Agrigento, hanno errato, fortemente e pervicacemente, sotto il profilo della condotta amministrativa e delle prestazioni tecniche, nella veste di responsabili della cosa pubblica e come privati operatori. Il danno di questa condotta, intessuta di colpe coscientemente volute, di atti di prevaricazione compiuti e subiti, di arrogante esercizio del potere discrezionale, di spregio della condotta democratica, è incalcolabile per la città di Agrigento. Enorme nella sua stessa consistenza fisica e ben difficilmente valutabile in termini economici, diventa incommensurabile sotto l´aspetto sociale, civile ed umano».
Martuscelli tracciava la storia del dissesto urbano di Agrigento. Era latto daccusa contro un´intera classe dirigente locale.
La relazione si concludeva con un capitolo di proposte. Alcune riguardavano Agrigento, altre l´intero territorio nazionale, perché Agrigento era l´emblema del dissesto urbano in Italia. Martuscelli chiedeva che amministratori e costruttori della città siciliana rispondessero delle loro condotte (un processo si celebrò nel 1974, ma tutti gli imputati finirono assolti con formula piena).
L´allarme lanciato dall´estremo lembo siciliano spinse Mancini a far approvare, nell´estate del 1967, un disegno di legge che diventerà noto come "legge ponte".
limitava le possibilità di edificazione nei comuni che non si erano dotati di strumenti urbanistici (il 90 per cento, allora, dei comuni italiani) e cercava di incentivare la formazione dei piani. Per i comuni inadempienti era previsto l´intervento sostitutivo degli organi dello Stato. Un´altra delle innovazioni riguardava i cosiddetti standard urbanistici, cioè le quantità minime di spazio che ogni piano doveva riservare all´uso pubblico, stabilendo che ciascun cittadino aveva diritto a un minimo di 18 metri quadrati di spazio (per asili nido, scuole, attrezzature culturali, assistenziali, amministrative, religiose, sociali, sanitarie, parcheggi pubblici, verde, gioco e sport).
dibattito parlamentare fu approvato un emendamento dei liberali che fece slittare di un anno la sua entrata in vigore: e così dal 1° settembre 1967 al 31 agosto 1968 l´Italia fu invasa da licenze edilizie (in quei dodici mesi vennero rilasciate concessioni per 8 milioni e mezzo di vani, quasi il
triplo della media annuale). (Francesco Erbani, La Repubblica extra, 14 luglio 2006)

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