Ci sarebbe tanto, ma una cosa è più evidente delle altre: il cortocircuito interno-esterno del nostro ambiente quotidiano.
Questo fenomeno fa sì che attraversiamo lo spazio di una delle più brutte e venefiche città italiane (e finiamola con 'sta capitale della Magna Grecia!) senza batter ciglio, in totale attegiamento di indifferenza, blasè.
Non ci stupisce la sporcizia per le strade, il disordine civile della condotta di automobilisti, passeggiacani, abusivi, sputacchioni ecc. che farebbero rizzare i capelli a chiunque provenga da luoghi vivibili.
Non ci preoccupiamo più di tanto delle contaminazioni da camera a gas rilevate nella nostra aria dall'Arpa o dalla diffusione tragica di mali di origine ambientale (tumori, asma, allergie, intolleranze, demenza).
Il nostro ambiente reale è quello delle quattro mura domestiche, dove ci coccoliamo di beni di consumo fino all'indebitamento, rimuoviamo le polveri con costanza maniacale, irroriamo profumi ed essenze, moltiplichiamo i filtri e le chiusure con l'esterno in modo da avvertire con maggior stupore il contrasto.
Rispondiamo solo di casa nostra!
E' lì che temiamo il giudizio di ospiti, amici e conoscenti perchè ne siamo responsabili direttamente.
L'esterno è pubblico, è di tutti, mica mio!
Se ho una casa in campagna, per esempio, ci costruisco tutti gli annessi (abusivi) per renderla una reggia, butto acqua potabile a vanvera per innaffiare le palme in modo che crescano rigogliose anche a Martina, scavo un buco qualsiasi e lo uso come pozzo nero a perdere, mi chiudo dietro un bel cancello scorrevole col telecomanto e mi recingo con un finto muretto a secco fatto con pietre africane e anima in cemento armato (così dura in eterno e non ci vanno dentro le schifosissime lucertole): la cosa importante e sollazzarsi e fare bella figura con gli amici. Fuori, a due passi: ruderi, incendi, strade bucate, cani randagi...
L'esterno insomma è altra cosa, non è mio! La mia città è una dimensione che si esaurisce sull'uscio di casa, non posso fare niente oltre quella soglia, al limite mi accontento di qualche angolo rimasto decente per organizzare una passeggiata ogni tanto (sperando che nel frattempo non ci abbiano costruito una casa o scaricato un camion di eternit!)
Ma quali sono le tendenze mondiali?
Beh, a parte la millenaria civiltà norditaliana e nordeuropea che restano pur nella loro concretezza il nostro irrisolvibile complesso del pene, in Giappone, il Paese dove da sempre la dimensione domestica è considerata un luogo a parte dall'esterno, sta scoprendo l'unità ambientale tra dentro e fuori e sperimenta qui in Italia, a due palmi dal nostro naso, la creazione dell'esterno nell'interno in vista di un mondo (non il nostro) nel quale sentirsi serenamente a casa!
Padiglione Giapponese a Venezia
Archiportale
Sono un architetto “scapigliato” e un professore emerito dell’Università di Tokio a rappresentare quest’anno il Giappone alla 11ª Biennale di Venezia.
Il primo, Junya Ishigami, ha lavorato per lo studio SANAA, ed è ben noto per i suoi avanguardistici progetti-installazione, al confine tra arte e architettura. Il secondo, Hideaki Ohba, è nato a Tokyo nel 1943, ed ha condotto ricerche in area botanica praticamente in tutto il mondo, dall’Himalaya al Deserto del Sahara.
Il lavoro coordinato dei due ha messo in luce alcune delle attuali tendenze speculative nell’architettura d’avanguardia giapponese. Anzitutto Ishigami ha scelto di ricorrere ad un “metodo alternativo” per presentare i suoi progetti. Bypassando le modalità espositive più tradizionali, dove i progetti vengono riprodotti attraverso modelli, immagini e disegni, l’architetto ha presentato i suoi lavori in scala 1:1.
Si tratta di piccole serre dalle pareti in vetro che circondano tutto il padiglione Giappone. La scelta di un volume di tal fatta non è una casualità: in omaggio al Crystal Palace, prima sede dell’Esposizione Internazionale, ed alla portata rivoluzionaria dei lavori che in esso erano esposti, Ishigami ha scelto di progettare delle serre in vetro. “Per pensare all’architettura del futuro è necessario guardare indietro”, ha asserito l’architetto.
Il lavoro di Ishigami è decisamente metafisico e rimarca la necessità di superare il tradizionale modo d’intendere come sinonimi, o quasi, i concetti di “costruzione” ed “architettura”. Il progettista gioca sull’idea di pieno e vuoto, interno ed esterno, interiore ed esteriore, reale ed apparente e su quanto possano essere labili i confini tra gli opposti.
Per fare questo, il progettista ha stabilito delle particolari condizioni. Anzitutto nel padiglione non ci sono barriere fisiche o sbalzi climatici che possano in qualche modo differenziare l’interno dall’esterno della mostra, evitando così che le sale vengano immediatamente percepite come “ambiente artificiale”.
La precarietà del confine “dentro-fuori”genera un’ambigua miscela di elementi ambientali, ulteriormente amplificata dalla varietà di vita vegetale presente nelle serre, accuratamente selezionata da Hideaki Ohba, che differisce da quella già presente attorno al padiglione e che, proprio per questo, genera un leggero disturbo nella percezione del paesaggio del parco.
Il risultato finale è che, paradossalmente, lo spazio interno alle serre, con il loro volume trasparente, come “pieno d’aria”, è avvertito dal visitatore a mò di spazio esterno, al contempo lo spazio esterno appare come “paesaggio interiore”, mentre l'interno del Padiglione, quasi vuoto, mette a nudo la struttura originaria dell’area espositiva.
Uno spazio doppio, ibrido, emozionale ed ossimorico, dove gli opposti coesistono. Questi i presupposti dell’architettura del futuro secondo il Giappone alla Biennale 2008.
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