Da Armani a Berlusconi. Da Micheli a Caltagirone. In questo momento hanno la cassaforte piena. Ecco a cosa puntano
Vittorio Malagutti su L'Espresso
Cash is king in recession, raccontano i grandi gestori di patrimoni con l'aria di chi cerca uno spiraglio di luce nel buio dell'economia mondiale. Traduzione: se le Borse hanno perso la bussola e le banche chiudono i rubinetti del credito, l'unico salvagente è la liquidità. Lo sanno bene imprenditori e finanzieri. Ai tempi della bolla, era conveniente crescere a suon di acquisizioni pagate a debito, perché il denaro girava alla grande e costava poco. Ora invece vince il cash. Chi ha le casse piene di contante può investire senza piegarsi ai tassi stellari imposti dai banchieri, a loro volta in difficoltà. Meglio ancora. Dopo il crollo delle scorse settimane, molte società quotano a prezzi d'occasione sui mercati azionari. Grandi affari in vista, allora, ma solo a patto di disporre di un'adeguata riserva di liquidità. È lo scenario ideale per i colpi di mano in Borsa. A Roma, forse esagerando, Silvio Berlusconi ha lanciato l'allarme sul rischio di un assalto straniero alle aziende strategiche per il sistema Italia (banche, energia, telecomunicazioni). Sarà. Ma anche dalle nostre parti non mancano certo gli imprenditori che dispongono di un arsenale ben fornito di contante.
In prima fila c'è lo stesso Berlusconi, questa volta nei panni di proprietario della Fininvest. La holding di famiglia, guidata dalla figlia Marina, può contare su fondi liquidi per almeno un miliardo, a cui vanno aggiunte ulteriori disponibilità per centinaia di milioni in cassa alle sette società finanziarie che tirano le fila del gruppo. Poi ci sono i petrolieri come i Moratti e i Garrone, che prosperano sugli utili d'oro garantiti dal boom del prezzo del greggio. A cui, per i Moratti, vanno aggiunti i proventi del recente (maggio 2006) sbarco in Borsa che ha fruttato oltre 1,5 miliardi. Nelle posizioni di vertice di un'ideale classifica dei superliquidi troviamo anche un simbolo del made in Italy come
Giorgio Armani. La sua holding, a fine 2007, aveva oltre 300 milioni in cassa. Altri nomi di peso sono usciti allo scoperto su Alitalia.
Emilio Riva, forse il più liquido di tutti, è stato tra i primi a rispondere all'appello berlusconiano, mettendo sul piatto un centinaio di milioni per il salvataggio della compagnia aerea. Una novità per un tipo come lui, da sempre allergico alle cordate e agli investimenti puramente finanziari. Negli ultimi anni l'industriale siderurgico milanese, uno dei big mondiali del settore con la sua Ilva, è riuscito ad aumentare le sue già cospicue fortune grazie alla crescita dei prezzi dell'acciaio. L'anno scorso il suo gruppo ha realizzato profitti lordi per quasi 2 miliardi su 10 miliardi di giro d'affari. Riva non corre da solo.
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