martedì 28 ottobre 2008

Interrogazione parlamentare ILVA

Ilva, se tra i tecnici dell'Ambiente volano gli stracci
Occhi puntati sul ministero dell’Ambiente che entro il 31 marzo del 2009 dovrà rilasciare l’autorizzazione integrata ambientale per consentire all’Ilva di Taranto di proseguire l’attività. La regione minaccia di dare parere negativo alla procedura (oltre che di emanare una legge che fissi livelli di emissione sensibilmente più bassi di quelli attuali), ma la battaglia di Taranto è stata finora soprattutto tra tecnici: e in attesa delle decisioni di marzo che stabilirà se sia accettabile la richiesta presentata dall’azienda per lo stabilimento con una capacità di produzione di acciaio pari 15 milioni di tonnellate all’anno, il braccio di ferro istituzionale continua. Ad aprire le ostilità era stato qualche mese fa il ministero dell’Ambiente che in una lettera aveva bollato come inutilizzabili i dati forniti dall’Agenzia regionale per l’Ambiente, l’Arpa Puglia. “Le campagne di monitoraggio effettuate non possono essere ritenute valide ai fini dell’individuazione di specifiche criticità ambientali e quindi della possibilità di imporre limiti più restrittivi rispetto a quelli definiti dalle norme o raggiungibili con le migliori tecniche disponibili”. La spiegazione fornita dal ministero dell’Ambiente è riassumibile così: il monitoraggio effettuato nel 2005 e nel 2006 non risponde ai requisiti del codice dell’Ambiente, il decreto legislativo 152 del 2007. Contro-risposta dell’Arpa: a fronte di una evidenza scientifica così univoca (si cita uno studio internazionale del ministero della Salute), appare persino “eticamente discutibile negare la criticità ambientale sulla base degli storici ritardi di un ente di controllo (la stessa Arpa Puglia, ndr) che non è stato sinora in grado di rispettare in modo formale una normativa (nella fattispecie il D.Lgs. 152/2007) che, tra l’altro, non è esplicitamente indicata nelle procedure Aia”.

Ma il braccio di ferro tra il ministero dell’Ambiente e l’Arpa Puglia non finisce qui, perché l’agenzia regionale rilancia anche sui tempi del cronoprogramma presentato dall’Ilva nell’ambito della realizzazione di tutte le opere di ambientalizzazione la cui conclusione è prevista per il 2014. Un piano non ancora noto nel dettaglio “ma hanno cominciato con molta calma rispetto ai tempi dei precedenti accordi” - annotano i tecnici dell’agenzia regionale - che prevede la costruzione di un impianto (quello, per inciso, che prevede l'aggiunta di "urea" al processo produttivo) che deluderà le aspettative. In occasione della terza campagna di monitoraggio delle emissioni l’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente aveva relazionato in questi termini al ministro dell’Ambiente: “Le rilevazioni effettuate (…) contestualmente all’applicazione da parte del gestore dell’impianto di un’aggiunta di urea al materiale alimentato alle due linee, hanno evidenziato concentrazioni Pcdd/f mediamente più basse rispetto a quelle rilevate nelle due campagne precedenti. Tali concentrazioni tuttavia rimangono più alte rispetto ai valori conseguibili dopo l’adozione delle Bat e adottati quali valori limite alle emissioni in altri paesi europei e nella stessa Italia”.

Neanche l’urea dunque (che in natura si trova nel sangue oltre che nella pipì ma che sintetizzata industrialmente viene utilizzata anche come componente principale di un additivo utilizzato per abbattere le emissioni inquinanti di ossidi di azoto) riuscirà ad abbattere completamente le emissioni dell’Ilva: si potrà arrivare a dimezzare le emissioni (da 7,5 a 3,5 nanogrammi per metro cubo), ma resterà moltissima strada da fare per lo stabilimento, al secondo posto tra quelli maggiormente inquinanti in Italia e che da solo produce circa il 90 per cento del totale della diossina prodotta a livello nazionale, oltre che quasi il 9 per cento del totale delle emissioni prodotte in sede europea. Queste le stime dell’inventario nazionale delle emissioni e loro sorgenti (Ines). Ma la strada da fare per l’Italia è tanta anche per quel che riguarda le norme sui limiti di emissione: il nostro Paese ha fissato questo limite a 100 nanogrammi per metro cubo, un’enormità rispetto a quello adottato in Germania in cui si è scesi a 0,1. In Europa il limite indicato dal 1996 è 0,4, mentre il Protocollo di Aarhus, recepito anche dall'Italia, impone ai Paesi membri di adottare le migliori tecnologie per portare le emissioni a 0,4-0,2 nanogrammi. Ma l’obbligo sarà vigente solo nel 2014. Nel frattempo la diossina avrà continuato ad accumularsi con buona pace dei tarantini e dei tecnici dell’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente che suggeriscono: a Servola, Trieste è bastato un decreto del dirigente regionale Ambiente e lavori pubblici per risolvere il problema delle emissioni alle acciaierie Lucchini. Un provvedimento che ha imposto al siderurgico, pena la chiusura, di rispettare i limiti europei: in due anni il miracolo con la diossina abbattuta fino a 0,1 nanogrammi.

Intanto l'Ilva sbarca in Parlamento con un'interrogazione al ministro dell'Ambiente dei senatori del Pd Roberta Della Seta, capogruppo nella commissione Ambiente di Palazzo Madama e Gianrico Carofiglio. La richiesta è quella di avviare “immediatamente” un'indagine sui reali livelli di inquinamento addebitabili all'Ilva. “Taranto – spiegano - ha due impianti, l'Ilva e la centrale elettrica ex-Edison, che si collocano al secondo e terzo posto nella 'classifica' degli impianti industriali italiani che, con le loro emissioni di anidride carbonica, contribuiscono maggiormente all'aumento dell'effetto serra”. Le emissioni dell'Ilva verificate e aggiornate al luglio di quest’anno (e riferite al 2007) raggiungono infatti i 10.620.000 di tonnellate di CO2 è la società dovrà acquistare quote di emissioni pari a 1.630.000 per stare in regola con i meccanismi Ets (Emission trading system). In ogni caso domani la la quinta commissione permanente (ambiente, assetto ed uso del territorio), del consiglio regionale della Puglia si riunirà per ascoltare un rappresentante dell'Ilva di Taranto, il direttore dell'Arpa Puglia e l'assessore all'Ecologia, proprio sull'aumento dei valori di diossina dal camino E312 dello stabilimento.

... e intanto la famiglia Riva "scarica" colpe sul ministero dell'Ambiente

Altro colpo di scena all’ombra dell’Ilva di Taranto. Il presidente della società Emilio Riva ha preso carta e penna per chiedere al ministero dell’Ambiente di accelerare le autorizzazioni che consentirebbero di installare un impianto in grado di ridurre del 50 per cento le emissioni da diossina. Autorizzazioni, secondo il patron dell’Ilva, che languirebbero a Roma nonostante l’impegno della società in questo senso. “Del resto – scrive nella missiva riportata oggi nella pagine regionali di Repubblica - non c’è alcun ostacolo al rilascio di queste autorizzazioni: il piano di caratterizzazione, da tempo eseguito e consegnato al ministero, ha evidenziato che i terreni non sono contaminati e le analisi dell’Arpa confermano pienamente questa situazione”. La motivazione che spinge i vertici del colosso a sollecitare l’intervento del ministero dell’Ambiente (l’unico titolare al rilascio di autorizzazioni nel sito di interesse nazionale nel cui perimetro ricade l’Ilva) è evidente. L’amministrazione regionale è sul piede di guerra e ha minacciato di adottare una legge che imponga limiti di emissioni tali da determinare, in caso di mancato adeguamento, la chiusura dello stabilimento che – per inciso – dà lavoro a oltre 13 mila persone più quelli impiegate nell’indotto.

E’ necessario mettere immediatamente in funzione l’impianto ad urea che attraverso un procedimento tecnico sarebbe in grado di far scende la diossina da 7,5 a 3,5 nanogrammi a metro cubo”, dice al VELINO l’assessore regionale all’Ecologia Michele Losappio che però sottolinea: “La diossina dovrà scendere ancora e se sarà necessario faremo una legge regionale ad hoc che stabilisca che gli impianti pugliesi possano emettere fsotto al nanogrammo per metro cubo di diossina nonostante il Codice dell’ambiente consenta livelli di emissioni diversi. Vedremo a quel punto se il governo avrà il coraggio di sollevare un conflitto costituzionale”. Il limite fissato dall'Europa si aggira infatti sui 0,4 nanogrami per metro cubo mentre quello adottato in Italia è di 100 nanogrammi. Circostanza questa che non ha comunque impedito all'agenzia regionale per l'Ambiente, l'Arpa Puglia, in una relazione datata 29 luglio, di fornire una serie di indicazioni tecnico/normative da applicare agli impianti, come il monitoraggio periodico delle diossine dell'impianto di agglomerazione, l'installazione sul camino E312 (il camino dell'impianto di agglomerazione) di un sistema di campionamento continuo dei microinquinanti e un limite massimo pari a quello fissato dall'Europa, controllo delle ricadute al suolo, un abbassamento del limite massimo di polveri totali (Pts) del camino stesso dagli 80 ai 30 mg/Nm3. Del resto ricorda Losappio ripercorrendo la vicenda che si trascina ormai da anni “ora esistono dati certificati che non ammettono interpretazioni”. Ma guai a parlare di Ilva come pretesto di battaglia politica. “In passato Vendola ha scritto al ministro Pecoraro Scanio per denunciare tutta la vicenda e per sollecitare il governo alla modifica del Codice dell’Ambiente. E per tutta risposta, invece della modifica delle norme ci ha proposto un accordo di programma con l’azienda”. E la Prestigiacomo?. “Ci ha dato una risposta molto fredda: la modifica del codice non spetterebbe al governo ma al parlamento”.

In base all’accordo del 2006 la società si è fatta carico di impegni per 500 milioni di euro volti all’impiego delle migliori tecnologie quanto alla questione degli abbattimenti delle emissioni. “Alcune cose sono state già fatte come nel caso della copertura dei nastri di trasporto o la riduzione dei cumuli di carbone: ma francamente siamo perplessi sui tempi di attivazione dell’impianto per il dimezzamento delle diossine e più in generale del cronoprogramma che fissa al 2014 la conclusione delle opere di ambientalizzazione”. La partita dunque si sposta a Roma dove nei prossimi giorni dovrebbe tornare a riunirsi il gruppo istruttore che dovrà concedere entro il 31 marzo del 2009 l’Autorizzazione integrata ambientale, che serve allo stabilimento per proseguire l’attività. Un gruppo di lavoro coordinato da Bonaventura La Macchia e gestito da Massimo Conigliaro entrambi membri del comitato Ipcc. Sperando – sottolinea l’assessore all’Ecologia della regione Puglia - che nella prossima riunione giungano segnali positivi per il via libera alle autorizzazioni all’impianto all’urea sollecitate dalla società della famiglia Riva. “Soprattutto speriamo che i nostri interlocutori non ribadiscano l’impostazione che hanno avuto durante la prima riunione e cioè quella di metà ottobre: l’Ilva inquina, anche moltissimo, ma non secondo il Codice dell’Ambiente”.

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