martedì 24 giugno 2014

La classifica dei rami secchi universitari

Classifica qualita' delle universita': il Sud resta indietro

Nella classifica del Sole 24 Ore sulla qualità delle università italiane spiccano gli Atenei di Trento e Verona, oltre alle private Bocconi e Luiss. Il Sud fanalino di coda. Il Polo Jonico resta appendice di quello barese. Il dibattito sulla necessità di investimenti in direzione della formazione e della cultura appare fondamentale. "Abbiamo costruito l'Ilva a Taranto, - ha spiegato Daverio- quando nella città avvelenata dall'acciaio ci sono i suoi ori celebrati in tutto il mondo"

Il Sole 24 Ore stila la classifica dei migliori poli universitari. L’analisi sullo stato di salute della formazione in Italia vede gli istituti di eccellenza collocarsi al Nord e al Centro, mentre il Sud resta fanalino di coda. Il primato se lo contendono Verona, in cima negli indicatori di performance sulla ricerca e Trento, che raggiunge il Politecnico di Milano, tra i migliori sulla didattica. Al terzo posto si colloca l’Alma Mater di Bologna, e a seguire Padova, Politecnica delle Marche e la veneziana Ca’Foscari. A Milano la Bicocca si colloca meglio della Statale, mentre la Sapienza si attesta a metà classifica. Tra gli atenei non statali spicca il San Raffaele, seguito da Luiss e Bocconi al secondo posto. Gli indicatori di qualità relativi alla didattica e alla ricerca risultano comuni alle sedi piu’ importanti. A ciò vanno aggiunti: personale docente, puntualità degli iscritti e performance sui progetti di ricerca o sulla qualità dell’alta formazione.
Dall’indagine si profilano i limiti restituiti da un Sud ancora arroccato su se stesso che non riesce malgrado gli sforzi ad operare una differenza, dove, come spiega il quotidiano “l'emigrazione studentesca priva spesso le università degli studenti più motivati. La carenza di strutture si spiega anche con un livello di tasse universitarie molto più basso della media e anche la ricerca fatica a farsi davvero strada”. Sola eccezione Salerno, al 22esimo posto, mentre la gli atenei meridionali si concentrano nella seconda parte della classifica generale: Foggia e l'Orientale di Napoli al 34esimo posto, mentre le principali università napoletane si piazzano in fondo (la Federico II è alla casella 56, la Seconda università alla 58), mentre nessuna delle università del Centro-Nord si attesta negli ultimi 16 posti. Il quadro che emerge è di una parte del paese ancora arrancante, in affanno sia nell’offerta formativa a cui fa seguito un tasso di disoccupazione preoccupante che induce molti tra gli studenti più brillanti a cercare fortuna altrove, talvolta all’estero cosi come evidenziato dal trend degli ultimi anni.  
Il Polo universitario Jonico nato e “pasciuto” come costola barese resta atrofizzato, implode lamentando problematicità didattiche e strutturali, aspetto questo trascurato dall’amministrazione locale e declinata a più riprese nei consigli comunali. “Gli studenti svolgono le lezioni ancora in via Deledda solo nelle ore di luce – spiegava l’associazione studentesca Link Taranto in un documento distribuito lo scorso gennaio in Consiglio Comunale - in quanto il furto dei cavi di rame ha lasciato la struttura senza corrente elettrica, tutto questo in attesa di un nuovo trasferimento presso l’ennesima “sede provvisoria”. Lo sviluppo del Polo jonico dipende molto anche dalle azioni portate avanti dagli enti territoriali- ribadivano- In questo caso vi è sicuramente un impegno del Comune di Taranto il quale fornisce in comodato d’uso gratuito le strutture universitarie, investe nella loro ristrutturazione, fornisce delle unità di personale da impiegare nelle strutture universitarie, stanzia fondi. Il Comune non vigila però – concludevano - su come l’Università gestisce le strutture ad essa affidate”.
L’attenzione alla formazione e alla cultura come aspetto pregnante risulta imprescindibile per un’economia sana e uno sviluppo del territorio che non passi solo ed unicamente dai grandi insediamenti industriali. Come giustamente affermato dallo storico Philippe Daverio alla trasmissione Servizio Pubblico qualche tempo fa, “occorre partire dal riconoscere che fra templi greci arcaici, classici, edificazioni medioevali e invenzioni del barocco, il Meridione ha la più alta concentrazione del Mediterraneo. Le sei collezioni archeologiche delle principali città del Mezzogiorno sono da sole di un'importanza capitale: qualsiasi persona evoluta ci dovrebbe passare almeno una volta nella vita, come alla Mecca. Eppure sono in stallo. Perchè? Perchè piuttosto che investire su questa ricchezza fino a ieri puntavamo sulle fabbriche. A Melfi, in Basilicata, - ha sottolineato - abbiamo portato le automobili, anziché i turisti. Abbiamo costruito l'Ilva a Taranto, quando nella città avvelenata dall'acciaio ci sono i suoi ori celebrati in tutto il mondo. E sapete qual è la media di occupazione di alberghi in Sicilia? Due mesi: un insulto al patrimonio sterminato dell'isola. I nostri politici - prosegue - devono capire che Bagnoli a Napoli, l'Ilva a Taranto, la Fiat a Melfi sono strade sbagliate per definizione. La vera soluzione per il Sud – ha ribadito- è che diventi un grande serbatoio di beni culturali, di qualità di vita e di turismo, perchè queste forze messe insieme rendono molto più delle tre fabbriche che ho nominato moltiplicate per dieci. Anche in termini di occupazione. Dobbiamo immaginare uno sviluppo diverso per il territorio- ha concluso Daverio- Un futuro che dovrà passare necessariamente attraverso una potentissima operazione di restauro dei beni culturali, talmente vasta da assomigliare a un piano Marshall. Ecco si tratta d'impostare un piano Marshall per il Meridione”.
Un orizzonte questo ancora distante dagli attuali standard che vedono la cultura ancora appendice di un profitto possibile, di un’economia alternativa quando al contrario costituirebbe la risposta più esauriente ai maggiori dibattiti in termine di occupazione e sviluppo. Strategie di marketing queste inattuate e del tutto sottostimate, delegate al futuro incerto, nel frattempo gli esiti parlano chiaro, il Sud muore, non decolla, lasciando che i grossi colossi industriali costituiscano l’unica risposta plausibile alle problematicità del territorio, quando esse stesse sono causa e fonte delle difficoltà in cui versano. Ad oggi, comprendere questa differenza è sostanziale. (Cosmopolismedia)

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