lunedì 9 giugno 2014

Gnudità in salsa superfinanziaria

OGGI S’INSEDIA GNUDI. UN’ANALISI DELLA JP MORGAN RILEVA GLI INTERESSI IN BALLO SUL MERCATO EUROPEO DELL’ACCIAIO


Piero Gnudi si insedierà quest’oggi nel ruolo di commissario dell’Ilva. Il primo contatto con il mondo del siderurgico tarantino, avverrà però a Milano, dove si trovano la sede legale e l’ufficio acquisti della società. Nei prossimi giorni Gnudi incontrerà anche il sub commissario Edo Ronchi, che ha già minacciato le dimissioni ed il cui mandato scade domenica. E’ stato invece messo in agenda, probabilmente per la prossima settimana, la prima venuta a Taranto di Gnudi, che incontrerà le autorità locali e quasi certamente i sindacati metalmeccanici.
Intanto, grazie alla sempre preziosa ed impareggiabile collaborazione con il sito inchiostroverde.it, siamo entrati in possesso di un documento riservato ed al tempo stesso molto interessante, sui futuri scenari del siderurgico tarantino.
Si tratta di un’analisi pubblicata lo scorso 2 giugno dalla “JP Morgan Chase & Co.”, società finanziaria con sede a New York leader nei servizi finanziari globali, che serve più di 90 milioni di clienti. Una società dal curriculum non proprio immacolato, visto che nel 2012 la procura di New York denunciò per frode la scoietà “Bear Sterns e Emc Mortgage”, del gruppo JP Morgan, per la truffa dei mutui subprime, per la quale la società americana ha patteggiato un risarcimento di 13 miliardi di dollari. Le perdite della ‘Bear Sterns’ ammontano a 22,5 miliardi di dollari ed hanno provocato la disoccupazione di 7 milioni di persone negli Stati Uniti d’America e la crisi che da un anno imperversa in tutti i paesi d’Europa. Inoltre, la JP Morgan pagherà un risarcimento al governo statunitense e agli investitori, per aver manipolato il mercato energetico in California e nel Midwest fra il 2010 e il 2011, spacciando centrali elettriche in perdita per incredibili fonti di profitto.
Ora, al di là dei guai giudiziari della società, il documento sull’Ilva ha comunque una sua valenza. E l’incipit è sicuramente interessante, visto che si prende in considerazione l’ipotesi che l’Ilva Spa si avvii ad una sorta di ‘amministrazione straordinaria’, che consentirebbe sia la ristrutturazione della acciaieria che un cambiamento di gestione. Ricordiamo che tale ipotesi dovrebbe passare attraverso la “legge Marzano” del 2004, che prevede però come ogni società che voglia usufruire di tale possibilità, debba dichiarare lo stato di insolvenza finanziaria. Secondo l’analisi della JP Morgan, l’eventuale amministrazione straordinaria sarebbe, da parte del governo italiano, una mossa diretta soprattutto al soggetto controllante, la Riva FIRE. Questo perché anche la società americana esclude di fatto l’ipotesi che il gruppo Riva effettui in solitaria l’aumento di capitale ed investa le risorse necessarie anche per i lavori di risanamento.
A fronte di una sorta di “passo indietro” dei Riva, lo scenario che si aprirebbe sarebbe appunto quella di un’amministrazione controllata della società che comporterebbe una scissione tra la corrente debiti (che finirebbe in una sorta di bad company) e le attività di produzione (una sorta di new.co): tale situazione per la JP Morgan aprirebbe le porte “a nuovi investitori”.
Che come risaputo riguarderebbe tre gruppi: ArcelorMittal, Marcegaglia e Arvedi. Per la JP Morgan la logica commerciale “comporterebbe un grado significativo di sinergie tra ArcelorMittal e Marcegaglia, con Arvedi che mira ad un coinvolgimento che non può essere “isolato” dal potenziale partenariato Mittal-Marcegaglia”.
Guardando ai numeri, ovvero alle tonnellate di acciaio prodotte dall’Ilva, la JP Morgan ricorda come la società possieda anche “una moderna acciaieria zincatura a Novi Ligure, che viene utilizzato per l’industria automobilistica”, fattore che come abbiamo riportato nei giorni scorsi non è assolutamente secondario. La società americana ricorda come Marcegaglia acquisti ogni anno “2.7 Mt di acciaio piatto, di cui 1.5 Mt da Ilva nel corso del 2012 e 1 Mt nel 2013”. Una partnership con Mittal in una potenziale operazione Ilva, consentirebbe al gruppo Marcegaglia di acquistare un ulteriore milione di tonnellate dalla stessa Ilva, “liberando una parte di quello attualmente acquistato dall’acciaieria Mittal di Brema, che potrebbe essere venduto da Mittal nel mercato Nord Europeo”. In pratica, Marcegaglia acquisterebbe tutto dall’Ilva Spa, lasciando ad altri acquirenti ciò che oggi acquista dalla Mittal di Brema. Inoltre, una partnership tra Mittal e Marcegaglia potrebbe anche tradursi in una probabile ottimizzazione delle attività di laminazione a valle, producendo “un acciaio significativamente migliore nella distribuzione ai clienti finali, che è qualcosa per cui Ilva oggi è in ritardo rispetto ad altri competitor”. Ma l’acquisizione di una quota predominante nella società Ilva Spa, per la JP Morgan sarebbe una grande opportunità soprattutto per il gruppo indiano.
Sia per una migliore gestione delle materie prime (visto che venderebbe all’Ilva quelle dei suoi fornitori facendo un favore ad altre multinazionali), sia perché una partnership con Marcegaglia produrrebbe un’ottimizzazione degli asset sul mercato tedesco-italiano, visto secondo la JP Morgan il gruppo indiano guadagnerebbe posizioni in Ucraina e sul mercato europeo, sia perché consentirebbe alla Mittal di gestire al meglio le quote di mercato (per le leggi della concorrenza dell’Ue infatti, un’azienda non può occupare più del 40% del mercato), senza dover essere costretta a fermare i suoi impianti presenti in Francia, Belgio, Germania e Spagna. Infine, la sicura diminuzione della produzione dell’Ilva, andrebbe a ridurre la sovra capacità produttiva dell’acciaio registrata negli ultimi anni in Europa: “Nel nostro visualizzare un consolidamento dell’industria siderurgica europea meridionale (Mittal-Marcegaglia) avrebbe un impatto significativo e benefico per tutto il settore europeo dell’acciaio, sia in termini di prezzi e riduzione della produzione volatilità durante il ciclo di rifornimento-smaltimento”, conclude la sua analisi la JP Morgan.
Insomma, un affare che converrebbe a tutti. Tranne che a Taranto e ai tarantini. Che ancora una volta non hanno capito quanto sono grossi gli interessi in ballo. E che continuano a lasciar decidere agli altri del loro destino.
Gianmario Leone - g.leone@tarantooggi.it - TarantOggi

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