«Se l’acciaio non conviene l’Ilva può anche chiudere»
Bini Smaghi:«L’Italia non competiva nella siderurgia»«Se la siderurgia non è profittevole non deve essere tenuta in piedi. È un settore molto dipendente dal costo dell’energia e del lavoro, e l’Italia da questo punto di vista è poco competitiva ». Lorenzo Bini Smaghi, economista e banchiere per anni ai vertici della Bce, è stato ieri a Bari ospite della Fondazione Tatarella per presentare il suo libro «33 false verità sull’Europa». Quell’Europa con cui giornalmente fa i conti il Sud e adesso anche l’Ilva, dopo che uno studio della banca svizzera Ubs ha evidenziato che la chiusura dello stabilimento tarantino potrebbe risolvere il problema della sovracapacità siderurgica europea.
Le 33 false verità del suo libro mettono in luce un aspetto comune a tutti gli Stati della Ue: spesso l’Europa è lo scudo di protezione delle politiche nazionali. Ci fa qualche esempio concreto della «colpa di Strasburgo»? «A Strasburgo o Bruxelles vengono date le colpe di tutto quello che non funziona, a cominciare dalla disoccupazione e dalla bassa crescita. Si sente spesso dire che l’Europa ci ha tolto la sovranità, ma se si pensa a ciò che deve essere fatto per creare occupazione in Italia, in particolare eliminando gli ostacoli agli investimenti che derivano dall’eccesso di burocrazia, da una giustizia troppo lenta, da un mercato del lavoro inefficiente o dall’insufficiente ricerca e sviluppo, ci si accorge che gli strumenti sono tutti a disposizione degli Stati membri e non a Bruxelles».
Il Sud è spesso accusato, anche dai numeri, di non saper spendere i fondi europei. O, quando li spende, di spenderli male. Verità o bugia?
«I dati lo confermano. La Polonia spende il 100% dei fondi strutturali, noi meno della metà. La colpa, dunque, è solo nostra».
Quanto è importante, anche per la nostra vita di tutti i giorni, la discussione di queste ore sulla richiesta dell’Italia ai vertici europei di escludere dal deficit il cofinanziamento dei fondi Ue?
«La richiesta non ha molte possibilità di successo, perché comunque il debito è debito e si deve finanziare sui mercati, e il debito italiano è troppo alto e non scende. Per di più una parte rilevante dei fondi Ue viene usata in Italia per finanziare spesa corrente piuttosto che infrastrutture».
Cosa pensa dell’idea, che qualcuno sta avanzando, di avere due euro, uno per il Sud e uno per il Nord dell’Europa economica? «
Non ha alcun senso. Alla fine saremmo solo noi, forse con i greci. Gli altri Paesi, dalla Spagna al Portogallo, vogliono stare con i paesi piu avanzati, non con quelli con maggiori rigidità e che non vogliono fare le riforme».
Perché in Italia non è stato possibile colmare il divario (o anche solo ridurlo) fra le due aree a diversa velocità economica, Nord e Sud, come invece è riuscito o quasi alla Germania tra Este e Ovest?
«In Italia gli enormi trasferimenti a Sud non sono stati accompagnati da riforme adeguate e da uno sviluppo del settore privato. C’è troppa economia pubblica nel Mezzogiorno, mentre lo sviluppo si dovrebbe fare attirando investimenti privati. Poi c’è la malavita che è un ostacolo fortissimo a fare impresa nel Mezzogiorno ».
Passando all’attualità territoriale, in Puglia, con la vicenda Ilva, ci si sta rendendo sempre più conto di quanto ormai anche le vicende locali o nazionali debbano essere inquadrate in contesti internazionali. Uno studio di Ubs dice che la eventuale chiusura dell’Ilva farebbe superare il problema della sovracapacità produttiva della siderurgia europea. Come lo si spiega agli operai di Taranto?
«Il problema dell’Ilva va risolto creando nuova occupazione, attirando altri investimenti, non tenendo in piedi settori che non sono piu profittevoli. La siderurgia è un settore molto dipendente dal costo dell’energia e del lavoro, e l’Italia da questo punto di vista è poco competitiva ».
Vuol dire che l’Italia deve rinunciare alla siderurgia, ancor prima che Taranto all’Ilva? «Se l’Italia non vuole rinunciare alla siderurgia, deve creare le condizioni per renderla competitiva». Allargando il discorso, dall’alto della sua esperienza non solo nella Banca d’Italia e nella Bce ma anche nelle banche d’affari, da Morgan Stanley International a Société Générale, ci spiega fino a che punto può arrivare il cinismo degli analisti? È vero che hanno a che fare con i numeri, ma leggere che «chiudere l’Ilva potrebbe essere un problema per gli 11 mila dipendenti di Taranto ma se ne avvantaggerebbero i concorrenti» lascia di stucco la gente di strada.
«Questi rapporti sono tecnici e non prendono in conto considerazioni sociali, che invece sono responsabilità della politica. La politica deve partire dai dati di fatto, dare una prospettiva di sviluppo più ampia, che tenga conto anche dell’inclusione sociale. La responsabilità della politica è di creare le condizioni affinché nuove imprese vengano a insediarsi nelMezzogiorno e creino occupazione. In altre parti d’Europa ci sono riusciti».
Oggi lei è presidente di Snam. La Puglia è spesso indicata come crocevia per l’arrivo e lo smistamento di gas da una parte dell’Europa o del Mediterraneo, all’altra. Spesso le popolazioni locali del più piccolo paese si oppongono. Come si conciliano gli interessi nazionali e internazionali con quelli locali?
«Ci sono molti pregiudizi, purtroppo, sulle infrastrutture. Alla fine ne paghiamo le conseguenze tutti, in prezzi di energia più elevati degli altri, e dunque in minore potere d’acquisto dei cittadini e meno occupazione. Siamo tutti più poveri, per scelte locali basate su pregiudizi. Non credo che l’Italia se lo può permettere ». (CdM)
Nessun commento:
Posta un commento