sabato 28 giugno 2014

Girano le scatole cinesi dei Riva

Ilva: Riva, il gioco dei soldi continua

A volte ritornano. In pochi forse si ricorderanno della Stahlbeteiligungen, la storica cassaforte lussemburghese della famiglia Riva di cui ci siamo occupati negli ultimi due anni. E il cui Cda il 13 dicembre 2012 accettò le dimissioni di Fabio Riva (entro questo mese si dovrebbe conoscere il responso sul ricorso presentato dai legali di quest’ultimo sull’estradizione richiesta dalla Procura di Taranto ed accettata dalla Corte inglese lo scorso febbraio), nominando in sua sostituzione tal Mauro Pozzi, domiciliato in Spagna a Siviglia. Al vice presidente della Riva FIRE, l’incarico era stato rinnovato proprio nel giugno del 2012 (poco prima della bufera del 26 luglio) ed esteso sino al 2018.
In questi giorni ‘Radiocor’, agenzia di stampa de “IlSole24Ore”, ha consultato il bilancio 2013 della holding Stahlbeteiligungen, i cui conti sono ancora in rosso: in base a quanto certificato nel bilancio 2011, alla Stahl, oltre alla quota Ilva, facevano capo diversi asset in Germania, Belgio, Canada, Spagna, Francia, per un totale di 4,8 miliardi di euro (asset che controlla ancora oggi: la canadese Les Industries Associees de l’Acier, la belga Thy Marcinelle, la spagnola Siderurgica Sevillana, la tedesca Riva Sthal, la francese Parsider, oltre al 25% dell’italiana Riva Energia).
Nell’agosto 2012 invece, il gruppo Riva aveva proceduto ad una serie di fusioni, con l’assorbimento di “Ilva International Sa” da parte di “Italia Ilva Commerciale”, mentre Stahlbeteiligungen aveva assorbito l’altra lussemburghese Parfinex. Poi a fine novembre 2012, nacque la Siderlux scindendo dalla Stahlbeteiligungen la quota di Ilva Spa. L’operazione comportò una riduzione di capitale della Stahl da 140 milioni a 59,6 milioni di euro. I restanti 81,3 milioni andarono a costituire il capitale sociale di Siderlux, interamente sottoscritto e controllato dalla Riva FIRE. In pratica la Stahl conservò tutte le partecipazioni tranne la quota del 25,38% dell’Ilva, che confluì nella Siderlux.
Ricapitolando il gioco delle scatole cinesi imbastito dalla famiglia Riva nel corso degli anni, non bisogna dimenticare che il gruppo possiede anche la società lussemburghese “Utia”, che partecipa del 39% nella cassaforte italiana (la FIRE) e che è a sua volta controllata dalla “Monomarch holding”, società di diritto olandese che fa capo ad una delle casseforti di famiglia, la Luxpack di Curacao.
Ecco perché ancora oggi non è affatto semplice acquisire le quote dell’Ilva Spa, controllata per il 61,62% dalla Riva FIRE, per il 25,38% dalla Siderlux (posseduta a sua volta dalla stessa Riva FIRE), per il 10,05% dalla Valbruna Nederland, società olandese della famiglia Amenduni, e per il 2,95% dalla Allbest, un’altra società lussemburghese.
Inoltre, non bisogna dimenticare come nell’importante assemblea della holding capogruppo Riva FIRE, riunitasi il 17 ottobre del 2012, venne deliberata la scissione parziale e proporzionale della società a favore della controllata Riva Forni Elettrici. In particolare, fu conferito il ramo di azienda relativo alla produzione e commercializzazione di prodotti lunghi, cioè le partecipazioni di Riva Acciaio, Stahlbeteiligungen Holding, Riva Energia, Muzzana Trasporti e Parsider.
Operazione non da poco, visto che sotto la Riva Forni Elettrici passarono riserve per 310,6 milioni, di cui 210,6 milioni serviranno come dotazione patrimoniale della controllata. Con la separazione dei prodotti piani da quelli lunghi, si volle completare la riorganizzazione societaria del gruppo Riva FIRE che nel corso del 2012, con diverse operazioni straordinarie, consentì l’accorciamento della catena di controllo e l’eliminazione degli intrecci partecipativi tra le controllate attive nel settore dei prodotti lunghi e quelle operanti nel settore piani.
Tornando alle carte consultate da ‘Radiocor’, la finanziaria Stahlbeteiligungen nei primi mesi del 2014 è stata nuovamente al centro “di una girandola di operazioni infra-gruppo di compensazione di debiti e crediti”. Che ha comportato la riduzione del capitale di 925 milioni della filiale belga (e creditrice) Ccs e il pagamento di un dividendo di 97 milioni alla controllante Riva Forni Elettrici. Come emerge dai documenti consultati da ‘Radiocor’, Stahl ha chiuso il 2013 con una perdita di 18,6 milioni di euro dopo avere perso 45 milioni nel 2012. Nell’esercizio la holding ha proceduto a 46 milioni di svalutazioni e gli asset a fine 2013 totalizzavano 1,79 miliardi, per 1,44 miliardi relativi a partecipazioni.
Come ricorda ‘Radiocor’, l’asset più importante resta il controllo del 99% del belga Centre de Coordination Siderurgique che si occupa del cash pooling (cioè dei flussi in entrata e in uscita) delle filiali estere e del finanziamento a breve, con 1,27 miliardi di mezzi propri a fine 2013 e un utile di esercizio di 36,4 milioni. La Stahl risulta però anche debitrice a fine 2013 del Ccs per ben 1,1 miliardi. Come riporta il bilancio della società belga, “il 28 febbraio 2014 Ccs ha ridotto il capitale portandolo da 1 miliardo a 75 milioni e il rimborso è stato effettuato per compensazione del credito detenuto verso gli azionisti”, cioè la Stahl e Riva Acciaio. Il 26 marzo la Stahl ha “poi deciso di pagare un dividendo di 97 milioni al suo azionista unico la Riva Forni Elettrici prelevandolo dall’utile riportato a nuovo”, che ammontava a 543 milioni di euro a fine 2013. Poi, lo scorso 31 marzo la Riva Forni Elettrici ha saldato “parte del suo debito verso la Stahl, ovvero 87 milioni (su un totale di 354 milioni) che rappresentavano le scadenze a quella data”.
Ma la stessa Riva Forni Elettrici non se la passa meglio. Proprio ieri infatti, “IlSole24Ore” ha pubblicato i dati del bilancio 2013. Che ha riportato un fatturato di 3,7 miliardi di euro a fronte di una produzione di 7,6 milioni di tonnellate (trasformate in 4 di vergella, 2 di tondo e una di barre e billette laminate), per una perdita complessiva di 60 milioni (che il gruppo addebita sia alla crisi economica, che alle vicende che colpirono gli stabilimenti del Nord Italia con il sequestro della Procura di Taranto del settembre scorso ed agli investimenti operati dal gruppo su impianti e macchinari ammontanti ad 84 milioni di euro).
Anche se i dati del primo trimestre del 2014 segnalano un’inversione di tendenza: fatturato in aumento a 976 milioni, a fronte di una produzione di 2,162 milioni di tonnellate. Ennesima dimostrazione di come il ferro vecchio da rottamare sia proprio l’Ilva di Taranto. E di come mentre in riva alla città dei Due Mari si continua a perdere tempo con chiacchiere da bar e beghe da quattro soldi, altrove quest’ultimi continuano a girare in un labirinto senza fine.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 28.06.2014)

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