venerdì 8 marzo 2013

Le pecore docili si sono messe a scalpitare?


La cassa integrazione è di fatto già partita anche se non c’è ancora l’accordo nero su bianco. Ma, nonostante i messaggi rassicuranti dell’azienda sul fatto che non si tratterà di esuberi strutturali e che tutti i 6500 operai saranno reintegrati al termine del periodo di fermo, la tensione in fabbrica resta altissima. E le scintille si trasformano nella paura che la situazione possa degenerare ancora. Così adesso sono i carabinieri ad indagare su un misterioso episodio denunciato nella giornata di ieri. Un caporeparto dell’area laminazione dell’Ilva ha ricevuto infatti un messaggio in cui viene minacciato di morte. Il caporeparto, nelle ore precedenti alla ricezione dell’ammonimento minatorio, aveva annunciato il ricorso alla cassa integrazione per il settore di sua competenza. Sull’episodio, come già detto, i carabinieri stanno svolgendo una serie di accertamenti. Un’inchiesta mantenuta nello stretto riserbo. L’unica informazione che è trapelata riguarda la provenienza della telefonata. Il messaggio sarebbe partito da una cabina telefonica che si trova nel centro di Taranto.

L’Ilva, nelle stesse ore, era al ministero del Lavoro proprio per definire la procedura per il ricorso alla cassa integrazione straordinaria per un massimo di 6417 unità dello stabilimento di Taranto. Ammortizzatori richiesti fino a tutto il 2015 per effettuare i lavori previsti dall’Autorizzazione integrata ambientale che comporteranno la fermata di diversi impianti dell’area a caldo. L’accordo non è ancora stato sottoscritto ma sono già partite le lettere ai primi dipendenti interessati dalle fermate. L’attuale periodo sarà comunque coperto dall’intesa, che avrà effetti retroattivi. Il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante, l’altro ieri a Roma, aveva manifestato disponibilità a vagliare anche la possibilità di sostituire la cassa integrazione con i contratti di solidarietà, proposti da Fiom e Fim.

Ieri pomeriggio intanto dirigenti aziendali e sindacati hanno continuato il confronto tecnico a Taranto. Nel pomeriggio i responsabili dello stabilimento, in vista del nuovo incontro al ministero del Lavoro fissato per giovedì prossimo, si sono incontrati con le Rsu e segretari provinciali. Le organizzazioni dei metalmeccanici provano a ridurre i numeri, spostare operai da un reparto all’altro, per evitare il più possibile che i lavori di ambientalizzazione dell’Ilva si trasformino in un boomerang contro i dipendenti. «Al danno si aggiunge la beffa», dicono molti operai. Serpeggia il malumore perché dopo aver respirato polveri e fumi adesso saranno sempre loro a dover “pagare” la fermata per rendere gli impianti ecocompatibili con la mannaia degli ammortizzatori sociali, ben al di sotto delle retribuzioni. Preoccupazioni importanti, concrete, che si intrecciano ai conti da pagare tutti i giorni e che fanno divampare i focolai di tensioni mai spente. (Quotidiano)


«Noi sappiamo cosa significa questa forma di contrattazione e abbiamo seri dubbi sulla sua realizzazione, specie perchè non è per nulla chiaro l’aspetto principale: chi finanzia l’operazione?». Lo sottolineano in una nota Francesco Rizzo e Lorenzo Semeraro del coordinamento Usb (Unione sindacale di base) di Taranto riferendosi all’ipotesi del ricorso ai contratti di solidarietà al posto della cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione annunciata dall’Ilva per un massimo di 6.417 dipendenti dello stabilimento ionico.
«Cosa si sta preparando – si chiedono i due rappresentanti dell’Usb – per le migliaia di lavoratori Ilva in questo momento? Molto probabilmente non sarà possibile la cassa in deroga poichè priva di copertura finanziaria, perciò si 'rigira la frittata', servendo una minestra che all’apparenza potrebbe sembrare diversa, ma non lo è, perchè a pagare saranno ancora i lavoratori».
L'Usb ritiene giusto che «l'onere e le responsabilità di quanto accade siano a totale carico della famiglia proprietaria». Il sindacato denuncia inoltre il ricorso da parte dell’azienda a provvedimenti disciplinari nei confronti dei lavoratori che non accettano questa situazione. «Quanti lavoratori – osservano – diventano quotidianamente oggetto di vessazioni ed altre violenze? Il sistema è collaudato, è perfetto, costringe ad abbandonare le armi, a dimettersi, oppure ad essere licenziato per cumulo di sanzioni disciplinari. E' vecchio il trucco, tutti lo sanno ma pochi ne parlano o intervengono». (GdM)

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