All’Ilva non piace il fisco: deve 2,3 milioni a Taranto
I Riva tornano sotto i riflettori, questa volta non per i dati sulle
emissioni di diossina o sui morti per tumore nel quartiere Tamburi a
Taranto, ma per le tasse. Dopo aver chiuso una partita da quasi 100
milioni di euro con l’Agenzia delle entrate nel 2011, che ha fatto quasi
triplicare i debiti tributari del gruppo Riva Fire, gli imprenditori
dell’acciaio ora si ritrovano di nuovo in contenzioso col Comune di
Taranto, che chiede all’Ilva, impresa quasi tre volte più grande della
città, altri 2 milioni e 300mila euro di Ici 2007 oltre a quella già
versata.
I Riva, che fatturano poco più di 10 miliardi di euro all’anno, ovviamente non ci stanno
e sui tributi si ritrovano in un altro faccia a faccia con un Ente già
sette anni fa travolto da un dissesto finanziario da 1 miliardo e 200
milioni di euro, anche per via dell’evasione Ici. Il rischio, come già
accaduto due anni fa, è che per il primo contribuente tarantino tutto si
chiuda con un maxi “sconto” sulle imposte attraverso un patto con la
giunta di centrosinistra guidata da Ippazio Stefano (Sel), il primo
nella storia della città ad aver chiesto accertamenti fiscali sul
siderurgico più grande d’Europa che, secondo l’Agenzia europea
dell’ambiente, pesa sulla salute e sull’ambiente di Taranto fino a 463
milioni di euro. Ora però siamo nel pieno dell’inchiesta penale per
inquinamento ambientale che, tra le altre cose, vede lo stabilimento al
centro dei controlli sull’attuazione della nuova Autorizzazione
integrata ambientale (Aia) e in attesa che il 9 aprile prossimo la Corte
costituzionale discuta la legittimità costituzionale della legge
“salva-Ilva” (n. 231/2012) come sollevato dalla procura ionica.
A quanto risulta a Linkiesta, sull’Ilva pendono infatti due richieste di pagamento notificate nel 2012 – avvisi n. 150 e 2210 – (
vedi a pag. 2 di questo documento)
e che si riferiscono all’ex imposta comunale su fabbricati e terreni
entrata in vigore a partire dal 1993 e sostituita lo scorso anno
dall’ormai famosa Imu (imposta municipale unica) che nella “città dei
due mari” ha portato un gettito di 53 milioni e mezzo di euro. Sull’Ici
qualcosa è andato storto nei calcoli del 2007: in quell’anno, stando
almeno ai dati dell’azienda, l’Ilva ha versato nelle casse comunali poco
più di 3 milioni e 600 mila euro (3.616.000 euro), ma secondo gli
ultimi rilievi dell’ufficio Programmazione economico finanziaria del
Comune la più grande industria della città dovrebbe tirarne fuori altri 2
milioni e 300mila (2.286.117 euro, 202.479 euro nel primo avviso e
2.083.638 euro nel secondo). Le questioni riguardano aspetti
tecnico-giuridici ancora tutti da approfondire, ma ricordano quanto
accaduto due anni fa quando l’impresa aveva messo in discussione davanti
ai giudici tributari l’aumento della rendita di alcune parti della
fabbrica, che aveva fatto schizzare le calcolatrici sulla quota
dell’imposta ordinaria.
Ora è un’altra levata di scudi: ha fatto scattare i ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Taranto
il 9 e il 14 gennaio scorso, giorni in cui il presidente Bruno Ferrante
si scontrava contro la procura di Taranto sul mancato dissequestro dei
beni (1 milione e 700mila tonnellate d’acciaio) nell’ambito
dell’inchiesta sull’inquinamento. Sentita da
Linkiesta, l’Ilva
smorza le contestazioni del Comune. «I rilievi sono tutti illegittimi –
spiegano subito dall’azienda – Su un avviso i calcoli sono stati fatti
anche su una parte esclusa dall’area dello stabilimento e con alcuni
valori che nell’anno risultano superiori a quelli di mercato. In un
altro addirittura ci sono unità immobiliari che appartengono ad altro
soggetto giuridico, altre invece rientrano nel territorio di Statte (ex
frazione tarantina,
ndr) dove l’azienda ha già versato
regolarmente tutte le imposte, e in altri punti va contestata anche
l’efficacia retroattiva della rendita».
Nel 2011 il conto da pagare per il gigante dell’acciaio era più salato di quello di oggi:
si riferiva al periodo tra il 2003 e il 2006 e ammontava a quasi a 9
milioni di euro (8.958.239,7 euro). Poi però nel contezioso “il padrone
delle ferriere” era riuscito a convincere la controparte pubblica a
siglare un accordo di conciliazione: in sostanza, l’ente locale, pur di
incassare, rinunciava a sanzioni e interessi e l’azienda si impegnava a
girare subito nelle casse pubbliche un assegno di poco più di 5 milioni e
mezzo di euro (5.567.860,26 euro), risparmiandone così circa 3 milioni e
400mila. Era il giugno 2011, ora non è escluso che la storia possa
ripetersi. «Al momento – spiegano dall’Ilva – non è possibile stabilire
nulla né alcuna ipotesi di accordo».
Di certo però quel patto Riva-Comune di Taranto sullo “sconto” delle imposte era
bastato a far infuriare ancora una volta i tarantini che cinque anni
prima, nel 2006, avevano visto l’Ente sprofondare nel baratro: 297
milioni di euro di debiti lievitati poi fino a 1 miliardo e 200 milioni.
E, tra l’altro, ricordando che chi l’aveva deliberato, il commissario
straordinario Tommaso Blonda (in carica dopo le dimissioni dell’ex
sindaco di Forza Italia Rossana Di Bello), aveva chiesto tra le prime
contromisure proprio una mappatura dei presunti “furbetti” dell’Ici. Non
solo: proprio il nuovo sindaco Stefano – che aveva dato l’ok all’intesa
bypassando sia la giunta che il Consiglio comunale (era l’accusa del
centrodestra) – sin dal suo insediamento proprio nel 2007 era stato il
primo a chiedere verifiche fiscali sui colossi della città col supporto
dell’ex assessore al Bilancio Rossella Fischetti, già tecnico
dell’Agenzia delle Entrate.
Cosa aveva scoperto sull’Ici? Che dal 1993, da quando era entrata in vigore,
l’Ente non aveva mai disposto controlli anche perché l’imposta veniva
accertata e riscossa insieme ad altri tributi comunali da una società
locale esterna, la Emmegi srl, poi finita tre anni dopo sott’inchiesta
per una presunta frode in pubbliche forniture: in particolare, secondo i
pm, avrebbe fino ad allora negato l’accesso alla banca dati del
patrimonio immobiliare consentendo in qualche modo alle imprese di
evadere l’imposta sugli immobili di categoria «D», quelli cioè privi di
rendita catastale (il caso si è chiuso a giugno scorso con l’assoluzione
del legale rappresentante).
In ogni caso, la stima degli arretrati Ici a carico delle imprese “locali”, tra cui il siderurgico Ilva,
la raffineria Eni, le centrali termoelettriche Edison (poi cedute al
gruppo Riva) e il cementificio Cementir, si sarebbe allora aggirata
intorno a 172 milioni di euro maturati per quindici anni fino al 2007,
tra imposte ritenute evase (o versate solo in parte), interessi e
sanzioni. Un “bubbone” - addirittura quasi quanto il totale di tributi
incassato dall’ente nell’ultimo bilancio (174,2 milioni pari al 30,95%
del totale delle entrate) – in gran parte non più sanato perché sepolto
dalla prescrizione (fino al 2002), ma che dopo il dissesto e proprio col
nuovo primo cittadino aveva consentito al Comune di invertire la rotta:
approvare un regolamento, chiudere con la Emmegi almeno sull’Ici, e
ritornare a notificare il resto degli avvisi per gli anni successivi.
Ma se da una parte l’accordo Ilva-Comune ha di fatto cancellato la lite e resta tuttora valido,
dall’altra si attende ancora una pronuncia della Corte dei Conti della
Puglia. A dicembre 2011, infatti, il comitato referendario “Taranto
Futura”, che mesi prima si era costituito in giudizio ritenendo l’intesa
una «violazione del principio di imparzialità, buon andamento
amministrativo e di uguaglianza nei confronti degli altri cittadini
contribuenti ed imprese», aveva inviato un esposto ai magistrati
contabili di stanza a Bari. E nel fascicolo c’erano pure osservazioni
sulla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Tarsu)
accertata e riscossa dalla stessa Emmegi.
Ad oggi, a quanto risulta a Linkiesta, la sezione pugliese della Corte non ha ancora fornito approfondimenti anche
se pochi mesi prima, a luglio, analizzando proprio i conti pubblici di
Taranto aveva scoperto ben nove «irregolarità e criticità» nel bilancio
2009, in particolare «incongruenza e onerosità del servizio di
accertamento e riscossione dei tributi comunali» e «modesta riscossione
delle entrate relative al recupero dell’evasione tributaria» (pronuncia
n. 82/2011). Stesso copione nel 2010 sul bilancio 2008: qui sette «gravi
irregolarità» e tra queste «inefficienza e onerosità della gestione
esternalizzata dei tributi comunali» (delibera 156/2010).
Oltre al patto col Comune di Taranto, c’è di più. Con
i Riva, infatti, l’Agenzia delle Entrate aveva chiuso proprio nel 2011
una partita tributaria da quasi 100 milioni di euro a seguito delle
contestazioni sulle «operazioni di impiego della liquidità societaria»
delle controllate del gruppo Riva Fire, ovvero Ilva Spa e Riva Acciaio
Spa. Un contezioso che, stando al bilancio consolidato di quell’anno
della holding, ha fatto salire i debiti tributari del gruppo a 176
milioni e mezzo di euro da 61 milioni e 800mila euro registrati a fine
2010. Anche qui tutto si era chiuso con una «definizione stragiudiziale
delle contestazioni, sostenendo l’onere complessivo di 97milioni e
779mila euro» dopo che l’azienda aveva esaminato la questione con i
propri esperti tributari e aveva visto accogliere solo in parte le
«osservazioni e richieste» fornite agli uomini del direttore Attilio
Befera. E nella vicenda, in mano in particolare al Settore grandi
contribuenti dell’Agenzia, era stata proprio l’Ilva ad aver subito di
più almeno per le «operazioni» verificate negli esercizi 2006, 2007 e
2008: un conto da 86 milioni e 185mila euro, ma che grazie all’accordo
sarà pagato in tre rate annuali.
Ora dinanzi ai giudici della Commissione tributaria provinciale di Taranto si ripresenta la patata bollente dell’Ici della grande industria. Stando a fonti sentite da
Linkiesta,
non ci sarebbe ancora una data per la discussione e il processo, salvo
“strette di mano” politica-impresa, non si concluderebbe prima del 2015
considerando la mole di pendenze e la media dei tempi di definizione
delle liti in Puglia. Ma rispetto agli anni scorsi, ci sarebbero almeno
tre novità. La prima è che non c’è il rischio della prescrizione dato
che l’ultimo accertamento è avvenuto nei tempi, vale a dire entro cinque
anni dalla data prevista per il versamento secondo quanto stabilito
dalla legge “Finanziaria” 2007 (art. 1, comma 161, legge 296/06).
La seconda invece è che il governo locale, nonostante abbia registrato ben 31 milioni di euro
di Ici solo nel rendiconto 2011, non può permettersi ulteriori “bonus”
fiscali ad alcun contribuente, come ha ammonito pochi mesi fa il
Collegio dei revisori dei conti del Comune. Stando al parere sulla
variazione al bilancio 2012 approvato dalla giunta Stefano ad ottobre
scorso, a Taranto «si assiste ad una gestione improntata ai risultati di
cassa, anziché ad una ortodossa gestione di competenza» e, dall’analisi
delle entrate, «emerge che il grado di accertamento è insoddisfacente a
sostenere le spese correnti, ciò soprattutto per quelle tipologie di
entrate di carattere straordinario il cui successo era ed è subordinato
ad attività di carattere straordinario e specialistico, come la
previsione di recupero evasione pari a € 7.500.000 per Ici e Tarsu». E
ancora una volta il riferimento va all’ormai famosa Emmegi. La terza
novità? E’ che a luglio 2012 il Comune ha siglato un patto antievasione
con l’Agenzia delle Entrate della Puglia impegnandosi, tra le altre
cose, a segnalare presunti casi di evasione o dichiarazioni incomplete
anche per i pagamenti Ici.
In ogni modo, come ha fatto l’azienda, anche il Comune taglia corto sull’ipotesi di accordo sull’Ici 2007. Secondo quanto riferiscono i legali dell’Ente a
Linkiesta,
«non è possibile fare alcuna ipotesi, il contezioso tributario è più
che legittimo e lo porteremo avanti dinanzi alla Commissione». Ma quindi
che succederà? «L’ente pubblico - fanno sapere i difensori - farà
valere le sue ragioni nel giudizio come ha fatto due anni fa quando è
stata rispettata la volontà di riscuotere le somme accertate a
differenza di quanto ritenuto da altri. Ora la contestazione
dell’azienda riguarda essenzialmente un punto di diritto, in particolare
l’efficacia retroattiva della nuova rendita attribuita agli impianti
presenti nell’area dello stabilimento».
Nel frattempo l’Ilva, stando all’ultimo bilancio, ha accantonato poco più di 12 milioni
di euro per 11 cause fiscali ritenute più «significative», cioè quelle
per cui i consulenti non hanno escluso un esito negativo nei giudizi
tributari. Tra queste c’è pure una che riecheggia i rilievi tarantini: è
il contezioso col Comune di Genova che all’azienda ha chiesto altri 2
milioni e 247mila euro per l’Ici già versata tra il 1998 e il 1999. In
Liguria, anche se sono arrivati fino in Cassazione, i Riva hanno
staccato l’assegno come in altri casi. Lì però non era più stagione di
“saldi”. Sarà così pure nella città della diossina?
(Linkiesta)