domenica 31 maggio 2009
Tanto per fare qualcosa...
FULVIO COLUCCI
In piazza più bandiere che persone. In strada un lungo corteo che riassume la crisi: dall’Ilva a Miroglio, da Natuzzi all’Arsenale. E’ la manifestazione organizzata dai sindacati confederali, Cgil, Cisl e Uil, con tutti gli «ammortizzatori» del caso. Comprese banda e gonfaloni. Guai a pronunciare la parola «sciopero», guai a perdere un giorno di lavoro, guai anche solo pensare che le istituzioni vadano prese per la giacca e «scosse»: a fine anno la cassa integrazione all’Ilva scade; di fronte c’è il baratro dei licenziamenti per i lavoratori in esubero (da giugno più di 6mila 500). Se la crisi continua anche nel 2010 non sarà un’ipotesi di scuola, ma una realtà contro la quale sbattere il muso. Perché siamo a corto di tavoli istituzionali e, soprattutto, il governo, per Taranto, più di tanto non sembra fare.
E’ la manifestazione in cui la tara degli effetti scenici decide sul lordo e sul netto dei numeri. Bandiere, inquadrature che dilatano come gli specchi deformanti al luna-park. Il sindacato gonfia il petto: «Siamo in 6mila». Ma i giorni della Vertenza Taranto sono lontani. Seimila è numero approssimativo. Per eccesso. L’exploit è durante la sfilata dai cancelli dell’Arsenale a piazza della Vittoria. Complice la minaccia di pioggia, lavoratori, pensionati, disoccupati si danno da fare e rimpinguano il serpentone. Ma il tetto resta quello: qualche migliaio di anime. Non si va oltre. L’acqua, in agguato, potrebbe non lasciare scampo. Preferibile il mordi e fuggi: la sfilata sì, il corteo no. Fuga per le vie laterali quando si tratta di ascoltare. Avrà giocato la paura di piazza della Vittoria, il suo ambiguo essere teatro della manifestazione sul lavoro proprio nei
giorni in cui ospita gli ultimi sgocciolii di una campagna elettorale mai così aderente alla città di serie C: pochi leader nazionali, la loro paura di mettere piede nella Taranto della crisi nella crisi, del declino industriale, dello sfascio di una idea di Mezzogiorno di cui la stessa politica è colpevole.
Forse chi sfilava non voleva essere confuso con i fan di questo o quel candidato. Politica e sindacato meditino: scegliere di commutarsi, puntando a una manifestazione né carne né pesce, né slogan elettorale né protesta, può essere stato un calcolo errato. Perché non dà la sensazione dell’unità, ma rischia piuttosto di offrire l’immagine della casta se non si grida dal palco che unità vuol dire evitare di trasformare in licenziamenti gli esuberi all’Ilva piuttosto che alla Natuzzi.
Spuntano interrogativi scomodi: perché non ascoltare i leader sindacali? Dov’erano i lavoratori in cassa integrazione? Dov’è la città che intende il lavoro come fattor comune e non come elemento di divisione? Forse il valore che questa città dà alla parola lavoro e all’aggettivo industriale insieme è davvero, ormai, vicino allo zero. La parola lavoro sporcata, troppe volte assai, dal profitto, dall’inquinamento, dall’ac - quiescenza politica, dall’inerzia sindacale. Anni lontani ormai. Ma i nodi arrivano al pettine. Allora si capisce perché la manifestazione di ieri trasformi il suo titolo in un doppio interrogativo: Contrastare la crisi? Programmare lo sviluppo? Le risposte le soffia il vento in faccia a chi ieri rimuginava le ultime cifre: quasi cento aziende tarantine ricorrono a cassa integrazione, mobilità, contratti di solidarietà.
Che fare? I sindacati se lo chiedono, ma andare sottobraccio con sindaci, assessori e presidenti non basta più. La crisi si risolve qui, vero. Però, però. «In Germania avete visto? I sindacati hanno fatto le barricate e Opel è finita in mano a chi tutelava di più i posti di lavoro» bisbigliava qualcuno, sventolando la bandiera. Chi ha il coraggio di provarci? (la Gazzetta di Taranto, p.2)
sabato 30 maggio 2009
Punti di vista: storie dall'altro mondo
L'immutabilità religiosa dello scenario urbano
in una prospettiva vista da un tubo.
Il vuoto
Giuse Alemanno, Voce del Popolo del 17 maggio 2009
Come si può spiegare ciò che non c’è?
Come si può far capire ai lettori il senso di smarrimento di chi lavora in ILVA nell’epoca della cassa integrazione che coinvolge il 70% della forza lavoro? Credo sia impossibile, anche usando al meglio il mio mestiere delle parole. Più volte, da queste pagine, ho detto che l’ILVA, per chi ci lavora dentro, è una entità complessa, articolata, indefinibile. Una volta arrivai al paradosso di scrivere che ‘L’ILVA non esiste’ perché, in realtà, non esiste per come viene comunemente, e con una certa superficialità, percepita.
Ma da allora sembra sia passato un secolo, invece sono soltanto trascorsi una manciata di mesi.
Ed è successo di tutto.
Primo dicembre 2008: la cassa integrazione riguardò 2.146 lavoratori. 43 giorni dopo, 12 gennaio 2009, i coinvolti nei giri di ‘cassa’ salgono a 3.544. Al 2 marzo si raggiungono i 5.146 cassaintegrati. Dal primo giugno saranno 6.700.
Come faccio, a parole, a trasmettere ai lettori che effetto straniante si avverte a camminare nelle campate vuote? Per noi che lavoriamo in ILVA i rumori, i fumi, le scintille, i mezzi pesanti, le gru, i carri ponte, le montagne di minerale, i coils d’acciaio, i tubi, e tutto il resto sono ‘normali’. Ma la cosa più normale di tutte è il continuo incontro/scontro tra colleghi, con le mille inflessioni di dialetti diversi, con le mille e mille storie di una fabbrica quasi completamente al maschile. Dove saranno oggi Martino di Alberobello, e Antonio di Casarano, e Giampiero di Francavilla Fontana, e Stefano di Laterza, e tutti gli altri? Non ho mica voglia di scrivere una Spoon River tarantina…
La cassa integrazione ha sottratto ai lavoratori dell’ILVA, oltre ai soldi, il senso di comunità.
Altra cosa dura da ingoiare è un paradosso: sui giornali pugliesi del primo maggio, festa dei lavoratori, venne pubblicata in prima pagina, condita di pere-ppe-ppè, la notizia del successo di Marchionne per l’accordo FIAT – Chrysler e, nelle pagine regionali interne, l’ufficializzazione della cassa integrazione per l’ILVA al 70% della forza lavoro. Silviuccio di Brianza spese, in quel di Napoli, il suo sorriso a premio del manager di Chieti in cachemire blu, maledizione se disse una parola su 6.700 lavoratori che fibrillano in cassa integrazione fuoriuscendo da una azienda il cui proprietario intervenne, in solido, nell’affaire CAI-Alitalia.
Core ‘ngrato!
Addirittura i massimi livelli dirigenziali dell’ILVA si sono affacciati dai mezzi di comunicazione per dire: ‘guardate che il guaio è serio ’. C’è voluta una intervista di Emilio Riva al Sole 24 Ore per sentire l’unica cosa che ha creato un minimo di fiducia ai lavoratori dell’ILVA; pur non dicendolo a chiare lettere, Emilio Riva ha lasciato intendere che l’acciaio non abbandonerà Taranto e che lo stabilimento ILVA è strategico negli interessi del gruppo Riva.
In questo momento gli unici lavori che si fanno sulla Via Appia sono quelli per adeguare gli impianti (fermi) alle recenti norme riguardanti le criticità ambientali.
Che gli impianti siano fermi hanno contezza soprattutto gli abitanti dei quartieri di Taranto confinanti con l’ILVA: erano anni che non respiravano aria così pulita.
Resta solo da augurarsi che da questa crisi si esca tutti al meglio e in fretta, con un ambiente definitivamente più pulito, con condizioni lavorative definitivamente consolidate e con un migliorato rapporto tra i massimi rappresentanti dell'ILVA e la comunità jonica.
E poi perché vorrei cancellare una scritta che ho letto su un armadietto e credo che sia ancora lì: L’ILVA E’ UN BEL POSTO PER VIVERCI, SE SEI UNA BRAMMA.
ITALCAVE RADDOPPIA
Negli ultimi 9 mesi la regione Puglia, con il parere favorevole della Provincia di Taranto, ha rilasciato autorizzazioni per oltre 8 milioni di metri cubi di nuove discariche e di ampliamenti, sempre per rifiuti speciali, nella sola provincia jonica.
Dopo i 2.200.000 mc. per il III lotto Ecolevante, i 2.280.000 mc. per la nuova discarica Vergine, ecco i 3.612.298 per l’ampliamento Italcave di Taranto autorizzato nello scorso febbraio, come si può leggere nel Bollettino ufficiale della regione puglia dell’8 aprile 2009.
La Italcave, quindi, aggiunge all’impianto complesso di discarica per rifiuti speciali non pericolosi con annessa piattaforma di selezione ed inertizzazione (Codd. IPPC 5.1, 5.3 e 5.4), ubicato in Taranto in contrada La Riccia-Giardinello e non ancora andato in funzione, questo secondo lotto che va oltre il raddoppio della volumetria precedentemente autorizzata.
Infatti, a un primo lotto di 85.595 mq di estensione e di 2.616.146 mc di volumetria, realizzato e ancora non attivo, si aggiunge un secondo lotto per un’estensione di 126.807 mq e una volumetria di 3.612.298 mc.
Pertanto, con questo ulteriore ampliamento, la volumetria complessiva dell’impianto Italcave di Taranto supera i sei milioni di metri cubi (6.228.444 per l’esattezza) per un’estensione di oltre 200.000 metri quadri!
Già prima dell’esaurimento, meglio, ancor prima dell’entrata in funzione di quanto già autorizzato, ci si precipita a chiedere e a rilasciare autorizzazioni per abnormi ampliamenti! E questo in perfetta sintonia con la Proposta di Piano Provinciale dei Rifiuti che, se non prevede nuove discariche, parla chiaramente di ulteriori ampliamenti!
Le cifre sono più eloquenti di qualsiasi discorso e l’affanno nel rilasciare autorizzazioni che in concreto rendono la Puglia e l’area jonica in particolare la pattumiera dell’Italia, deve far riflettere seriamente sul destino assegnato dall’imprenditoria dei rifiuti alla nostra regione e alla nostra provincia e smentisce vergognosamente qualsiasi buona intenzione presente nei programmi con i quali Vendola e Florido si sono presentati agli elettori della Puglia e della provincia di Taranto.
Oggi manifestano tutti!!!
Già, dimenticavamo, sicuramente è colpa degli extracomunitari o degli omosessuali! (o hanno aderito anche loro???)
Dalla Gazzetta del Mezzogiorno: "Si fa sempre più ampia la platea delle sigle che aderiscono alla manifestazione di oggi. Al lungo elenco dei giorni scorsi, oggi si aggiungono anche la federazione provinciale del Pd e le associazioni dei consumatori Adiconsum, Adoc e Federc onsumatori. Le sigle di tutela dei consumatori condividono pienamente l’obiettivo di «Contrastare la crisi. Programmare lo sviluppo ». Dicono i consumatori: «Le ripercussioni della crisi a livello locale sono pesantissime. Aumenta l’utilizzo di cassa integrazione in Ilva e nelle aziende dell’indotto, che si sommano agli altri punti di crisi già esistenti; cresce il numero dei licenziamenti a partire dai lavoratori precari, colpendo tutti i settori, dal manifatturiero all’agroalimentare, dai servizi al commercio. Tale situazione incide pesantemente sulla condizione delle famiglie a Taranto. Cresce un più diffuso stato di povertà e di malessere sociale. Sono investite dalla crisi anche fasce del ceto medio che ne sembravano esenti».
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Ma il Paròn di sicuro non muore di fame...
«L’Inps - scrive Bonfrate - continua ad approvare le domande di cassa integrazione ordinaria presentate dalle aziende con criteri vecchi e discutibili e che non tengono conto delle disposizioni della sede centrale ed ancora peggio del dramma sociale che stiamo vivendo. Alle aziende già in sofferenza economica - aggiunge Bonfrate - l’Inps chiede documenti (ripresa, contratti, libro unico etc.) senza i quali non procede alla concessione della cassa ordinaria. Questa situazione sta precipitando, le condizioni economiche delle aziende che non sono più in grado di anticipare il trattamento economico ai dipendenti sta comportando la decisione delle stesse di passare dalla cassaintegrazione ai licenziamenti. E’ urgente - spiega ancora Bonfrate - chiarire la situazione con l’Inps se si vogliono evitare iniziative di protesta da parte dei lavoratori e che sono già in programma».
Non manca una stoccata di Bonfrate sui «nuovi ammortizzatori sociali. Se ne parla da mesi e il 27 aprile è stato sottoscritto tra Regione Puglia e parti sociali l’accordo che prevede la cassa integrazione straordinaria in deroga in deroga, la mobilità in deroga e altri strumenti di sostegno al reddito per coloro che non hanno il diritto (apprendisti, contratti a termine, lavoratori somministrati ex interinali, dipendenti di aziende artigiane etc.). Ad oggi l’Inps non sa ancora come applicare questo accordo e mancano le disposizioni operative e i lavoratori vanno a casa senza nessuna tutela legata al sostegno al reddito». Nella mappa della crisi, Bonfrate va al di là dei 6mila e 658 dipendenti in cassa integrazione all’Ilva dal primo giugno (tetto massimo).
«In questi mesi - racconta l’esponente Fim Cisl - abbiamo partecipato, affrontato e concluso procedure di cassa integrazione ordinaria e straordinaria, di contratti di solidarietà, mobilità e cassa in deroga per circa 80 aziende del territorio. Non abbiamo dati certi di riferimento, ma riteniamo che entro qualche giorno raggiungeremo il 25 per cento di aziende in difficoltà dell’intero comparto metalmeccanico territoriale. Su 80 aziende in crisi, 45 operano od operavano nell’appalto Ilva, 15 nell’indotto, 25 in altri settori. L’organico rappresentato dalle 80 aziende è di circa 4mila e 500 unità, di cui circa il 50 per cento ha un contratto a termine. Per dieci aziende è in corso la cassa straordinaria, per nove si è proceduto alla collocazione in mobilità di parte o di tutto il personale, per cinque aziende e per altre 40 dell’Arsenale si è fatto ricorso ricorsi alla cassa straordinaria in deroga. Due le aziende col contratto di solidarietà, mentre per le restanti 56 aziende è stata concordata la cassa ordinaria per circa 3mila dipendenti. Problemi gravi, urgenti e di tenuta sociale».
Bonfrate chiude incalzando l’azienda siderurgica: «L’I l va rappresenta l’80 per cento del comparto metalmeccanico territoriale e ha il dovere di dare delle risposte. Il Gruppo Riva ha sospeso, revocato o annullato contratti e commesse di lavoro già acquisite dalle aziende con conseguenze pesanti per le stesse; per i pochi lavori che sta appaltando sta spuntando non il prezzo più basso, ma il “sottocosto” in quanto le aziende per mantenere un minimo di giro economico e non precipitare preferiscono offrire prezzi che non coprono i costi; l’Ilva deve essere più chiara su assetti e prospettive produttive e occupazionali e sulle attività di manutenzione, rifacimenti, impiantistiche e ambientali da affidare a terzi». (Gazzetta del Mezzogiorno)
Un po' di luce... a Grottaglie
Il film documentario "Un po' di luce" di Pietro Annicchiarico, della durata di un'ora, prodotto dall'I.I.S Don Milani- Pertini, dall'Associazione La Banna e finanziato dall'Assessorato alla P.I. della Provincia di Taranto, ci porta a compiere un salto in un passato recente ma inimmaginabile oggi nel 2009. Gli anni tra il 1950 e il 1960 a Grottaglie in provincia di Taranto, sono stati tempi in cui non c'erano le fognature e niente era scontato, nemmeno che il pane fosse presente in ogni casa.
Intanto il patriarcato conservava la sua tradizione millenaria e solo a partire dal1968 gli studenti, gli operai e le femministe, con una durissima lotta, riuscirono a spazzarlo via, mettendo in discussione finalmente l'autoritarismo che lo animava.
I padri, allora, imperavano con le maniere forti sulla testa dei figli. Nascere poveri contadini, non aiutava a sognare un futuro diverso da quello per cui si era stati programmati. I pochi sognatori che osavano cambiare le proprie sorti, anche se autorizzati dai genitori, dovevano combattere i pregiudizi e le ostilità di chi proprio non voleva che anche il contadino avesse il figlio dottore.
Le differenze sociali ed economiche erano evidenti e accettate come fatto naturale proprio nel luogo dove, in teoria, si dovevano far sviluppare le coscienze civiche: la scuola. Quest'ultima era usata dalla classe politica e intellettuale, per replicare le discriminazioni già presenti nella società, che vedeva nettamente distinti i percorsi di emancipazione pensati per figli dei professionisti o comunque di chi aveva uno stipendio statale, con quelli di pura sussistenza riservati ai poveri, figli di contadini e operai a cui non era consigliato proseguire gli studi. Erano le classi differenziali, proprio come quelle che la Lega ripropone oggi per i figli dei migranti.
La nascita del sindacato e la forte spinta del movimento contadino e proletario permise ai braccianti grottagliesi e di tutto il meridione, di raggiungere una chiara consapevolezza dei propri diritti fondamentali: il diritto alla pensione, a un orario di lavoro umano e, non ultimo, a un salario dignitoso.
Nel film non mancano momenti di riflessione sulla pervasività del bigottismo sessuale, che imponeva distanze prossemiche per niente intime ai fidanzati e un iper-controllo genitoriale che sfiorava l'ossessione paranoica.
Né mancano gli accenni a fatti storici che hanno rivelato una eccezionale religiosità popolare, sfociata in una rivolta nel 1961, allorquando le alte cariche ecclesiastiche decisero di cambiare il luogo di deposito della statua di San Ciro, il santo patrono di Grottaglie. Per riparare al danno si dovette cedere a una processione penitenziale, che vide protagonista di una brutta avventura, il senatore Gaspare Pignatelli.
Il film si conclude con il doppio sogno, quello abortito dei pochi goliardi universitari grottagliesi, che dovettero indebitarsi per aver organizzato una festa danzante andata male e quello semplice e immediato delle giovani contadine, che al riparo dalle cattive condizioni atmosferiche, che non permettevano di proseguire il lavoro, danzavano al suono del vecchio grammofono a manovella. A pioggia cessata, ci dirà nel documentario una testimone del tempo, alle contadine toccava fare ritorno dalla campagna alle proprie case, rigorosamente a piedi.
"Un po' di luce" vuole essere un omaggio alle voci, quelle dei nostri genitori e dei nostri nonni, che hanno cercato di trasmetterci le loro drammatiche esperienze del dopoguerra nel Mezzogiorno, ma che hanno trovato solo interlocutori sordi e distratti.
venerdì 29 maggio 2009
Non solo inceneritori ma anche guastatori. Grazie AMIU!
I 50 anni del ponte girevole dell’età moderna hanno spinto il colonnello, Marcello Pace, direttore del Genio Militare per la Marina, Marigenimil, senza troppi giri di parole, a spiegare in quale stato si trova il ponte e cosa potrebbe succedere se non verranno rispettate le misure di sicurezza: «Il carico massimo limite sopportabile dal ponte viene indicato dai cartelli (intorno ai 40 quintali, ndr) – ha precisato – durante la notte, alcuni mezzi, come i compattatori dell’Amiu, ad esempio, e non solo, con un peso di 200 quintali, attraversano il ponte. È vietato. E loro lo sanno benissimo. Tuttavia passano lo stesso. In più di un’occasione, abbiamo segnalato queste violazioni alla Prefettura ed al Comune in passato. Adesso, sta succedendo spesso. Alcuni componenti del ponte risentono del passaggio di carichi e pesi eccessivi. I chiavistelli e le cerniere al centro, in particolare, si stanno deformando. È un sintomo che il ponte sta soffrendo. E “se si continua così”, si può anche rischiare il collasso della struttura».
29 maggio 2009. Comando in Capo del Dipartimento M.M. dello Jonio e del Canale d’Otranto
Ufficio Stampa Comunicato n° 037 del 29/05/09
A seguito del malfunzionamento occorso al ponte girevole il giorno 26 maggio u.s., che ha impedito la programmata apertura delle ore 14.45, personale tecnico di Marigenimil ha eseguito una serie di controlli per verificare lo stato di efficienza della struttura meccanica ed individuare le possibili azioni correttive.
Di fatto è accaduto che il semiponte lato città vecchia dopo aver eseguito la rotazione per pochi gradi si è bloccato impedendo la rotazione anche del semiponte città nuova.
L’analisi del guasto è stata eseguita la notte tra il 27 ed il 28 maggio a cura di una squadra di conduzione e manutenzione di Marigenimil composta da 9 tecnici e coordinata dal capo ponte, con l’ausilio di personale di una ditta specializzata in lavori metalmeccanici già intervernuta in passato per lavori sul ponte.
Nel corso di tali controlli è stata accertata la deformazione e la lesionatura della lastra di acciaio a protezione delle cerniere e degli ammortizzatori del semiponte lato città vecchia, problematica causata dalle eccessive sollecitazioni indotte dal traffico pesante. Conseguentemente gli organi di manovra che consentono la rotazione delle cerniere si sono bloccati impedendo il distacco delle due campate del ponte.
La stessa squadra ha quindi iniziato immediatamente l’intervento di ripristino meccanico che è stato completato da una seconda squadra di Marigenimil che ha lavorato ininterrottamente nel corso della notte tra ieri 28 maggio e questa mattina.
Al termine dei lavori sono state effettuate alcune prove di apertura e chiusura del ponte con esito posistivo.
Gli interventi eseguiti, seppur efficaci, alla lunga risultano comunque insufficienti a garantire una affidabilità duratura conseguibile soltanto mediante una completa revisione meccanica, elettrica e statica della struttura, inoltre si sottolinea che per salvaguardarne il più possibile la staticità, l’agibilità e la sicurezza va assolutamente evitato l’attraversamento del ponte da parte di automezzi che eccedono i limiti e le prescrizioni previste.
Sindacati e industriali manifestano insieme... La barzelletta della settimana?
“Contrastare la crisi, programmare lo sviluppo”: con questo slogan Cgil, Cisl e Uil di Taranto chiamano lavoratori, pensionati, studenti e cittadini a scendere il piazza domani (sabato 30 maggio) per una manifestazione provinciale unitaria. L’appuntamento è alle ore 9 per un corteo che partirà da piazzale dell’Arsenale e che si concluderà alle 11.30 in piazza della Vittoria con il comizio della segretaria confederale della Cgil Vera Lamonica.
“La crisi economica internazionale – affermano le tre sigle annunciando la manifestazione – sta mettendo a dura prova l'economia e il sistema produttivo paese. Nella provincia di Taranto la crisi s'innesta in un contesto fragile, sia per le conseguenze derivanti dal dissesto del Comune capoluogo, sia per la crisi di alcuni importanti settori produttivi” tra cui Sural, Miroglio, Natuzzi, Tessile di Martina e Ilva.
Anche la Confindustria di Taranto ha fatto sapere di sostenere l’iniziativa esprimendo “piena condivisione alla piattaforma unitaria” delle tre sigle sindacali: “Mai come in questo momento – affermano gli industriali – pensiamo che occorra fare fronte comune per portare avanti con forza, a livello locale ma soprattutto nazionale, tutte le istanze più urgenti che costituiscono da sempre il leit motiv della nostra azione sul territorio”. (Rassegna.it)
Bestialità da cronaca
di Riccardo Bocca
Violenze. Abbandoni. Incuria. Commerci illegali. In Italia si moltiplicano i casi di maltrattamento degli animali. Spesso nella indifferenza delle istituzioni
Non ci sono parole. C'è il delirio di 120 cani che abbaiano disperatamente. C'è la distesa di feci e urine attorno a queste bestie. C'è il tanfo dell'acqua putrida dentro abbeveratoi che grondano muffa. C'è la pena per il lupo e i bastardini che saltellano allucinati, roteando su se stessi con lo sguardo fisso. Questo si trova nel canile privato D.a.c. di Crispiano, 13 mila abitanti alle porte di Taranto.
Un quadro che gli attivisti Lav (Lega anti vivisezione) denunciano dal 2006: «L'unica alienante prospettiva visuale, per gli animali, è l'opprimente muro perimetrale», hanno scritto alla Procura. Hanno segnalato anche «la totale e ininterrotta costrizione in cattività, in spazi estremamente squallidi e angusti». Eppure non è servito. I magistrati non hanno ritenuto di procedere, e per la Asl locale il caso non esiste. Così si è andati avanti.
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«Perché la gente, a ragione, resta turbata quando i branchi di cani attaccano l'uomo», spiega l'ausiliario di polizia giudiziaria Bruno Mei Tomasi, presidente dell'Anta (Associazione nazionale tutela animali): «Ma l'abbandono di queste bestie non è casuale: alle spalle c'è un business da un miliardo e mezzo di euro». Un affare, testimonia Mei Tomasi, gestito silenziosamente da canili privati del Centrosud: «Lager indecenti che catturano gli animali (ottenendo dai Comuni tra i 2 ai 5 euro al giorno per il mantenimento), li fanno riprodurre in condizioni pietose, e liberano i nuovi nati per poterli riacciuffare».
Leggi l'articolo completo su L'Espresso
Non c'è Neptunia?
Esclusa anche dalla rappresentanza del comitato
TARANTO — I traffici portuali sono in picchiata, i lavoratori della Compagnia Neptunia sono vittime della crisi internazionale e lavorano solo qualche giorno ogni mese. Se va bene portano a casa 250 euro mentre attendono che la cassa integrazione scatti in anticipo e non alla fine dell’anno. Ora per di più, in un momento così difficile e di riassetto societario, non sono neanche rappresentati nel comitato portuale appena rinnovato.
...
«Abbiamo resistito fino all’anno scorso continuando a svolgere il nostro servizio, che rimane pubblico perché consente a chiunque di venire a Taranto e trovare personale specializzato nel carico e scarico delle merci. Ora il momento è molto difficile, la movimentazione è quasi azzerata e abbiamo difficoltà a mettere insieme trecento euro al mese. Dobbiamo inoltre rispondere alla direttiva ministeriale che ci impone, come a tutte le compagnie portuali d’Italia, di cedere entro il 30 giugno eventuali partecipazioni in società che gestiscono attività portuali. Noi dobbiamo lasciare la partecipazione nell’Impresa Portuale Neptunia se vogliamo gestire l’attività nel porto dopo aver vinto la gara. E’ una complicazione in più proprio nel periodo peggiore della Compagnia per il fermo che si registra in tutti i porti». A difesa dei portuali si sono mossi il prefetto, i parlamentari e le istituzioni locali, tanto che un consiglio comunale monotematico s’è svolto proprio nella sede della Neptunia.
«Chiediamo due cose aggiunge - che il riassetto societario slitti al 31 dicembre per avere un po’ più di respiro e che la cassa integrazione non sia a consuntivo del lavoro fatto in un anno ma diventi, come per gli altri settori, mensile. Uno degli obiettivi immediati è ottenere quella del 2009 subito, per poter andare incontro alle esigenze dei nostri lavoratori». La Neptunia esiste dal 1929, ha vissuto periodi di floridezza, poi alti e bassi, oggi è in ginocchio perché i traffici nel porto di Taranto sono diminuiti fin quasi ad azzerarsi. La grande industria è ferma e la Neptunia ne risente. «Con Ilva - conclude Simeone - abbiamo sempre lavorato ma da quando l’acciaieria ha rallentato la produzione ne risentiamo anche noi. Sbarchi e imbarchi sono calati e il lavoro c’è solo per qualche giorno il mese. Per i lavoratori è un periodaccio».
Cesare Bechis (Leggi l'articolo completo sul corrieredelmezzogiorno)
giovedì 28 maggio 2009
I fuochi d'artificio elettorali
Quando l'arte e l'industria si conoscevano...
Lo studio parte da una riflessione sulla politica culturale portata avanti dall’Italsider negli anni cruciali della crescita economica del nostro Paese. Essendo un’azienda a partecipazione statale, nella quale l’aspetto economico non poteva essere disgiunto dalla responsabilità sociale, l’Italsider si distinse soprattutto per la capacità di trasformare le esigenze di comunicazione aziendale in vere e proprie operazioni culturali, puntando sui registri alti della letteratura, del cinema, del teatro e dell’arte. Valgano alcuni esempi: l’esperienza della “Rivista Italsider”, tra i più originali house organ internazionali, dove comparivano sulle prime di copertina le opere dei maggiori artisti del tempo; il patrocinio dell’Italsider ad importanti manifestazioni culturali, come la quinta edizione del Festival dei Due Mondi di Spoleto (1962), in occasione della quale dieci artisti di fama mondiale (Calder, Carmi, Franchina, Consagra, Chadwick, Colla, Pepper, Lorenzetti, Pomodoro, Smith) furono ospitati negli stabilimenti Italsider sparsi in tutta Italia, per creare opere maestose in acciaio; il coinvolgimento di Eugenio Carmi, tra i maggiori artisti astratti italiani del Novecento, in qualità di consulente grafico dell’azienda. Chiamato a creare un volto per la grande impresa siderurgica, Carmi svolse questo compito in maniera originale, raggiungendo un grado di capillarità davvero sorprendente. Tra le operazioni più interessanti, spicca la lavorazione alla segnaletica antinfortunistica, per la quale l’artista genovese creò immagini affidate a geometrie essenziali, e la scultura in ferro progettata per l’Italsider di Taranto, nel 1965, ossia l’anno in cui entrò in funzione il ciclo integrale dell’acciaio nello stabilimento siderurgico jonico.
Ampio spazio è poi dedicato, nello studio di Marinelli, al Circolo Italsider di Taranto. Il circolo nasce come spazio polivalente aperto alla creatività, alla fantasia e al dialogo, per valorizzare il tempo libero del lavoratore. In particolare, il Circolo Italsider di Taranto, attivato nel febbraio 1963, attraverso la sua programmazione artistica, ha inseguito la duplice finalità di avvicinare ai fatti dell’arte la forza lavoro costituitasi con la recente industrializzazione, proponendo rassegne di ampio respiro, e di valorizzare le più avanzate esperienze artistiche espresse dal territorio.
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Che aria tira a Lecce? Chiedetelo all'Ilva!
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LEQUILE - L'influenza dell'Ilva di Taranto Capita di "sforare" per colpa d'altri. Un esempio per tutti, il caso di Lequile, dove il monitoraggio è stato effettuato tra il 27 febbraio ed il 13 marzo 2008. La centralina mobile è stata piazzata in via San Pietro in Lama a pochi metri dalla Strada Statale 101 (Lecce-Gallipoli): un sito urbano fortemente influenzato dal traffico veicolare che è stato monitorato in condizioni di vento proveniente prevalentemente da sud-est e da sud-ovest, tranne in avvio di periodo. Proprio quando è stato registrato l'unico sforamento di Pm10. È successo il 28 febbraio: 64,2 microgrammi al metro cubo (la soglia è a 50). La causa di questo dato non sembra addebitabile a fonti locali, giacché il 28 febbraio è stato l'ultimo giorno di un periodo in cui si sono registrate elevate concentrazioni di Pm10 in tutto il Salento, comprese le province di Brindisi e Taranto. Nei sei giorni di questo periodo, dal 23 al 28 febbraio, ha soffiato il vento di tramontana, proveniente da nord-ovest, alternato ad estesi periodi di calma di vento: condizioni che hanno contribuito all'arrivo di inquinanti dalla zona tarantina (il vento da nord-ovest) e che hanno sfavorito la dispersione degli stessi (calma di vento). In 6 giorni su 15 inoltre la stessa centralina mobile ha registrato una concentrazione atmosferica degli inquinanti associati a combustione (ossidi di azoto, benzene, toluene ed idrocarburi), ma non è stato rilevato alcuno sforamento dei limiti imposti dalla legge. Di particolare interesse la correlazione tra concentrazione di polveri (soprattutto PM 2.5), ossidi di azoto e idrocarburi, il che suggerisce una fonte comune che potrebbe essere il traffico veicolare.
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MAGLIE - L'incubo Copersalento riguarda soprattutto la diossina, non i macroinquinanti. Lo confermano i dati su Pm10 e gas inquinanti diffusi ieri dalla Provincia: un solo sforamento di Pm10 tra il 19 settembre ed il 13 ottobre 2008. Dal 2003 ad oggi sono stati rilevati 80 campioni di aria: nello stesso periodo sono 9 i superamenti della soglia di Pm10. Il monitoraggio, effettuato a 1 km dall'inceneritore della Copersalento (nel cortile dell'Istituto Agrario Lanoce), è stato condizionato da una rotazione dei venti da nord-ovest a sud-est. Lo sforamento si è registrato, in condizioni di calma di vento, il 30 settembre: 78,9 microgrammi al metro cubo a fronte dei 50 previsti come soglia dalla normativa. La cittadinanza può dirsi tranquilla fino ad un certo punto: servirebbe un monitoraggio costante, almeno annuale, per scongiurare il pericolo dei macroinquinanti in un'area già bersagliata dalla diossina, soprattutto considerando che l'analisi dei metalli presenti nel particolato evidenzia una correlazione tra nickel e cromo, che indica un probabile contributo da sorgente industriale. In compenso Maglie può consolarsi con la prima sperimentazione in Puglia di uno studio sulle particelle ultrafini, ossia quelle dal diametro che varia da 100 a 1 nanometro (un nanometro è un miliardesimo di un metro): la più grande di queste particelle ha un diametro di un millesimo dello spessore di un capello. A Maglie è stata rilevata una concentrazione di 50mila particelle al centimetro cubo: è stato in questo modo possibile evidenziare il contributo del traffico e della combustione di biomasse nelle pratiche agricole (sterpaglie e legna bruciate, per esempio). Le centraline hanno infatti evidenziato la concentrazione di gas inquinanti e particelle sottili e ultrafini di notte, quando i fuochi sono accesi in condizioni di calma di vento.
PROVINCIA DI LECCE - La qualità dell'aria salentina è buona. Lo assicura uno studio della Provincia di Lecce, l'ennesimo, condotto in collaborazione con l'Istituto di scienze sull'atmosfera e del clima (Isac) del Cnr. Aggiornato al marzo di quest'anno, il lavoro curato da Daniele Contini (Isac-Cnr) da Salvatore Francioso (Provincia) evidenzia due criticità: la concentrazione di ozono soprattutto nel periodo estivo e nelle ore centrali delle giornata; la concentrazione del particolato atmosferico nella frazione Pm10. Meno forte, ma presente, il contributo delle emissioni di industrie locali (su tutte Colacem e Copersalento). In un territorio fortemente battuto dal vento, però, è probabile che i macroinquinanti locali siano respirati altrove, mentre a noi tocca inalare quelli ben più pesanti provenienti da Taranto (Ilva) o Brindisi (Cerano). (portadimare)
I comuni diventano "virtuosi" e i rifiuti portano soldi. Come? Truffando!
di GIOVANNI RIVELLI
Rifiuti d’oro. Rifiuti che partivano dall’Italia per la Cina, prodotti che entravano dalla Cina in Italia, come se si trattasse di materiale riciclato. Soldi che arrivavano a chi effettuava una raccolta differenziata inesistente come «premio» per i risultati raggiunti e finivano, in parte, anche ai comuni, e container carichi di ogni schifezza che giravano per i mari in attesa di un approdo in oriente. È lo scenario dell’ennesima inchiesta sui rifiuti in Basilicata. Questa volta il fascicolo non è in mano al pm Henry John Woodcock, ma all a sostituto procuratore Laura Triassi, che lo ha «ereditato» dal Pm Ferdinando Esposito (ora in servizio a Milano) e sta portando avanti l’attività con i carabinieri della Compagnia di Potenza e di diverse stazioni sul territorio. Nel mirino, oltre a qualche impresa, ci sono infatti una serie di amministrazioni comunali, alcune delle quali del «quadrante nord-ovest» della Basilicata, che, stando alla tesi investigativa, avrebbero trovato il modo di far diventare i rifiuti una sorta di «gallina dalle uova d’oro», grazie anche a un traffico internazionale che consentiva di eliminare i problemi e di incassare anche fondi di premialità. Il meccanismo, nella sua scaltrezza, era semplice. Le norme che regolano il settore, infatti, prevedono che i comuni che riciclano di più ottengano contributi dai diversi consorzi obbligatori di riciclo.
Giusto per fare un esempio, se un comune recupera 5 chili di alluminio, oltre ad incassare il guadagno relativo alla vendita della materia prima, riceve 5 lire di premialità dal consorzio. Un meccanismo fatto per colmare il possibile differenziale esistente tra le spese per effettuare la raccolta differenziata (con diversi contenitori in strada o con la raccolta porta a porta) e il guadagno «primario» composto dalla vendita dei materiali e dalla riduzione dei costi di smaltimento di rifiuti indifferenziati in discarica. Qualcuno, però, questo meccanismo lo avrebbe imparato troppo bene. Al punto che i carabinieri hannos equestrato alcuni container, presso il porto di Taranto e presso il «molo Beverello» di Napoli di presunti rifiuti plastici che risultavano raccolti in alcuni centri lucani ed erano in partenza per la cina dove dovevano essere riciclati.
Alla prova dei fatti, però, quando i militari hanno aperto quei cassoni hanno trovato all’interno rifiuti di vario genere, e non solo plastici, che mai potevano essere riciclati e che non avrebbero dato diritto alla riscossione della «premialità» cui, invece, dava accesso una dichiarazione mendace. Ma non è tutto. Perchè l’i n chiesta non nasce con questa scoperta, ma il sequestro è frutto di una precedente attività investigativa. I carabinieri, insomma, nei due porti sono andati a colpo sicuro, già avendo più di un sospetto su ciò ch avrebbero trovato. Che qualcosa il quell’affare «puzzasse» in ogni senso, lo avevano capito, gli investigatori, sia vedendo alcune anomalie nei dati della raccolta differenziata, sia grazie alla «coinoscenza» di alcune conversazioni. Qualche amministratore avrebbe pianificato «a tavolino» i quantitativi di rifiuto differenziato da indicare come raccolto, in combutta con chi effettuava la raccolta differenziata. A telefono sarebbero state dettate le cifre de indicare nelle relative dichiarazioni, in modo da sembrare più «bravi» rispetto a quella che era la situazione reale, mettendo su un giro che, alla fine dei conti, conveniva a tutti, tranne che a chi pagava le premialità e all’ambiente. Ma se ciò che sospettano gli investigatori dovesse essere fondato, i vantaggi conseguiti in questo modo potrebbero cessare presto e per gli autori di questa «invenzione» inizierebbero i grattacapi. (Gazzetta del Mezzogiorno)
Operai, morti e dimenticati
Ieri migliaia di lavoratori hanno manifestato dopo la morte dei tre compagni di lavoro nella raffineraia della Saras. La strage è continuata, ma nessuno se ne è accorto.
Martedì Daniele Melis, Luigi Solinas e Bruno Muntoni hanno perso la vita per guadagnarsi lo stipendio ed i media hanno dato ampio risalto alla notizia, raccontando ieri lo sciopero che i sindacati hanno iorganizzato in Sardegna. Per qualche misterioso fenomeno di strategia ‘mediatica’ però articoli e servizi televisivi ha tralasciato di sottolineare che nel frattempo la tragedia delle morti sul lavoro continuava a fare vittime.
Ieri, mentre si preparava la manifestazione a Sarroch, davanti ai cancelli della raffinera Saras, Mario Uccello, di 35 anni, stava scaricando un camion alle porte di Parma, ma il gancio di una gru ha ceduto e precipitando lo ha colpito alla testa. Così l’autotrasportatore, di origini campane, è morto sul colpo
Nello stesso tempo nell’altoforno 4 dell’Ilva di Taranto, Franco Porcaro, di 31 anni e dipendente della ditta ‘Coplast’, impegnato in attività di manutenzione è stato colpito sul casco di protezione da un oggetto caduto dall’alto. Adesso è in prognosi riservata all’ospedale ‘Santissima Annunziata’ della città pugliese.
Intanto un operaio tunisino di 43 anni cadeva in una cisterna nel piazzale dello stabilimento ‘I Guzzini Illuminazione’ a Fonte Noce di Recanati, in prrovincia di Macerata. Anche lui ‘in appalto’ adesso è ricoverato all’ospedale ‘Torrette’ di Ancona in rianimazione.
Cgil, Cisl, Uil hanno ribadito il no alle modifiche introdotte dal decreto legislativo che corregge il testo unico sulla sicurezza sul lavoro sulle sanzioni ai manager. In una audizione alla Camera hanno duramente criticato lo schema messo a punto dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi.
Il segretario confederale della Cgil, Paola Agnello Modica, ha detto: “Questa è una controriforma che interviene sul codice civile, penale e sullo statuto dei lavoratori” ed ha avvertito il governo a “non procedere con questo provvedimento”, dando invece attuazione al Testo Unico e solo dopo aver verificato “se ci sono evntuali correzioni da apportare”.
La Uil ha ribadito il “giudizio negativo” sulla riformulazione delle responsabilità per i datori di lavoro adesso vedono decisamente ridimensionate le sanzioni in caso di negliglenze. Il segretario confederale, Paolo Carcassi, ha sostenuto: “Così come messo diventa conveniente per il datore di lavoro pagare una multa. Questo incidente della Sardegna è un coincidenza, ma purtroppo le coincidenze rischiano di diventare ricorrenti” ha continato sindacalista della Uil che poi ha chiesto al Parlamento di “non abbassare la guardia”.
Per la Uil, la nuova formulazione “non scardina l’impianto precedente, ma introduce una serie di elementi su cui diamo un giudizio negativo” e Cercassi ha chiesto una revisione dei punti che riguardano le norme sulla responsabilità dei datori di lavoro e quelle sulla rappresentanza per la sicurezza nei luoghi di lavoro.
La Cisl, ha parlato di “anello debole” per quanto riguarda l’attenzione alle procedure di sicurezza e sulle depenalizzazioni. Per arrivare ad un accordo su questi punti ha osservato la responsabile della sicurezza, Cinzia Frasche “noi eravamo disposti ad un avviso comune su cui il Ministro aveva dato un impegno che non ha rispettato”.
Insomma, strano Paese l’Italia. Ci si indigna a corrente alternata e nel frattempo il governo cerca di limitare le responsabilità dei manager. Mentre si continua a morire per lo stipendio. (Inviatospeciale)
Sotto la tigna... la testa malata! (proverbio tarantino)
Encefalopatia: a Taranto sequestrati 300 capi di bestiame
I controlli sono stati compiuti da carabinieri del Nas e da funzionari del Dipartimento veterinario dell’Azienda sanitaria locale
FAGGIANO (TARANTO) - Un caso di scrapie è stato scoperto in un allevamento ovino di Faggiano (Taranto): a scopo precauzionale i 300 capi (pecore e capre) dell’allevamento sono stati sequestrati. La scrapie è una malattia contagiosa delle pecore che rientra nel gruppo delle "encefalopatie spongiformi trasmissibili".
Dall’analisi del midollo di una pecora morta nei giorni scorsi, eseguito dall’Istituto zooprofilattico di Foggia, è emersa la presenza del prione che intacca il sistema nervoso centrale dell’animale. I controlli sono stati compiuti da carabinieri del Nas e da funzionari del Dipartimento veterinario dell’Azienda sanitaria locale. Ora si attendono le controanalisi dell’Istituto zooprofilattico nazionale di Torino. (Gazzetta del Mezzogiorno)
E se formasse seriamente TUTTI gli operai?
Soprattutto quando si scrive: "L’ILVA, in virtù della grande attenzione che spende per i Temi della Sicurezza sul lavoro"...
L’ILVA, in virtù della grande attenzione che spende per i Temi della Sicurezza sul lavoroha deciso di formare 10 giovani finanziando la loro partecipazione ad un Master organizzato da CSAD, Centro Studi Ambientali e Direzionali
MASTER SICUREZZA DEI LAVORATORI E DELLE MACCHINE (D.lgs 81/2008, OHSAS 18001:2007, Direttiva Macchine 2006/42/CE, Direttiva Atex 94/9/CE e 99/92/CE, Direttiva PED 97/23/CE)
10 BORSE DI STUDIO A COPERTURA TOTALE con STAGE di 6 MESI presso Stabilimento ILVA di TARANTO
Il Master intende offrire una risposta alla crescente domanda di competenze professionali specifiche e qualificate nella prevenzione dei rischi, nella gestione della sicurezza sui luoghi di lavoro e della sicurezza delle macchine.
* Il Master è rivolto a laureati o laureandi in discipline tecnico-scientifiche.
* Il Master consente di conseguire 11 ATTESTATI di qualifica tecnico-professionale.
* Il Master avrà luogo a TARANTO a partire dal mese di settembre 2009, ed è a numero chiuso.
* ILVA offre 10 borse di studio a copertura totale della quota di iscrizione.
I 10 vincitori delle Borse di Studio frequenteranno la parte di aula presso ILVA e svolgeranno lo Stage e il Project Work con il Tutoraggio di personale ILVA.
Per partecipare alla Selezione è necessario compilare il modello pubblicato sul sito www.csad.it ed inviare il curriculum vitae tramite apposito campo predisposto sul sito www.csad.it entro il 20 giugno 2009
Le selezioni per l’assegnazione delle borse di studio saranno condotte da membri del Comitato Tecnico-Scientifico CSAD e da Dirigenti ILVA, e avverranno in TARANTO c/o ILVA.
Dissequestrato il Cloro Rosso
mercoledì 27 maggio 2009
Noi non siamo da meno...nuovo incidente all'Ilva di Taranto
Incidente all'Ilva, grave operaio di 31 anni
Colpito sul casco di protezione da un oggetto o materiale, presumibilmente di piccole dimensioni, caduto dall'alto
TARANTO - Un infortunio sul lavoro si è verificato questa mattina nell’altoforno 4 dell’Ilva di Taranto. Per cause in corso d’accertamento, Franco Porcaro, di 31 anni, dipendente della ditta «Coplast», impegnata in attività di manutenzione presso il ponte nastro, è rimasto gravemente ferito dopo essere stato colpito sul casco di protezione della testa da un oggetto o materiale, presumibilmente di piccole dimensioni, caduto dall’alto.
L’Ilva fa sapere in una nota che l’operaio è stato immediatamente soccorso dal personale del servizio della direzione medica dello stabilimento che ha provveduto al trasporto del ferito all’ospedale «Santissima Annunziata», dove gli è stato diagnosticato un trauma commotivo alla parte posteriore della testa. La prognosi è riservata, anche se gli accertamenti radiologici sono, comunque, a quanto si è appreso, risultati nella norma.
Accertamenti tecnici sono stati avviati dagli ispettori del lavoro e dai funzionari dell’Azienda sanitaria locale per stabilire la dinamica dell’infortunio.
U. Fer.
27 maggio 2009
Sa Rovineria: da Taranto a Sarroch
Tutte accomunate da un unico destino: l'inquinamento industriale e le morti sul lavoro.
Tre sono i morti alla Saras di Sarroch, la raffineria di proprietà della famiglia Moratti , raffineria chiamata anche da alcuni abitanti del luogo "Sa Rovineria", oggi più che mai confermiamo questo detto, chissà perchè.
martedì 26 maggio 2009
BAAASTAAAAA!
Sardegna, esalazioni in raffineria, tre operai morti sul lavoro
CAGLIARI - Soffocati dalle esalazioni nella grande raffineria Saras della Sardegna, tre operai sono morti questo pomeriggio a Sarroch, in provincia di Cagliari. Stavano pulendo un serbatoio dell'impianto di desolforazione. L'ambiente chiuso si è presto saturato di vapori di azoto che non hanno lasciato scampo ai tre operai.
Sul posto sono intervenuti i medici del 118 ma non hanno potuto che constatare il decesso in attesa dell'arrivo del medico legale, che dovrà accertarne le cause, e del magistrato di turno cui spetterà il compito di indagare sull'incidente.
I tre operai - due dei quali originari di Villa San Pietro, paese a 30 chilometri da Cagliari e pochi chilometri dagli impianti della Saras - erano dipendenti di una ditta esterna che ha in appalto alcuni lavori all'interno della raffineria. La raffineria della famiglia Moratti, è tra le più grandi d'Europa: rappresenta circa il 15% della capacità totale di raffinazione in Italia. In queste settimane gli impianti sono interessati da una serie di interventi di manutenzione programmata.
"Un'ennesima tragica notizia", ha detto il presidente della Camera Gianfranco Fini che, in occasione del convegno "Il lavoro che cambia", ha invitato i presenti in sala a tributare un minuto di silenzio alle tre vittime.
Caccia al caccia!
In questi giorni il Governo italiano dopo aver chiesto ed ottenuto un parere al Parlamento in poco tempo e senza praticamente dibattito sta procedendo alla continuazione della produzione di 131 cacciabombardieri Joint Strike Fighters che impegneranno il nostro paese fino al 2026 con una spesa di quasi 16 miliardi di euro.
Si tratta di una decisione irresponsabile sia per la politica di riarmo che tale scelta rappresenta, sia per le risorse che vengono destinante ad un programma sovradimensionato nei costi sia per la sua incoerenza (si tratta di un aereo di attacco che può trasportare anche ordigni nucleari) con le autentiche missioni di pace del nostro paese.
In un momento di grave crisi economica in cui non si riescono a trovare risorse per gli ammortizzatori sociali per i disoccupati e vengono tagliati i finanziamenti pubblici alla scuola, all’università e alle politiche sociali, destinare 16 miliardi di euro alla costruzione di 131 cacciabombardieri è una scelta sbagliata e incompatibile con la situazione sociale del paese.
Sbilanciamoci! e Rete Italiana per il Disarmo chiedono quindi al Governo di non procedere alla prosecuzione del programma, destinando in alternativa una parte delle risorse già accantonate a programmi di riconversione civile dell’industria bellica e agli interventi delle politiche pubbliche di cooperazione internazionale, che la scorsa manovra finanziaria ha tagliato di ben il 56%.
Con 16 miliardi di euro si possono inoltre fare molte altre cose in alternativa. Ad esempio si possono contemporaneamente costruire 3000 nuovi asili nido, costruire 8 milioni di pannelli solari, dare a tutti i collaboratori a progetto la stessa indennità di disoccupazione dei lavoratori dipendenti, allargare la cassa integrazione a tutte le piccole imprese.
Il Governo, in questo spinto anche dal Parlamento, faccia una scelta di pace e di solidarietà; blocchi la prosecuzione del programma destinando le risorse così liberate alla società, all’ambiente, al lavoro, alla solidarietà internazionale.
Per continuare a leggere ed aderire, clicca qui
Le nuove schiavitù
I relatori saranno
- Prof. Aurelio Arnese (Ricercatore della II facoltà di Giurisprudenza);
- Filomena PRINCIPALE (Responsabile Segreteria CGIL di Taranto);
- Dott.ssa Anna Conte (Responsabile di Amnesty International - Taranto)
- Avv. Alessandro Cobianchi (Responsabile Nazionale Arci e Libera - Settore Legalità).
Modererà gli interventi il Dott. Domenico Cinquegrana.
lunedì 25 maggio 2009
venerdì 22 maggio 2009
Il Grand Tour di Ascanio Celestini
giovedì 21 maggio 2009
Le uova di Fiore: erano dosi di diossina per uso personale!
E che dire dei tarantini? E' meglio che mangino le patatine in scatola che le fave e cicorie?
Contraddizioni della politica? Mediazione sdrammatizzante necessaria? O presa per i fondelli?
Intanto sulle pagine di tutti i giornali imperversa il mistero Buffo: l'ultimo ingegnerino partorito dal portafogli Ilva che viene a farci la lezione sui dati dell'inquinamento e ci "racconta", o meglio si racconta (visto che l'incontro non era pubblico) che i dati forniti dall'Ilva stessa erano eccessivi e male interpretati.
In realtà dagli scarichi, ci pare forse di capire che escano prevalentemente margherite alla camomilla!
E la gente muore di cancro perchè ha letto male le percentuali?
Di certo un po' di uova, da qualche giorno ci avanzano pure... che ne vogliamo fare? Noi, un'idea, ce l'avremmo....
"Come ho gia' avuto modo di specificare,ribadisco che non esiste alcun rischio per la salute umana collegato al consumo di uova prodotte dagli allevamenti certificati e soprattutto dagli allevamenti della nostra regione e della provincia di Taranto, che sono sottoposti a stringenti controlli da parte dei Servizi Veterinari dei Dipartimenti di Prevenzione delle ASL di Puglia". Lo ha dichiarato l'assessore regionale alle politiche della salute, Tommaso Fiore, in riferimento alle notizie sulla presenza di diossina e PCB-simili in uova prelevate da un allevatore della provincia di Taranto. "I cittadini pugliesi devono aver ben chiaro che ogni azione dell'Autorita' Sanitaria e' tesa ad assicurare la sicurezza alimentare. "Nel caso del vincolo sanitario operato dal Dipartimento di Prevenzione dell'ASL di Taranto - ha proseguito l'assessore Fiore- va specificato che si tratta di un privato dedito alla produzione di uova destinate ad autoconsumo e non di un allevamento certificato con produzione destinata alla vendita al pubblico". "La presenza di diossina nelle uova oggetto di campionamento e'certamente correlabile al contatto con il terreno per probabile contaminazione dello stesso e, pertanto, in caso di allevamento in batteria di galline ovaiole, non sussiste in alcun modo tale pericolo. "Lo svolgimento delle attivita' previste dal piano straordinario approvato dalla Regione Puglia ed in atto nel territorio ionico devono rassicurare la popolazione della provincia di Taranto della massima attenzione e dello sforzoche le strutture dell'Assessorato alle Politiche della Salute,dell'ASL TA, dell'ARPA Puglia e dell'Istituto ZooprofilatticoSperimentale stanno producendo." (Affaritaliani)
Fortuna che se ne parla!
Peacelink è andata alla XXII Fiera del Libro di Torino. L’hanno accompagnata Carlo Vulpio e Luigi de Magistris. Il primo perché autore del libro “La città delle nuvole” (edizioni ambiente), il secondo per confermare che lo s(S)tato dei veleni italiani è già ben oltre la soglia d’allarme. Ci siamo già dentro e cerchiamo di nuotare per non affogare. Il sottotitolo del libro è “viaggio nel territorio più inquinato d’Europa”. Il viaggio lo facciamo nella diossina di Taranto. Cielo, terra, mare e tutta la catena alimentare ci fanno da tour operator. Carlo Vulpio e l'ing. De Marzo Le analisi strumentali effettuate su un bambino di 11 anni affetto da tumore dimostrano che possiede i polmoni di un fumatore incallito. Negli ultimi anni l’aumento delle patologie oncologiche ha assunto livelli elevati, spropositati rispetto alle statistiche sanitarie. Grazie all’intervento delle associazioni volontarie Taranto ospitava i bambini della Bielorussia e dell’Ucraina, già ammalati dall’aria contaminata di Chernobyl. L’obiettivo era di far loro respirare un po’ d’aria buona. Oggi a Taranto quei bambini ovviamente non vengono più. E’ grottesco pensare che Taranto a quei piccoli leucemici garantiva la fornitura (su che base ci chiediamo) d’aria salubre, cibo e acqua sani, ambiente non contaminato, atti ad abbattere fino al 50% dei valori di cesio assorbito, riducendo così la possibilità dell’insorgenza di forme tumorali. Il tutto in una terra contaminata tre volte più di quanto lo fu Seveso a seguito del disastro Icmesa.
Taranto è una terra sparsa su 2.600 ettari. L’Ilva, il più grande stabilimento siderurgico d’Europa, ne occupa 1.600. Facile capire chi comanda. Altrettanto facile comprendere chi dà da mangiare ai tarantini. Infatti fin dagli anni 70 il reddito medio dei cittadini è il più elevato dell’intero mezzogiorno e il loro tenore di vita occupa nella regione Puglia il primo posto. Chi ha perso un familiare non ha più null’altro da perdere e magari denuncia. Gli altri sono sopraffatti dalla paura di perdere il posto. Bisogna morire per urlare BASTA?
Vulpio ha descritto i fatti raccolti dalle testimonianze e dagli atti probatori ottenuti da stressante e minuzioso lavoro d’indagine in proprio, ma non solo. La collaborazione dei siti e associazioni più attivi e documentati è stata preziosa. Infatti a questi è andato il suo profondo grazie perché se questo libro esiste è merito loro: Comitato per Taranto, Taranto Sociale, Peacelink, Tarantopedia, TarantoViva, Legambiente circolo per Taranto. Ed è a questo punto che è intervenuto de Magistris. Lui ben sa che significa portare avanti le inchieste in questo Paese. C. Vulpio, Troiano, L. de Magistris Conosce i sacrifici, le paure e il coraggio necessari per proseguire, a meno che a un certo punto lo Stato non gli tolga i fascicoli e allora, come ora, può giusto passarci le sue conoscenze. Conferma che la magistratura ha bisogno della collaborazione del cittadino. E’ lui che deve sorvegliare, raccogliere materiale e denunciare. Questo Paese è malato di una patologia cronica data dalla complicità istituzionale, dalla trasversalità nell’accettare e tacere e dall’incapacità. I sindacati, ma anche gli operai stessi, gli organi di controllo sono spesso tutti d’accordo a mantenere in piedi una situazione che in piedi non può stare. L’ambiente ha un costo che dovrebbe essere prioritario, ma le politiche ambientali non sono portate avanti, servono giusto per incrementare un business ai danni di tutti noi e Taranto è testimone. Le fabbriche cominciano a uccidere quando la manutenzione diventa antieconomica e dunque subentra la necessità di sfruttare gli impianti fino alla loro morte. Non importa se nel frattempo muoiono gli umani: costano meno della manutenzione. In compenso l’Italia si prodiga per tutelare la vita di bambini mai nati e la sopravvivenza di chi la vita l’ha già perduta. Quello che sta in mezzo è un optional. (Peacelink)
mercoledì 20 maggio 2009
Ilva: I racconti del "grande" Buffo
La pecunia, come la diossina "non olet"!
Grande Buffo, grande!
''I dati riportati nel registro Inventario nazionale delle emissioni e loro sorgenti (Ines) secondo i quali il 92% della diossina prodotta in Italia e' riferibile all'Ilva di Taranto sono inesatti e fuorvianti''. Lo ha detto nel corso di un incontro con i giornalisti il responsabile della direzione per la sicurezza dell'azienda siderurgica, Adolfo Buffo, facendo riferimento a dati pubblicati tempo fa e a piu' riprese commentati da giornali locali. Buffo ha fatto presente che non e' possibile fare un confronto con le altre realta' industriali sia perche' le aziende utilizzano differenti metodologie per raccogliere i dati sia per il fatto che solo 5 industrie su 670 presentano autodichiarazioni sulla diossina. ''Il rapporto Ines sulle emissioni inquinanti - ha aggiunto Buffo - racconta solo una piccola parte dei fenomeni, molto distante dalla verita' dei fatti. Basti pensare che in un rapporto dell'Arpa Puglia si legge che la quota imputabile a Taranto per quel che riguarda la diossina e' del 21%'' (ANSA)
Uova alla diossina: il comunicato di Peacelink
Che cosa può fare la società civile di fronte a questa nuova emergenza che allarga il gronte di indagine anche alle galline dopo le "ormai note" capre e le pecore?
Occorre più personale per il Dipartimento di Prevenzione della Asl di Taranto. Il Dipartimento Prevenzione sta compiendo un lavoro egregio ma con risorse umane limitate. Sarà potenziato per realizzare nuovi accertamenti con rapidità?
E' poi necessario rinnovare i contratti dei chimici che lavorano nel laboratorio diossine di Taranto scongiurando il collasso dell'unica "trincea antidiossina" che abbiamo.
Queste sono le urgenze da affrontare subito e che come cittadini poniamo all'attenzione di chi ha responsabilità politiche.
Ma dobbiamo anche uscire da una logica dell'emergenza per dare una strategia globale e un orizzonte a questo percorso. La Regione Puglia deve fare una scelta chiara e forte per Taranto: occorre creare un polo di eccellenza sulla ricerca ambientale.
A questo importante progetto avevano cominciato a lavorarci alla fine del 2007 le istituzioni locali e vari enti. Ora tutto tace: perché?
PeaceLink fa una proposta: rilanciare il progetto del polo di eccellenza prevedendo una robusta dotazione di uomini e mezzi.
Il Presidente della Regione Nichi Vendola, con l'assessore regionale alla sanità Tommaso Fiore e l'assessore all'Ecologia Michele Losappio dovrebbero prendere l'iniziativa e convocare il presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido, il direttore generale dell’Arpa Puglia, Giorgio Assennato, il direttore generale della Asl di Taranto Domenico Colasanto, il Dipartimento di Prevenzione della Asl di Taranto con il suo dirigente Michele Conversano, il presidente del corso di laurea in Scienze ambientali dell’università di Bari sede di Taranto Francesco Loiacono, gli
assessori all’Ambiente di Provincia e Comune di Taranto, rispettivamente Michele Conserva e Sebastiano Romeo.
Occorre individuare gli immobili che potrebbero diventare sede del polo scientifico e ospitare, nel contempo, anche le strutture e i laboratori dell’Arpa, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale.
E' importante investire in questo polo di eccellenza. Le risorse finanziarie ci sono.
La Regione infatti aveva malamente stanziato 1 milione e 400 mila euro per portare in discarica le "alghe" spiaggiate sulle coste joniche: una spesa inutile e dannosa. Uno spreco che abbiamo segnalato e che sembra essere stato bloccato, salvo sorprese dell'ultima ora. Chiediamo che sia fatta una variazione strutturale di bilancio e che quella somma venga posta alla base del polo di eccellenza sulla ricerca ambientale a Taranto.
Alessandro Marescotti, Peacelink