giovedì 26 settembre 2013

L'Europa ci da ragione, ma in Italia Riva detta legge!

Aziendamagistrati: è braccio di ferro

Nel giorno in cui la Commissione europea avvia ufficialmente una procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia per l'Ilva di Taranto, ritenendo che lo Stato italiano non abbia fatto rispettare all'azienda le prescrizioni Ue sulle emissioni industriali, il braccio di ferro tra il Gruppo Riva e la magistratura ionica non accenna a diminuire dopo i sequestri di beni fatti dalla Guardia di Finanza nelle ultime settimane. Una soluzione potrebbe però arrivare dal governo: il decreto sarebbe pronto ma il Cda, che si dovrebbe tenere al ritorno di Letta dagli Usa, non è ancora stato convocato per le fibrillazioni politiche della maggioranza.
In mattinata il custode e amministratore giudiziario dei beni sequestrati, Mario Tagarelli, ha inviato una lettera a Riva Acciaio e, per conoscenza, al ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, e al sottosegretario dello stesso dicastero, Claudio De Vincenti, ribadendo tre punti, in linea con quanto indicato dal gip del tribunale Patrizia Todisco. Primo: i beni sequestrati «incluse le liquidità attuali e quelle differite e i prodotti finiti, devono essere gestiti e amministrati dal custode amministratore giudiziario, che ne concederà l'uso alla società al fine di riavviare e dare prosecuzione all'attività aziendale».
Secondo: «non si ravvedono profili di criticità ed incertezza in ordine al rischio, che si afferma essere stato paventato dagli istituti di credito, del mancato recupero di quanto anticipato o garantito in favore della società Riva Acciaio spa». Terzo: le somme di denaro sequestrate al Gruppo Riva e confluite nel Fondo Unico di giustizia «possono essere destinate all'amministrazione e alla gestione dei beni in sequestro». Tagarelli aggiunge che «l'uso dei beni e della liquidità in sequestro dovrà avvenire nell'ambito di idonee procedure di controllo e operative, che tengano conto delle dimensioni della complessità della struttura aziendale».
La risposta di Riva Acciaio è arrivata poche ore dopo, con la richiesta a Tagarelli e al governo di «farsi parti attive al fine di trovare con le banche le formule tecniche più idonee a consentire l'uso delle liquidità sottoposte a sequestro, per il normale svolgimento delle attività dell'azienda», e dichiarandosi «immediatamente disponibile» ad attivarsi insieme al custode e al governo.
L'incontro dovrebbe servire in particolare a «verificare se esistano strumenti di tecnica bancaria che consentano di adempiere alle condizioni poste dal gip per riavere accesso alla liquidità già sequestrata e ai futuri incassi dai clienti». Liquidità che per gran parte (49 milioni) è già finita nel Fondo Unico di giustizia, tenuto conto che i sequestri sono stati eseguiti nell'arco di una quindicina di giorni, mentre gli ulteriori sette milioni di euro bloccati dovrebbero essere immessi domani nel possesso del custode giudiziario. Riva Acciaio, oltre che a Tagarelli, ha inviato la lettera a Zanonato, De Vincenti e ai responsabili di Intesa San Paolo, Unicredit e Banco popolare di Milano, i tre istituti di credito con i quali evidentemente ha rapporti bancari.
Lo stop di Riva Acciaio comincia a farsi sentire anche sulle aziende dell'indotto. «Auspichiamo l'immediato sblocco dei pagamenti ai fornitori o saremmo incolpevolmente destinati a capitolare» hanno scritto tre aziende del Cuneese, una sessantina di dipendenti diretti e 200 autotrasportatori in una lettera a Confindustria Cuneo. Il sottosegretario De Vincenti, rispondendo a due interrogazioni alla Camera, ha comunicato che «il governo sta in queste ore verificando se esistono effettivamente e concretamente le condizioni per una immediata ripresa dell'attività, valutando in caso contrario l'adozione in via d'urgenza di nuove iniziative anche normative idonee a consentire l'immediata ripresa dell'attività produttiva in tutti i siti del Gruppo Riva». (GdM)

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