Innovativa sentenza del Tar Lecce: si può rimuovere la servitù militare
Un nuovo indirizzo giurisprudenziale capace di liberare i terreni da vincoli decennali ed invasivi. La pronuncia, emessa in aprile e depositata nei giorni scorsi (n. 995/2009), riguarda l’annullamento di una proroga di una servitù militare apposta dal Ministero della Difesa nel Comune di Mesagne, in contrada Epifani. In particolare, il Ministero aveva imposto, dal 1978 e fino ad oggi, servitù militari su parte di un fondo (di circa 16 ettari) a protezione di un suo Deposito Munizioni. Dal ’78 fino ad oggi, per ogni quinquennio (per oltre trent’anni, quindi), tale vincolo era stato automaticamente prorogato
Il Ministero della Difesa, a protezione delle proprie attrezzature e degli stabilimenti, istituisce, nelle aree limitrofe alle zone militari, apposite servitù. Questo tipo di servitù viene ritenuto, almeno dai proprietari dei terreni interessati, assai invasivo per i fondi, in quanto è vietata la coltivazione dei campi, la costruzione di strade ed altre opere indispensabili per l’agricoltura (muretti, fossi eccetera). Il vincolo delle servitù, secondo questa tesi, in sostanza svuota di qualsiasi contenuto il diritto di proprietà (dal momento che è impedito di poter goder liberamente del bene). Tali vincoli spesso rimangono inalterati per decenni. Dopo il primo decreto di apposizione, infatti, il provvedimento di servitù viene prorogato ogni cinque anni.
Più volte, fino ad oggi, sono stati sollevati dubbi circa l’illegittimità del procedimento amministrativo seguito dal Ministero nel mantenere e prorogare questi vincoli. Tuttavia, la giurisprudenza amministrativa, ha sempre respinto tutti i rilievi giuridici fondati sulla violazione delle norme sul procedimento amministrativo e, in particolare, degli articoli 1, 3 e 7 della legge n. 241 del 1990. Vista la giurisprudenza consolidata, insomma, la sentenza n. 995 pronunciata dai giudici amministrativi di Lecce è destinata a creare un precedente importante.
Certo, qualora il Ministero proponesse appello, la parola passerebbe al Consiglio di Stato (grado d’appello rispetto alle decisioni del Tar). Il verdetto definitivo sulla vicenda, in altre parole, potrebbe cambiare il senso della sentenza, ma, nel frattempo, il Tribunale amministrativo di Lecce ha in ogni caso cambiato indirizzo. Nel ricorso si contestava tra le altre cose, «la mancata comunicazione di avvio del procedimento», la «violazione del principio del contraddittorio», l’«eccesso di potere per disparità di trattamento».
Secondo il giudice amministrativo della Prima sezione (che ha accolto le tesi della proprietaria del fondo, rappresentata e difesa dall’avvocato Giandomenico Daniele) i principi previsti per l’art. 7 della l. 241/1990 (comunicazione avvio procedimento, partecipazione dei privati al medesimo) sono stati recepiti dal D.M. 8 agosto 1996 n. 680 («Regolamento recante disposizioni di attuazione degli articoli 2 e 4 della legge 7 agosto 1990 n. 241, nell’ambito degli enti, dei distaccamenti, dei reaparti dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica nonché di quelli a carattere interforze). Ciò in quanto – secondo il Tar - l’articolo 5 del Decreto 680 ha riportato il testo dell’art. 7 della l. 241 del 1990. Ne consegue, pertanto che «anche per il procedimento di apposizione o di proroga di servitù militari sia necessaria la comunicazione dell’avvio del procedimento (…). La rilevata mancanza di comunicazione dell’avvio del procedimento si riflette, dunque, sulla legittimità dell’impugnato provvedimento, che, pertanto, va caducato». Si tratta di un cambiamento di indirizzo importante, specie per tutti i proprietari di fondi su cui gravano vincoli militari e che sono sottoposti a proroghe quinquennale. Un nuovo indirizzo giurisprudenziale capace di liberare i terreni da vincoli decennali ed invasivi. (La Gazzetta del Mezzogiorno)
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