sabato 13 giugno 2009

«Non si può morire di lavoro»

Don Ciotti e Vendola ieri sera in piazza Garibaldi commemorano le morti bianche
Il presidente di Libera: «Un filo rosso lega le vittime del lavoro e quelle della mafia»
Vendola: «Situazione drammatica, in Italia ci sono 4 morti al giorno sul posto di lavoro»

PAMELA GIUFRÈ (Gazzetta di Taranto, p.IV)
• C'è un filo comune tra le morti bianche e le vittime della mafia. Ed è anche per questo, ma non solo, che già da due anni don Luigi Ciotti, presidente nazionale di “Li - bera”, trascorre a Taranto il 12 giugno. Dal 2003, infatti, dopo la morte dei due operai dell’Ilva Paolo Franco e Pasquale d’Ettor re, nella città dei due mari questa data è diventata il simbolo per ricordare tutti coloro che hanno perso la vita sul lavoro ed il dolore dei familiari. Per questo ieri l’as - sociazione “12 giugno” ha organizzato la seconda giornata in ricordo delle vittime sul lavoro insieme al coordinamento contro le mafie - Libera - e con la collaborazione del Comune di Taranto e della sede ionica della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari.
”Sia chi muore sul posto di lavoro che chi perde la propria vita per mano della mafia - dice don Ciotti in piazza Garibaldi - è vittima dell’ingiustizia, anche se in forme diverse. Paga la non legalità”.
Ma il 12 giugno riuscirà a spezzare la tragica catena delle morti bianche? ”Per arrivare a dire mai più vittime nei luoghi di lavoro - risponde il presidente nazionale di Libera - c'è bisogno che tutti, a tutti i livelli, si assumano le loro responsabilità. Dalla politica alle istituzioni, che devono definire e rendere operative leggi adeguate fondate sulla prevenzione e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Fino ai cittadini”.
E sulla necessità di leggi a favore dei lavoratori, “il cui valore umano ha sempre meno prezzo”, si sofferma anche il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, arrivato in piazza Garibaldi qualche minuto prima che la Fanfara dei Bersaglieri cominciasse a suonare l’inno d’Italia: “Ci sono in media 4 morti al giorno sul posto di lavoro e 20mila feriti gravi. La situazione è drammatica. Il mondo del lavoro ha perso il suo significato originario di nobilitare l’uo - mo. Ed è inquietante l’atteggiamento del governo centrale che propone meno controlli e sanzioni. Il diritto alla vita non può essere espulso dentro i cancelli della fabbrica”.

La voce di don Ciotti che «sgrida» i politici
[marcello cometti]
Ci sono due universi paralleli che solo in alcuni sporadici frangenti, per pura combinazione, combaciano e si sovrappongono. C’è l’universo di chi pensa che le leggi siano un optional, un fastidio, un freno per la libera intrapresa e per le sorti magnifiche e progressive dei capitani d’industria. E c’è l’universo di chi invece ritiene che le leggi siano il pilastro fondamentale dell’umana convivenza, e con esse l’eti - ca, il rispetto dell’uomo, la tutela della dignità di chiunque. Senza bugie, senza doppifondi, senza trabocchetti. In questo secondo universo abita don Luigi Ciotti, prete indomito e fustigatore di coscienza, anima limpida e mai doma, che ancora una volta ieri sera a Taranto è venuto a gridare forte lo sdegno di chi vede la vita umana ridotta a numero, ad una cifra nel gran mare delle statistiche. Al cospetto dei politici, dei sindacalisti, dei congiunti delle vittime sul lavoro, questo sacerdote scomodo ad alto voce ha richiamato un’esortazione a fare di più, a fare meglio, a non voltarsi dall’altra parte. Una lezione per tutti. Un ammonimento che non deve cadere nel nulla.

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