“Turista tu balli e tu canti, io conto i defunti di questo Paese, dove quei furbi che fanno le imprese, no, non badano a spese... Ho un amico che per ammazzarsi ha dovuto farsi assumere in fabbrica. Tra un palo che cade ed un tubo che scoppia, in quella bolgia si accoppa chi sgobba; e chi non sgobba si compra la roba e si sfonda, finché non ingombra la tomba…” Sono i versi di “Vieni a ballare in Puglia”, il brano del noto cantante pugliese Caparezza, al secolo Michele Salvemini. Una forte denuncia contro il dramma delle morti bianche e lo sfruttamento del lavoro. Ieri l’ennesima tragedia: in Emilia, esplode un'azienda di gomma: perdono la vita due persone, sei feriti lievi. Poteva essere una strage di proporzioni ben più elevate. In serata una storica sentenza: accusati i sei manager della Thyssen Krupp, imputati per l'incidente nello stabilimento di Torino in cui morirono 7 operai. “Se - afferma Caparezza ad Articolo21 - io fossi il proprietario di uno stabilimento in cui muoiono i miei operai o le persone che abitano vicino alla mia fabbrica non dormirei certo sonni tranquilli”.
“Ho un amico che per ammazzarsi ha dovuto farsi assumere in fabbrica” recita un verso della tua canzone. Molto esplicito…
Sì, ma c’è anche chi ha frainteso quei versi e non so se lo ha fatto con un secondo fine. In ogni caso è un argomento che mi sta molto a cuore.
Tuo padre è stato un operaio
Sì ma non penso dipenda solo da questo. E’ un tema che mi tocca. Credo che fare l’operaio non sia un’ambizione ma qualcosa da fare per campare. E allora, quando ciò che già di per se è un sacrificio, viene reso un inferno, diventa ancora più paradossale ricordarsi che in Italia c’è un articolo della Costituzione, il primo...
Quando si è cominciato a parlare più nel dettaglio di sicurezza sul lavoro tu avevi già scritto questa canzone
Sì, ma non si tratta di doti di chiaroveggenza... L’ho scritta come la maggior parte di quelle che compongo, documentandomi. Alcune cose sono nell’aria. E le morti bianche hanno radici storiche. Negli anni settanta è stata fatta carne da macello in molte fabbriche italiane e in quasi tutte chi aveva responsabilità è rimasto impunito. In Puglia ci sono due grossi stabilimenti tristemente noti per queste vicende, il petrolchimico e siderurgico di Taranto e di Brindisi. Quello che è successo lì lo so anche grazie alle parole ancora piene di angoscia dei familiari delle vittime. Ma il problema non è solo loro.
E di chi?
Dei tanti che direttamente o indirettamente sono coinvolti. E delle ripercussioni. Sulla salute, ma anche dal punto di vista sociale ed economico. Penso alla provincia di Taranto e alle emissioni di diossina che, tra l ‘altro, hanno distrutto centinanti di capi di bestiame mettendo in ginocchio numerose famiglie di lavoratori. Le persone scuotono la testa, e si chiedono che cosa possono fare. Non si può far finta di niente ma questa sembra l’abitudine e l’indifferenza è forse la cosa che più mi innervosisce.
C’è una sua canzone dal titolo “Fuori dal tunnel” che condanna proprio l’imperturbabilità della gente, dei giovani soprattutto, di fronte a quello che accade loro intorno. Sono passati quattro anni da quando l’hai scritta. E’ cambiato qualcosa?
Ho la fortuna oggi di incontrare molti ragazzi attivi ed impegnati, ad esempio sul piano dell’ambiente. Ma non è, ahimè, lo specchio dell’Italia. La verità è che noi confondiamo il concetto di “ben-essere” con quello di “ben-apparire”. Sono due cose piuttosto diverse… In ogni caso sono ancora ottimista e mi rincuora vedere molti giovani non hanno perso la speranza e la volontà di mostrare la loro indignazione sulle tragedie del lavoro e su altre forme di ingiustizia. Certo l’informazione non li aiuta.
Per quale motivo?
Forse non fa audience. Certo è che per farsi un’idea di quello che succede intorno a noi bisogna andare al cinema. Se ad esempio vuoi saperne di più delle speculazioni sulle discariche devi vederti il documentario “Biutiful country”. Difficilmente riesci a farti un’idea di quello che succede nel mondo attraverso le emittenti televisive principali. E invece è di queste informazioni che i canali dovrebbero bombardarci piuttosto che con i pareri sui tradimenti tra uomo e donna.
E allora hai scelto di utilizzare la musica come denuncia sociale. L’arte supplisce ai limiti dell’informazione?
Non ho mai pensato di fare musica per divulgare certi temi. Sono temi che io sento vicini. E allora capita spesso che la mia indignazione si trasforma in una canzone. Penso che una canzone, forse più di una notizia, sia “infettante” e possa servire. Entri in un bar o la ascolti in radio. La canzone ti resta in testa ed è contagiosa… E può diventare un veicolo di informazione.
Potrebbe essere un’idea… Ma in fondo no, forse basterebbe essere solo un po’ più critici. Non prendere tutto per oro colato ma andarsi a cercare l’informazione. Scavando nelle notizie. Come ai tempi del fascismo quando l’informazione non circolava. Più si conosce e più cresce la possibilità di restare vigili e svegli.
Stefano Corradino su Articolo21
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