Ilva, la Cassazione sulla conferma degli arresti: "Il disastro ambientale è riconducibile ai Riva"
Il disastro ambientale nella vicenda dell'Ilva di Taranto è
riconducibile al gruppo Riva: lo evidenzia la prima sezione penale della
Cassazione nello spiegare il perché, lo scorso 16 gennaio, ha convalidato i domiciliari nei confronti del patron dell'Ilva Emilio Riva, del figlio Nicola come pure nei confronti dell'ex direttore dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso.
Con
"argomenti logici e immuni da interne contraddizioni" il Tribunale
della libertà di Taranto ha evidenziato che "il disastro ambientale"
nella vicenda dell'Ilva di Taranto "era certamente riconducibile anche
alla gestione successiva al 1995, quando è subentrato il gruppo Riva
nella proprietà e nella gestione dello stabilimento siderurgico e che
gli accertamenti effettuati hanno chiarito che l'inquinamento è
attuale".
In particolare, la Suprema Corte nelle motivazioni
contenute nella sentenza 15667, sottolinea come il Riesame di Taranto,
il 7 agosto 2012, abbia evidenziato, "la pervicacia e la
spregiudicatezza dimostrata da Emilio Riva e dal Capogrosso, ma anche da
Nicola Riva, succeduto alla presidenza del Consiglio di amministrazione
in continuità con il padre, che hanno dato prova, nei rispettivi ruoli,
di perseverare nelle condotte delittuose, nonostante la consapevolezza
della gravissima offensività per la comunità e per i lavoratori delle condotte stesse e delle loro conseguenze penali e ad onta del
susseguirsi di pronunce amministrative e giudiziarie che avevano già
evidenziato il grave problema ambientale creato dalle immissioni
dell'industria".
Quanto al pericolo di reiterazione del reato,
la Cassazione segnala che il parere positivo espresso dal Tribunale è
"coerente e non è contraddetto nè dalla circostanza che gli impianti
sono stati sottoposti a sequestro preventivo, nè dal venir meno delle
cariche degli indagati nell'azienda". Del resto, fa notare ancora Piazza
Cavour, "i Riva, pur non avendo più cariche, hanno tuttora la proprietà
dell'azienda con quel che ne consegue in termini di interesse in ordine
alle sorti dello stabilimento; inoltre, sono titolari del gruppo Riva".
Stesso
discorso vale per l'ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso
"tuttora dipendente dell'Ilva e del quale il Tribunale ha compiutamente
evidenziato la gravità e la reiterazione delle condotte e la piena
condivisione delle scelte aziendali consolidate negli anni". Sul
pericolo di inquinamento probatorio, poi, la Cassazione ricorda che non
ha alcun peso "la circostanza che le indagini preliminari si siano
concluse".
Nelle motivazioni, la Suprema Corte per dimostrare la
legittimità della decisione del Riesame di Taranto evidenzia ancora che
"è risultato che le concrete modalità di gestione dello stabilimento
siderurgico dell'Ilva hanno determinato la contaminazione di terreni ed
acque e di animali destinati all'alimentazione in un'area vastissima che
comprende l'abitato di Taranto e di paesi vicini nonché un'ampia zona
rurale tra i territori di Taranto e Statte tali da integrare i
contestati reati di disastro doloso, omissione dolosa di cautele contro
infortuni sul lavoro, avvelenamento di acque, posti in essere con
condotta sia commissiva che omissiva, con coscienza e volontà per
deliberata scelta della proprietà e dei gruppi dirigenti che si sono
avvicendati alla guida dell'Ilva i quali hanno continuato a produrre
massicciamente nella inosservanza delle norme di sicurezza con effetti
destinati ad aggravarsi negli anni".
Da qui il rigetto dei tre ricorsi. (Repubblica)
Emilio e Nicola Riva, ex presidenti
dell'Ilva, assieme all'ex direttore dello stabilimento di
Taranto Luigi Capogrosso, con "spregiudicatezza" e "pervicacia"
hanno "dato prova, nei rispettivi ruoli, di perseverare nelle
condotte delittuose, nonostante la consapevolezza della
gravissima offensivita' per la comunita' e per i lavoratori
delle condotte stesse e delle loro conseguenze penali". Lo
scrivono i giudici della prima sezione penale della Cassazione,
spiegando perche', il 16 gennaio scorso, decisero di confermare
gli arresti domiciliari per i tre indagati.
Condividendo le tesi del tribunale del Riesame di Taranto,
che il 7 agosto scorso aveva confermato la misura cautelare per
i Riva e Capogrosso, gli 'ermellini' rilevano che "il disastro
ambientale era certamente riconducibile anche alla gestione
successiva al 1995, quando e' subentrato il gruppo Riva nella
proprieta' e nella gestione dello stabilimento siderurgico
dell'Ilva e che gli accertamenti effettuati hanno chiarito che
l'inquinamento e' attuale". Inoltre, si legge nella sentenza
depositata oggi, "le concrete modalita' di gestione dello
stabilimento siderurgico dell'Ilva hanno determinato la
contaminazione di terreni ed acque e di animali destinati
all'alimentazione umana in un'area vastissima che comprende
l'abitato di Taranto e i paesi vicini, nonche' un'ampia zona
rurale tra i territori di Taranto e Statte".
Cio' integra, "ad avviso del tribunale - osserva la Suprema
Corte - i contestati reati di disastro doloso, omissione dolosa
di cautele contro infortuni sul lavoro, avvelenamento di acque,
posti in essere con condotta sia commissiva che omissiva, con
coscienza e volonta' per deliberata scelta della proprieta' e
dei gruppi dirigenti che si sono avvicendati alla guida
dell'Ilva i quali hanno continuato a produrre massicciamente
nell'inosservanza delle norme di sicurezza con effetti
destinati ad aggravarsi negli anni". Le emissioni che
"scaturivano dagli impianti, risultate immediatamente evidenti
sin dall'insediamento nel 1995 del gruppo dirigente dello
stabilimento Ilva - si legge ancora nella sentenza - sono
proseguite successivamente, come emerso in piu' occasioni, e
l'azienda, pur avendo assunto di volta in volta l'impegno a
provvedere alla riduzione delle emissioni nocive, ha dimostrato
poi di non aver ottemperato".(AGI)
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