venerdì 26 aprile 2013

Dalla brama (di soldi) alle bramme (d'acciaio)

Ilva, procura dissequestra parte dell'acciaio

    Via libera alla restituzione dell'acciaio Ilva destinato in Iraq. Resta il no, invece, alla revoca dei sigilli per la stragrande maggioranza dei prodotti sotto chiave dallo scorso 26 novembre. Nuova mossa della procura nel braccio di ferro scattato sulla sorte di un milione e settecentomila tonnellate di tubi, coils e bramme requisite perché ritenute frutto di reato.
    I pm, infatti, hanno disposto la restituzione di tubi per un valore di circa venti milioni di dollari. Si tratta per la precisione di una fornitura di 63.000 metri di tubature che rientrano nella commessa siglata con la Oil Projectc company, compagnia che agisce per conto del governo iracheno. Nel provvedimento di dissequestro, i magistrati fanno riferimento al principio della "vendita di cosa futura". In pratica quei tubi, in base a questa lettura, sarebbero stati ceduti alla società committente prima del sequestro. Niente da fare, invece, per la stragrande maggioranza di quel tesoro in acciaio, del quale i legali invocano la restituzione.
    Gli avvocati della grande fabbrica, infatti, richiedono l'applicazione della cosiddetta legge "salva Ilva", dopo che la Consulta, lo scorso 9 aprile, ha escluso i profili di incostituzionalità. Quella decisione, però, al momento è contenuta solo in un comunicato stampa della Corte Costituzionale. Per i magistrati occorre attendere la sentenza. Una posizione condivisa sia da gip e Tribunale che hanno già respinto le istanze di restituzione. Proprio dopo quel doppio niet, i legali del gruppo erano tornati all'assalto facendo esplicito riferimento al pericolo di una disdetta della commessa irachena, con conseguente rischio di danni per 27 milioni di dollari, tra merce e penali da onorare
    Quel grido d'allarme accompagnava la nuova istanza presentata in procura dall'Ilva per ottenere la restituzione dell'acciaio finito sotto chiave nell'ambito dell'inchiesta per disastro ambientale.
Nel giro di pochi giorni gip e Tribunale dell'appello avevano ritenuto inammissibili le richieste di revoca dei sigilli. Così il presidente dell'Ilva Bruno Ferrante era tornato a bussare in procura, invocando l'applicazione della normativa che consente alla grande fabbrica di continuare a produrre e a commercializzare i suoi prodotti a dispetto delle iniziative della magistratura.
   Alla nuova richiesta erano stati allegati contratti e fatture sulla vendita di tubi e coils, bloccati da novembre nei magazzini e sulle banchine del porto. "Entro il 5 maggio"  -  si leggeva nell'istanza  -  "Ilva dovrà adempiere a quanto previsto dal contratto stipulato con la Oil Projects Company del Governo dell'Iraq. In caso di mancato adempimento del contratto"  -  ribadivano i legali su mandato del presidente Bruno Ferrante, "il gruppo ne ricaverebbe un danno di quasi ventisette milioni di dollari". Di conseguenza si ventilava la possibilità che Ilva a quel punto imboccasse la strada della richiesta di risarcimento del danno al Governo Italiano. "Ad oggi  -  rilevavano gli avvocati  -  Ilva ha potuto rispettare solo parzialmente il contratto, perché il materiale già pronto per la spedizione è stato bloccato dal sequestro".
   Per il trasporto della merce Ilva ha anche noleggiato una nave mercantile, la "Karoline Snug" che è attualmente alla fonda nella rada di mar Grande con a bordo un carico solo parziale. "In caso di ritardo  -  spiegavano ancora i legali  -  la società committente sarà autorizzata a risolvere il contratto e a rivolgersi ad altre imprese, ed eventuali eccedenze rispetto al prezzo concordato nel contratto con Ilva ricadrebbero sempre sullo stabilimento tarantino". Nel ricorso firmato dal presidente Bruno Ferrante, si stigmatizzava anche che "esiste oramai da almeno quattro mesi una legge dello stato italiano che è disatteso" dal pubblico ministero. Scelta che veniva bollata come illegittimo. Oggi la decisione che dovrebbe allontanare i rischi per la redditizia commessa irachena. Resta in piedi, invece, il muro contro muro sul resto dell'acciaio. La procura ribadisce il suo no. Ed ora la parola torna al gip Todisco. (Rep Ba)

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