... e pensare che Taranto gli ha aperto gli occhi!
La Grande Fabbrica. Gennaro e gli anni all'ombra delle ciminiere di Bagnoli
Costretto dalla malattia su una carrozzina, Morra racconta in un libro la lunga stagione dell'Italsider e della dismissione dell'impianto. E di un quartiere
La fabbrica sul mare di Coroglio. Le ciminiere con le colonne di fumo, il suono delle sirene in piena notte, l´odore pesante del metallo rovente, il boato delle lastre di ghisa tuffate nell´acqua. Gennaro abita ancora lì, a Cavalleggeri, di fronte a quello scheletro di ruggine che oggi è l´ex Italsider. Ma ora quei rumori non li sente più. «Dal balcone di casa vedo il mare. E ancora mi sorprendo». Sono passati più di dieci anni dalla dismissione dell´Ilva ma Gennaro quell´immenso cantiere non lo dimentica. Anche se ha 37 anni e non ci ha mai lavorato. Ne ha però respirato i ritmi. Di notte, nel suo letto. Di giorno, seduto sulla sua carrozzina, compagna fedele sin dalla nascita.
Gennaro Morra è un ragazzo brillante con cui la vita non è stata clemente. Una lesione al cervello durante il parto lo inchioda ad una carrozzina con una tetra paresi spastica. A 17 anni, un linfoma di Hodgkin lo costringe a molti anni di chemioterapia. Ma sul volto sempre aperto al sorriso, le ombre di tante battaglie non si vedono mai. «Perché le ho vinte» dice, mentre lo sguardo gli si illumina. L´ultima conquista è un libro. "All´ombra della grande fabbrica" con prefazione di Giustino Fabrizio, (Cicorivolta edizioni, oggi la presentazione alle 18.30 all´Open Center di Pozzuoli in via Celio Rufo, 20), in cui Gennaro mescola vita personale e rivoluzione del quartiere di Bagnoli, all´indomani della chiusura della fabbrica. Una scrittura agile, leggera, una narrazione ben costruita. Da cui trapela una passione, la scrittura. Per lui l´ennesima prova. La malattia non gli consente di usare le mani che, ironia della sorte, sono lunghe e bellissime. Costretto a continui spasmi, non riesce a star fermo nemmeno un minuto. Lui, però ha aggirato l´ostacolo. E ha scoperto un metodo tutto suo per la videoscrittura: usa la tastiera con il naso, riesce così a usarla senza il mouse. «Questione d´abitudine» minimizza. Così ha scritto il suo libro. Lo spunto, un articolo scritto su Repubblica qualche anno fa, il libro riporta lo stesso titolo di quel pezzo pubblicato allora. L´argomento, Bagnoli e l´Italsider. «La fabbrica ha avuto per tutti un valore ambivalente. Ha dato lavoro alle famiglie e dall´altra parte le ha uccise. Non saprò mai se il linfoma che mi ha colpito è dipeso dall´aria che ho respirato in quegli anni. Certo è che l´altra sera seguivo un documentario sulla fabbrica di siderurgia a Taranto. E si parlava proprio del linfoma di Hodgkin, diffuso tra chi vive vicino all´industria».
Ora quei tempi sono lontani. Gli amici di famiglia che perdevano il lavoro, i compagni di scuola che raccontavano dei genitori al collasso, il quartiere che perdeva identità e così la gente. Lo spaesamento si ritrova tutto nelle pagine del libro. Mescolato alla vita a ostacoli di Gennaro. Prima la malattia da bambino. Che gli impone «una conquista per ogni cosa», a partire dalla scuola. Poi il nuovo nemico da combattere, il linfoma. Alla fine la vita nuova, il lavoro da webmaster, gli amici, la scrittura. Tutto "all´ombra della fabbrica", nello stesso quartiere, la Cavalleggeri operaia degli anni Settanta e Ottanta, quella senza fisionomia degli anni Novanta. Che ora Gennaro sogna di lasciarsi alle spalle. «Sogno una casa nel centro storico. Mi piace andare la sera in discoteca, al pub. E non posso farlo dove abito. A Cavalleggeri ci vai a dormire ma non puoi viverci». Ora sta ricominciando a scrivere, una specie di impresa tenere la penna tra due dita «lo faccio perché non voglio tirarmi indietro quando mi chiedono di autografare il libro». Un altro modo di combattere la sua diversità. Ma non ci si stanca sempre sul campo di guerra? «No, non desidero una vita tranquilla, che noia, non potrei sopportarlo. Voglio conquistarmele le cose, non importa che ci sia la fatica. Così me le godo di più». (Tiziana Cozzi, L'Espresso)
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