giovedì 25 giugno 2015

Trivellate palazzo Chigi!

Puglia, Basilicata e Calabria battaglia contro le trivelle «Sarà un’altra Scanzano»


Sarà un’altra Scanzano Jonico come contro il nucleare. Il Governo guidato da Matteo Renzi deve fare marcia indietro sulla prima autorizzazione alla ricerca di idrocarburi nel Golfo di Taranto rilasciata alla compagnia Enel Longanesi Developments srl. Il nostro è un no, secco e deciso, alle trivelle nello Jonio.Lo hanno dichiarato ieri, nel municipio del centro del Metapontino, nel corso di un incontro «operativo» convocato dal sindaco di casa Rocco Leone, l’assessore all’ambiente della Regione Basilicata, Aldo Berlinguer; gli amministratori, oltre che della città ospitante, di Scanzano Jonico, Nova Siri, Rotondella, Pisticci, Bernalda, Tursi, Taranto, dell’alto Jonio cosentino (Roseto Capo Spulico, Cassano allo Jonio, Rossano Calabro), più ambientalisti e operatori turistici.
Tutti hanno contestato l’autorizzazione rilasciata il 12 giugno scorso dal ministero dell’Ambiente, di concerto con il ministero dei beni culturali e del turismo, alla Enel Longanesi.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso. «Siamo incazzati neri», hanno detto Vincenzo Baio, assessore all’ambiente di Taranto; il sindaco Leone; e Rodolfo Alfieri, assessore di Rossano Calabro. «Taranto – ha spiegato Baio - ha già l’Ilva e il progetto Tempa Rossa, che aumenterà l’inquinamento generale. Ora il regalo della Enel Longanesi. Così, distruggendo la speranza alternativa al nostro sviluppo rappresentato dal mare, il disastro sarà completato». E Leone: «Sottolineo l’attacco alla storia e alla cultura. Le trivelle nelle acque della Magna Grecia profaneranno luoghi sacri». «Basta – ha aggiunto Alfieri – col Sud terra di conquista. Invece che darci infrastrutture ci rifilano lo sfruttamento del territorio».
Tutti hanno assicurato che i loro Comuni proporranno ricorso al Tar contro la concessione già rilasciata. D’accordo anche su una manifestazione di protesta. «E se non ci ascolteranno - ha promesso Alfieri - bloccheremo la Statale 106 cosi l’Italia si accorgerà della nostra battaglia». Toni duri sono stati usati anche da Felice Santarcangelo, portavoce di Noscorie Trisaia, organizzazione nata nei frangenti del battaglia contro il deposito delle scorie nucleari a Scanzano Jonico e da allora impegnata su più fronti tra cui quello anti trivelle.
«Il petrolio come i rifiuti radioattivi? - si è chiesto Santarcangelo - No, è peggio. Anche perchè l’autorizzazione concessa prevede l’uso della tecnica di ricerca “Air gun”. Bombe di aria compressa esploderanno sotto i fondali per verificare la presenza di giacimenti. Una tecnica che può mettere in movimento gli ipotizzati carichi di ordigni carichi di sostanze chimiche smaltiti nel Mediterraneo affondando le «famose» navi dei veleni e la frana accertata dal Cnr e da tre università. E quali danni subirebbero i cetacei che hanno il loro habitat nel nostro mare? Un disastro. Vogliamo lo Jonio libero dalle trivelle». E Sigismondo Mangialardi, operatore turistico, si è detto «sicuro che il governo Renzi ripenserà alle trivelle nello Jonio».
«Noi, però, è bene che facciamo sentire e teniamo alta la nostra voce di protesta». Ha concluso l’assessore regionale Berlinguer che con il governatore Marcello Pittella ha firmato una lettera-appello inviata al ministro Galletti per invitarlo a ripensarci: «La Regione Basilicata non da oggi ha detto no alla ricerca di idrocarburi nel mar Jonio. Le trivelle sono incompatibili con le attività di sviluppo che abbiamo già finanziato. Riteniamo l’arco jonico un’area di grande pregio naturalistico e turistico. Non ci saranno concessioni da parte nostra su questo aspetto. Siamo contrari. E faremo forza comune con Calabria e Puglia. Non si possono fare scelte simili sulla testa dei territori». (GdM)

«Petrolio, non c’è il via libera»

«Non esiste alcuna autorizzazione a svolgere attività di prospezione sismica, sui fondali dell’Adriatico, alla ricerca di petrolio». Lo sostiene il deputato barese Dario Ginefra (Pd) che, assieme alla collega Colomba Mongiello, ha incontrato la sottosegretaria allo Sviluppo economico Simona Vicari e il direttore generale del dicastero, il pugliese Franco Terlizzese.
Acquisite le delucidazioni, Ginefra sgombra il campo da informazioni «poco accurate» che rischiano di ingenerare un allarme ingiustificato. Soprattutto riguardo alle ipotesi di imminenti lavori di ricerca.
I decreti di giugno
«I decreti rilasciati all’inizio di giugno — afferma il deputato — si riferiscono alla sola dichiarazione di “Via”, valutazione di impatto ambientale: siamo nella cosiddetta fase “endoprocedimentale”». Ossia nello stadio di costruzione dell’eventuale provvedimento da adottare. Dunque, al momento, non è stata rilasciata alcuna autorizzazione a procedere con i sondaggi geo-sismici con il mezzo del cannone ad aria (tecnica dell’air gun). I decreti di Via «sono atti dovuti», dice il parlamentare, perché rispondono a domande molto risalenti nel tempo, alcune vecchie di dieci anni. «Attività di ricerca — dice Ginefra — non ce n’è e non è stata autorizzata. E se il sindaco di Polignano a Mare (nei giorni scorsi questi organizzò una manifestazione di protesta, ndr) dice il contrario, è un problema suo».
Le navi oceanografiche
Il fatto che ora non ci sia ricerca, non significa che non arriverà. «Se e quando l’autorizzazione ai sondaggi fosse rilasciata — replica il deputato — le ricerche dovranno essere eseguite con navi oceanografiche che avranno 45 giorni per esaminare l’intera area interessata, da Bari a Brindisi. Dunque un mese e 15 giorni e con nave, non certo con le trivelle di cui si parla in questi giorni, procurando un danno ai tanti imprenditori turistici che si stanno preparando alla stagione estiva. Inoltre, il cannone ad aria, agirebbe per gradi per non avere impatti nocivi sulla fauna marina: prima con onde più tenui per far allontanare i pesci, poi con quelle più forti per sondare i fondali. Il governo aspetterà la formazione della nuova giunta regionale prima di procedere con le autorizzazioni di ricerca».
La piattaforma al largo di Brindisi
Chiarito questo, è ovvio dedurre che le trivelle potrebbero arrivare. «Sì — dice il parlamentare barese — ma al massimo potrebbero avere l’effetto dell’analoga piattaforma che estrae petrolio al largo di Brindisi da 25 anni, senza che nessuno abbia mai protestato». Ginefra si dice d’accordo con il fatto che la Puglia paghi un costo altissimo, dall’Ilva alla centrale termoelettrica di Cerano, in termini di lesione all’ambiente. «Per questa ragione — aggiunge — ho suggerito alla sottosegretaria di istituire un tavolo che affronti il tema a largo spettro, interessandosi di tutte le questioni aperte». Infine un chiarimento: il decreto Sblocca Italia, votato dal Pd e anche dallo stesso Ginefra «non c’entra nulla» con le ricerche di cui si parla. «Le nuove norme — dice il deputato — valgono solo per le attività entro le 12 miglia dalla costa. Oltre quel limite, come per le ricerche petrolifere di cui si discute, vigono le vecchie regole».
La replica di Introna
«Non è ancora aperta la caccia al petrolio in Adriatico — replica a distanza il presidente del Consiglio Onofrio Introna, da sempre contrario alle ricerche — ma questa è una ragione in più per non abbassare la guardia. Il delitto nei confronti dell’Adriatico non è stato ancora consumato e questo ci deve spingere a intensificare il pressing leale e mai urlato della Puglia sui ministeri interessati, perché il governo Renzi, prima di decidere se proseguire nell’assalto cinico al mare, può decidere di fermarsi e ascoltare le istituzioni locali».
L’interrogazione
Intanto, il deputato del Pd Salvatore Capone, ha rivolto un’interrogazione al premier e ai ministri dello Sviluppo economico, dell’Ambiente e della Difesa. Il documento, sottoscritto da Ginefra e dagli altri deputati pugliesi del Pd, chiede di conoscere «lo stato dell’arte» sulla questione; di sapere quali iniziative si vogliano intraprendere a tutela del mare Adriatico; di conoscere le iniziative sugli ordigni inesplosi che giacciono sui fondali. L’interrogazione chiede di sapere se anche in considerazione della preoccupazione tra le popolazioni della Croazia «non si renda opportuno l’avvio di una moratoria in sede europea tale da definire protocolli comuni e condivisi» tra i Paesi che si affacciano sull’Adriatico. (CdM)

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