venerdì 26 giugno 2015

Chiarezza e lucidità

La tragica morte di Alessandro Morricella e il sequestro senza facoltà d’uso di AFO 2


LETTERA APERTA
Al        Dr. Franco Sebastio Procuratore della Repubblica di Taranto
                                                           Ing. Massimo Rosini Direttore Generale Ilva SpA
                                                          

Sono Biagio De Marzo, tarantino di 78 anni, ingegnere navalsiderurgico, pensionato, cittadino attivo. Dal punto di vista civico e professionale, ritengo di non essere uno sprovveduto. Nella mia vita ho seguito un principio inderogabile: fai bene quello che devi fare; se ti accade qualcosa di imprevisto, capisci bene cosa e perché è accaduto e adoperati perché non accada più. L’ho seguito anche da ecologista “anomalo”, lasciando parecchie tracce, anche scritte.
E vengo al dunque. Dopo un travagliato percorso, per l’Ilva di Taranto è stato deciso che “deve tornare a produrre in modo sostenibile e vantaggioso economicamente e socialmente”. Per essere certi che ciò sia ragionevolmente possibile, di recente ho proposto sulla stampa e in qualche sede politico/istituzionale di far effettuare ad ARPA Puglia la VIIAS (Valutazione Integrata Impatto Ambientale e Sanitario) di Ilva Taranto in vari scenari oltre quello “a prescrizioni AIA rispettate” (vedi l’OdG presentato dai Consiglieri comunali Capriulo, Liviano e Venere in calendario per il Consiglio comunale del 26 giugno). Le valutazioni di ARPA Puglia fornirebbero elementi importanti per delineare il futuro del siderurgico e, al limite, per evitare sprechi di tempo e di risorse.
Tutto questo è reso più difficile o, secondo alcuni, addirittura impossibile dal sequestro senza facoltà d’uso di AFO 2 a seguito del drammatico incidente dell’8 giugno che ha comportato la morte di Alessandro Morricella, il giovane lavoratore gravemente ustionato. E’ ineccepibile la motivazione del provvedimento assunto dall’Autorità Giudiziaria “in attesa di conoscere le cause dell’evento anomalo a base dell’infortunio, nonché di quelli successivi di minore entità seguiti nei giorni successivi, nel dubbio di un malfunzionamento degli apparati di segnalazione di anomalie, che possa costituire fonte di pericolo di eventi e reati analoghi”.
Sulla stampa si è ipotizzato che l’incidente sia avvenuto mentre si misurava la temperatura della ghisa nella fase di colaggio. Lo escludo categoricamente: quella è un’operazione standardizzata, ripetuta centinaia di migliaia di volte in 50 anni di esercizio degli altoforni di Taranto, senza incidenti mortali. E allora cosa è successo su AFO 2?
Per una decina di anni ho lavorato in area ghisa nel settore della manutenzione e, in qualche modo, ho avuto a che fare anche con gli altoforni. Scavando nella memoria, mi sono ricordato di una procedura particolare, talvolta messa in atto dal personale del campo di colata, chiamata NAKADOME’. Essa, pur essendo praticata in tutto il mondo, non è standardizzata e tantomeno scritta, ma è tramandata a voce tra gli addetti. So che negli anni ’60 i giapponesi avevano “ammaestrato” gli “italsiderini” di Taranto.
Era (è?) un’operazione non usuale, comandata e coordinata da un responsabile altofornista, quando con la “macchina a forare” non si riusciva a “pescare” la ghisa liquida nell’altoforno. Si adoperava, con tutte le cautele del caso, la “macchina a tappare” iniettando nel foro di colaggio pochi chilogrammi di massa a tappare impastata con catrame che, a contatto con l’altissima temperatura interna all’altoforno provocava un’esplosione cui seguiva il deflusso regolare della ghisa liquida. Il tutto avveniva in pochissimi secondi.
L’8 giugno 2015 su AFO 2 è stata fatta una NAKADOME’ andata molto male?
Ritengo che l’Autorità Giudiziaria, con la leale collaborazione della dirigenza e del personale Ilva, possa ottenere la risposta e, se del caso, disporre per le necessarie contromisure.
Ho vissuto personalmente una vicenda molto meno drammatica di quella di AFO 2 ma con alcune significative analogie. Nel 1971 ero direttore di macchina dell’incrociatore Vittorio Veneto, nave ammiraglia della Marina Militare. In navigazione ci fu un’esplosione nella camera di combustione di una delle caldaie principali dell’apparato motore. Mi dissero che la grave anomalia si era già verificata in passato senza individuarne la causa. Ordinai per interfono a tutto il personale di guardia in quel momento di muoversi dal loro posto solo dopo che io avessi “fotografato” e ricostruito con ciascuno di loro come stavano le cose al momento dello scoppio (assetto, manovre, segnalazioni, impressioni, ecc.). Non ricordo quante ore impiegai e quanti fogli di appunti riempii. Poi con calma, analizzammo il tutto ed individuammo in quali condizioni si formava la particolare combinazione di aria e combustibile che esplodeva invece di bruciare. Firmai un ordine di servizio per impedire il ripetersi di quelle condizioni. Il V. Veneto navigò regolarmente per decenni.
Qui, ora, si tratta di sapere cosa è successo su AFO 2. Serve per decidere se il Siderurgico di Taranto può continuare a funzionare, ovviamente operando correttamente e realizzando i lavori necessari antinquinamento, attesi i risultati delle VIIAS effettuate da ARPA Puglia, oppure se deve essere chiuso nel dubbio di malfunzionamento di tutto quanto avviene lì dentro.
Serve lucidità, coraggio e lealtà.

Ing. Biagio De Marzo, già dirigente Italsider.

Nessun commento: