La tragica morte di Alessandro Morricella e il sequestro senza facoltà d’uso di AFO 2
LETTERA APERTA
Al Dr. Franco Sebastio Procuratore della Repubblica di Taranto
Ing. Massimo Rosini Direttore Generale Ilva SpA
Sono
Biagio De Marzo, tarantino di 78 anni, ingegnere navalsiderurgico,
pensionato, cittadino attivo. Dal punto di vista civico e professionale,
ritengo di non essere uno sprovveduto. Nella mia vita ho seguito un
principio inderogabile: fai bene quello che devi fare; se ti accade
qualcosa di imprevisto, capisci bene cosa e perché è accaduto e
adoperati perché non accada più. L’ho seguito anche da ecologista
“anomalo”, lasciando parecchie tracce, anche scritte.
E
vengo al dunque. Dopo un travagliato percorso, per l’Ilva di Taranto è
stato deciso che “deve tornare a produrre in modo sostenibile e
vantaggioso economicamente e socialmente”. Per essere certi che ciò sia
ragionevolmente possibile, di recente ho proposto sulla stampa e in
qualche sede politico/istituzionale di far effettuare ad ARPA Puglia la
VIIAS (Valutazione Integrata Impatto Ambientale e Sanitario) di Ilva
Taranto in vari scenari oltre quello “a prescrizioni AIA rispettate”
(vedi l’OdG presentato dai Consiglieri comunali Capriulo, Liviano e
Venere in calendario per il Consiglio comunale del 26 giugno). Le
valutazioni di ARPA Puglia fornirebbero elementi importanti per
delineare il futuro del siderurgico e, al limite, per evitare sprechi di
tempo e di risorse.
Tutto
questo è reso più difficile o, secondo alcuni, addirittura impossibile
dal sequestro senza facoltà d’uso di AFO 2 a seguito del drammatico
incidente dell’8 giugno che ha comportato la morte di Alessandro
Morricella, il giovane lavoratore gravemente ustionato. E’ ineccepibile
la motivazione del provvedimento assunto dall’Autorità Giudiziaria “in
attesa di conoscere le cause dell’evento anomalo a base
dell’infortunio, nonché di quelli successivi di minore entità seguiti
nei giorni successivi, nel dubbio di un malfunzionamento degli apparati
di segnalazione di anomalie, che possa costituire fonte di pericolo di
eventi e reati analoghi”.
Sulla
stampa si è ipotizzato che l’incidente sia avvenuto mentre si misurava
la temperatura della ghisa nella fase di colaggio. Lo escludo
categoricamente: quella è un’operazione standardizzata, ripetuta
centinaia di migliaia di volte in 50 anni di esercizio degli altoforni
di Taranto, senza incidenti mortali. E allora cosa è successo su AFO 2?
Per
una decina di anni ho lavorato in area ghisa nel settore della
manutenzione e, in qualche modo, ho avuto a che fare anche con gli
altoforni. Scavando nella memoria, mi sono ricordato di una procedura
particolare, talvolta messa in atto dal personale del campo di colata,
chiamata NAKADOME’. Essa, pur essendo praticata in tutto il mondo, non è
standardizzata e tantomeno scritta, ma è tramandata a voce tra gli
addetti. So che negli anni ’60 i giapponesi avevano “ammaestrato” gli
“italsiderini” di Taranto.
Era
(è?) un’operazione non usuale, comandata e coordinata da un
responsabile altofornista, quando con la “macchina a forare” non si
riusciva a “pescare” la ghisa liquida nell’altoforno. Si adoperava, con
tutte le cautele del caso, la “macchina a tappare” iniettando nel foro
di colaggio pochi chilogrammi di massa a tappare impastata con catrame
che, a contatto con l’altissima temperatura interna all’altoforno
provocava un’esplosione cui seguiva il deflusso regolare della ghisa
liquida. Il tutto avveniva in pochissimi secondi.
L’8 giugno 2015 su AFO 2 è stata fatta una NAKADOME’ andata molto male?
Ritengo
che l’Autorità Giudiziaria, con la leale collaborazione della dirigenza
e del personale Ilva, possa ottenere la risposta e, se del caso,
disporre per le necessarie contromisure.
Ho
vissuto personalmente una vicenda molto meno drammatica di quella di
AFO 2 ma con alcune significative analogie. Nel 1971 ero direttore di
macchina dell’incrociatore Vittorio Veneto, nave ammiraglia della Marina
Militare. In navigazione ci fu un’esplosione nella camera di
combustione di una delle caldaie principali dell’apparato motore. Mi
dissero che la grave anomalia si era già verificata in passato senza
individuarne la causa. Ordinai per interfono a tutto il personale di
guardia in quel momento di muoversi dal loro posto solo dopo che io
avessi “fotografato” e ricostruito con ciascuno di loro come stavano le
cose al momento dello scoppio (assetto, manovre, segnalazioni,
impressioni, ecc.). Non ricordo quante ore impiegai e quanti fogli di
appunti riempii. Poi con calma, analizzammo il tutto ed individuammo in
quali condizioni si formava la particolare combinazione di aria e
combustibile che esplodeva invece di bruciare. Firmai un ordine di
servizio per impedire il ripetersi di quelle condizioni. Il V. Veneto
navigò regolarmente per decenni.
Qui,
ora, si tratta di sapere cosa è successo su AFO 2. Serve per decidere
se il Siderurgico di Taranto può continuare a funzionare, ovviamente
operando correttamente e realizzando i lavori necessari antinquinamento,
attesi i risultati delle VIIAS effettuate da ARPA Puglia, oppure se
deve essere chiuso nel dubbio di malfunzionamento di tutto quanto
avviene lì dentro.
Serve lucidità, coraggio e lealtà.
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