Trivellazioni nel Golfo di Taranto: Scajola non fa come Obama
I rischi di avere una piattaforma a pochi passi dalla costa: aumento dei valori di idrogeno solforato un gas fortemente velenoso con tossicità paragonabile al cianuro.
Chi vede più in là, un nano o un gigante? Sicuramente rispondereste con ovvietà il gigante, grazie alla sua altezza maggiore che gli permette di vedere più in là di un nano il quale ha una visuale molto ridotta causa la sua altezza limitata. Ma provate a mettere quel nano sulle spalle del gigante e riformuliamo la domanda. In questo caso le cose cambiano. È il nano a vedere più in là del gigante. L’Italia, se vogliamo prendere a prestito questo esempio, può essere paragonata al nostro amico nano che però non vuole salire sulle spalle del gigante. Chi sarebbe quest’ultimo? Gli Stati Uniti d’America. Nel giorno in cui il presidente Usa Obama impone il blocco delle trivellazioni petrolifere in mare (offshore), a seguito del disastro nel golfo del Messico che sta mettendo in ginocchio anche coste della Louisiana, e chiede di rivedere i requisiti di sicurezza delle petroliere. Mentre si cerca di arginare la marea nera che, stando a ciò che dicono gli esperti, è il peggior disastro ambientale per gli Usa, si registra un nuovo incidente ad una unità mobile di trivellazione: la Guardia costiera ha riferito che una piattaforma petrolifera si è rovesciata in canale nei pressi di Morgan City, in Louisiana. Bene (anzi male) nel mezzo di questo gravissimo evento, e direi nel momento meno indicato, visto che tutti gli occhi dei mass media mondiali sono puntati su questo catastrofico evento e dove si parla di disastro ecologico senza fine, l’Italia sembra essere la Biancaneve della situazione: si sveglia da un lungo sonno e sfregandosene degli avvenimenti mondiali (di una gravidà assurda poi) va proprio ad autorizzare la ricerca di idrocarburi nel posto più inquinato d’Europa già piegato in due da altre realtà industriali che ci fanno essere la città ad alto tasso di tumori e neoplasie cerebrali in età infantile. Possibile? Certo! Possiamo immaginarci il peso della vicenda per il ministro in bilico (a quanto pare dimissionario) Claudio Scajola, (certo più interessato alle dichiarazioni di Lory Del Santo sulle sue proprietà immobiliari che dalla parola biodiversità), ma è stata proprio la firma del titolare (ex) dello Sviluppo economico, che semplifica le procedure per le attività di ricerca petrolifera svolte d’intesa con le Regioni, a concedere il 30 aprile scorso, alla multinazionale Shell, il permesso di ricerca petrolifera offshore in un’area di 1356 km al largo del Golfo di Taranto. Ora bisogna aspettare i vari via libera da parte di tutti quegli enti chiamati in causa dopodiché, se la ricerca darà i suoi sperati frutti, la Shell farà della Puglia un’altra gallina dalle uova d’oro dopo la Basilicata, unica regione italiana dove il petrolio buono c’è (le piattaforme in questione sono Val d’Agri e Tempa Rossa) e produce affari. E così le cosiddette “carrette del mare”, interdette dalle acque statunitensi, si trasferirono nel Mediterraneo, il mare più inquinato da idrocarburi al mondo, dove però nessuno ha fatto tesoro dei disastri capitati, Italia in testa. Basti dire che il nostro paese non prevede la responsabilità delle compagnie petrolifere in caso di incidente (come invece avviene in America). Nel 1991, ad esempio, a largo della Liguria affondò la petroliera Haven, massacrando la costa e il mare con 50 mila tonnellate di petrolio, diecimila in più di quelle sversate dalla Exxon: il governo italiano accettò un risarcimento di 117 miliardi di lire. Una cifra incomparabilmente inferiore a quella pretesa solo tre anni prima dagli Stati uniti. Le persone devono conoscere quali sono i rischi delle piattaforme: aumento dei valori di idrogeno solforato a seguito delle trivellazioni. Una gas fortemente velenoso con tossicità paragonabile al cianuro. A temperatura ambiente, e a basse concentrazioni, l’idrogeno solforato è un gas incolore con odore di uova marce, che provoca disturbi neurologici, respiratori, motori, cardiaci e potrebbe essere collegato a una maggiore incorrenza di aborti spontanei nelle donne. Quello che avete appena letto non ce lo siamo inventati noi ma sono le parole della professoressa universitaria statunitense Maria Rita D’Orsogna durante il convegno su “Petrolio in Adriatico: danni e pericoli”. Ancora, la D’Orsogna si è soffermata sulla prospettiva di un petrolio definito “pesante e amaro, ossia ricco di zolfo e allo stato di fanghiglia con un indice 15” (nella scala dei valori 50 è il migliore). Petrolio quindi da desolforare a 25 chilometri dalla costa monopolitana - questo lo scenario - quando in California le piattaforme, per problemi di salvaguardia dell’ambiente, non possono essere a meno di 160 km dalla costa e in Norvegia a meno di 50. L´Organizzazione mondiale della sanità raccomanda, per quanto riguarda l’idrogeno solforato, di non superare 0.005 parti per milione (ppm), mentre in Italia il limite massimo previsto dalla legge è pari a 30 ppm: ben 6 mila volte di più. Nel mare italiano addirittura non ci sono limiti. Le attività di perforazione e produzione di petrolio off shore contribuiscono per il 2 per cento all´inquinamento marino. A completare il quadro dell´impatto ambientale ci sono infine i fluidi usati per portare in superficie i detriti: sono fanghi tossici difficili da smaltire perché contengono tracce di cadmio, cromo, bario, arsenico, mercurio, piombo, zinco e rame. Un ulteriore motivo di polemica è il rischio economico legato a un possibile incidente. Intanto, appena prima dell’autorizzazione alla Shell nel Golfo di Taranto, il Ministero dell’ambiente, contro il parere della Regione, ha autorizzato le trivelle della società irlandese Petroceltic Elsa nei fondali fra il parco nazionale del Gargano e l’area marina protetta delle isole Tremiti per cercare idrocarburi. E, solo per restare in Puglia, la società petrolifera britannica Northern Petroleum è stata da pochi mesi autorizzata a fare lo stesso genere di ricerche al largo di Monopoli.
Antonello Corigliano (Pugliapress)
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