lunedì 24 maggio 2010
L'ho visto nascere ed affermarsi
Era bello il panorama che si godeva dalla mia abitazione quasi trenta anni fa quando entrai in una cooperativa ai confini della Salinella. Il golfo di Taranto, da Capo San Vito sino alle propaggini del porto mercantile, le isole Cheradi, i monti della Calabria nelle giornate terse, tanto verde intorno, alcune abitazioni a due piani, il “muraglione” di Viale Virgilio sino alla sua fine, uno strano palazzone proprio sorto lì, a volte era visibile la lunga scia di un fumo che si perdeva all’orizzonte. Quest’ultimo particolare per me era cosa normale vista la sua provenienza a me familiare, nasceva nei pressi di quello che fu il luogo del mio trentennale posto di lavoro: il centro dell’area a caldo del più grande stabilimento siderurgico d’Europa. Quel “paesaggio” straordinario si completava sotto casa, dove ogni mattina un brulicare e vociare di bambini di una scuola elementare rendeva il tutto più gradevole. In tutti questi anni è tanto cambiato ciò che mi stava intorno e con esso la società, l’economia, la politica, le istituzioni, l’ambiente diremmo oggi, perché li comprende tutti. Una città nel frattempo impoveritasi nel suo “reddito procapite”, ricca solo per le sue grandi aziende ed il loro Pil ed oggi tra tante difficoltà economiche e qualche ripresa. Il saccheggio delle casse pubbliche della città da parte di una banda di manigoldi ha reso tutto terribilmente più grave. Ho anche visto sorgere e realizzarsi, in questo periodo, il nuovo Arsenale Militare, un raccordo stradale importante, due altre scuole che hanno sostituito quella piccola, originaria. Quest’ultima abbandonata si avviava in modo fatale a divenire con gli anni l’emblema delle contraddizioni di questa città…come tante altre. La sua piccola ma significativa storia, però, cambia nel marzo di due anni fa quando un gruppo di ragazzi nel primo mattino si introduce in essa attraverso un varco prodotto e poi subito da loro ricomposto. Sembrava all’inizio poter finire, come per tanti altri luoghi, il rifugio di molte solitudini, invece quei ragazzi cercarono ed ottennero uno spazio per stare insieme per socializzare per creare e ricrearsi. Quel luogo “fisico” divenne rapidamente “politico” nel senso vero, alto del termine. Tantissime iniziative culturali, spettacoli, ricreazioni, una palestra attrezzata, assente da sempre nel quartiere. Nacque "Il Cloro Rosso". Ragazzi di ogni parte del territorio trovavano lì occasione di incontrarsi, di discutere e divertirsi, la possibilità di ampi parcheggi che solo la periferia offre. Quella zona esterna della città in determinati momenti diveniva centrale, essenziale per molti giovani, alternativo al centro cittadino o a ritrovi lontani. Si era distanti fisicamente ma al tempo stesso al centro dell’attenzione dei riflettori dei mezzi di comunicazione. Una novità assoluta da valorizzare o cancellare. Alcuni hanno usato politicamente la vicenda e lo rifaranno puntualmente in questi giorni. Quale soluzione? Il terreno della legalità è fondamentale, ma questo deve valere per tutto e per tutti. Loro affermano che “ Lo stato di occupazione non è una rivendicazione identitaria ma un passaggio obbligato verso la conquista di spazi di autogestione e autorganizzazione, è per questo motivo che da 2 anni abbiamo intavolato una trattativa, complessa e sfiancante, con l’amministrazione comunale, una trattativa fatta di promesse, conferenze stampa risonanti e annunci pubblici ai quali però non è mai seguito un impegno concreto; fino ad arrivare all’epilogo beffardo di conoscere, tramite carta stampata, di essere sotto sgombero.” Questa vicenda ci insegna che essa è parte della più grande questione che un territorio possa avere, quella ambientale, cioè l’insieme di tanti fattori che interagiscono tra loro, quello economico, sociale, politico, culturale, morale, istituzionale. Se ne esce dando una svolta che leghi indissolubilmente la legalità alla politica alta, non quella dello sfratto senza garanzie certe che renderà tutto più difficile per la nostra città. Taranto ha già sperimentato amaramente l’uomo forte, prima e successivamente la donna della Provvidenza, non vogliamo che si ripetano quelle storie con il sindaco che voleva essere invece quello della speranza e della sua rinascita. Non uno ma cento di questi luoghi sono auspicabili, necessari, la nostra povertà culturale è, forse, peggio di quella materiale che stiamo vivendo, essa porta alla visione di una vita grama in cui il consumo resta l’unico obiettivo comune, la solitudine dell’individuo così tornerebbe ad essere la condizione, funzionale, per il governo del più forte di turno. (giancarlo g.)
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