Inceneritore a Taranto: chiesti danni per 7 milioni e mezzo
Sette milioni e mezzo di euro. È il conto, salatissimo, che la procura regionale della Corte dei Conti ha chiesto per l’affidamento della gestione dell’inceneritore. La vicenda giudiziaria, come è noto, si sviluppò lungo due direttrici, chiamando in causa da un lato l’ex sindaco Rossana Di Bello e, dall’altro, l’ex assessore al ramo Filippo Condemi, l’ex segretario generale del Comune Luigi Spada e l’architetto Marcello Vuozzo.L’unica ad essere assolta, come è noto, fu la dottoressa Di Bello. Gli altri imputati incassarono condanne, poi cancellate dalla prescrizione.
La magistratura contabile, però, non ha operato alcun distinguo nel chiedere alla sezione giurisdizionale di Bari che tutti gli “attori” (protagonisti e non) di quella vicenda paghino i danni subiti dal Comune di Taranto, per l’affidamento della gestione all’Ati «Tme Termomeccanica» a prezzi nettamente superiori a quelli contabilizzati da Amiu/Smal, fatta fuori dall’affidamento.
Secondo la dottoressa Adele de Gennaro, vice procuratore regionale, la dottoressa Di Bello “peccò” di negligenza nel non verificare la portata di quell’affidamento. Gli altri, secondo la prospettazione dell’accusa, ebbero invece un ruolo diretto, poichè avrebbero operato per l’assegnazione alla Tme invece all’Amiu/Smal che si erano associate.
Per questo motivo, la procura ha chiesto alla Corte dei Conti di condannare tutti al pagamento, in solido fra loro, della somma di denaro.
Nel dettaglio, come si ricorderà, l’ex assessore comunale Filippo Condemi incassò in appello la conferma della condanna di primo grado ad un anno e mezzo, mentre l'ex segretario generale del Comune Luigi Spada e l'ex dirigente dell’Ente comunale architetto Marcello Vuozzo beneficiarono della prescrizione. E la sentenza fu poi confermata in Cassazione.
Nella causa in Corte d’appello, l’avvocato Condemi puntò ad affermare la totale estraneità ai fatti, e chiese alla Corte che si pronunciasse nel merito, rinunciando alla prescrizione dei reati, ormai conclamata.
Il secondo grado del processo era legato al provvedimento dell’Ente con cui fu approvato nel 2000 l'affidamento della gestione dell'impianto comunale al raggruppamento di imprese guidato dalla Termomeccanica. Una decisione messa sotto accusa dall'inchiesta condotta dal pm inquirente Mariano Buccoliero, che in quel provvedimento ravvisò gli estremi di falso e abuso. Nel 2007, il tribunale condannò l'ex assessore, l'ex segretario generale e l'ex dirigente comunale.
Il Tribunale riconobbe anche il diritto al risarcimento rivendicato dal Comune, parte civile in giudizio mediante l'avvocato Pasquale Annichiarico, per volontà dell’allora commissario straordinario Tommaso Blonda.
Tutto era partito dalla denuncia presentata dal defunto Marcello Palminteri, per conto della Smal, la società creata appositamente per la gestione dell’inceneritore. Secondo quella denuncia, il Comune avrebbe dovuto affidare alla Smal la gestione e non già all’associazione temporanea d’imprese cui faceva capo la Termomeccanica. Con quella delibera, la numero 97 del 2000, invece la giunta capeggiata dall’allora sindaco Rossana Di Bello «aveva fatto proprie indicazioni errate», avevano scritto gli avvocati della Smal. L’esposto della Smal fece partire l’inchiesta divisa poi in due tronconi: quello che chiamò in causa la Di Bello e quello in cui furono condannati, con il rito ordinario, gli altri.
Per l’ex sindaco Di Bello, come si ricorderà, dopo la condanna in primo e secondo grado vi fu l’assoluzione perchè il fatto non costituisce reato. Il dispositivo fu emesso nel novembre del 2008 dalla Corte d’appello di Lecce. L’ex sindaco di Taranto fu affrancato dai reati di abuso d’ufficio e falso, contestati sulla scorta della delibera con cui l’ex giunta comunale aveva decretato nel giugno 2000 l’affidamento della gestione dell’inceneritore all’Ati capeggiata dalla «Tme Termomeccanica». La sentenza fu emessa dalla Corte d’appello, presieduta dal dottor Boselli (a latere i giudici Palazzo e Casabura).
La decisione, venuta a distanza di circa 9 mesi da quella della Cassazione che annullò la conferma della condanna di primo grado da parte della Corte di Taranto, sostanzialmente si piegò alle linee-guida degli «Ermellini», che aderirono alle argomentazioni della difesa della dottoressa Di Bello. La Cassazione, infatti, rilevò, nella sentenza della Corte di Taranto, una carenza di motivazione per spiegare la responsabilità, sotto il profilo psicologico, dell’ex sindaco. Tradotto più sinteticamente, significava che ai supremi giudici non convinsero le spiegazioni sul «perchè l’ex sindaco fosse consapevole che la delibera di affidamento era basata su un atto falso».
Davanti alla Corte dei Conti, della insussistente responsabilità dell’ex sindaco, e degli altri, hanno discusso fra gli altri gli avvocati Nicola D’Andria, Giuseppe Misserini e Pietro Relleva. La Corte si è riservata di decidere.(Quot)
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