L’Ilva “rimane di proprietà di Ilva spa, non diventa pubblica”. E
“potrà essere messa sul mercato tra due-tre anni”, probabilmente nel
2017 quando “secondo le nostre stime potrà ritornare in utile“.
Però, vista la spada di Damocle delle richieste di risarcimento
miliardarie che pendono sullo stabilimento, sarà “difficile” che uno
straniero voglia comprarlo. Parola del commissario straordinario dell’Ilva, Piero Gnudi, in audizione davanti alle commissioni Industria e Ambiente del Senato, che hanno ricevuto il decreto sul siderurgico di Taranto varato il 24 dicembre e devono esprimere il proprio parere.
“Il percorso studiato è l’amministrazione straordinaria“, ha ricordato Gnudi.
Nell’ambito di quel percorso sarà nominato un commissario (probabile la
conferma dello stesso Gnudi) e del comitato di sorveglianza.
Trattandosi di un fallimento, come ha spiegato Gnudi, questo comporterà
il blocco dei pagamenti con “alcune eccezioni per i fornitori considerati strategici”. Secondo quanto riferito da Gnudi questi saranno pagati dalla newco, la nuova società “a capitale pubblico che dovrebbe teoricamente prendere in affitto
l’azienda e che cercherà di porre in essere tutte le iniziative per
risolvere i problemi”. Al termine del contratto di affitto e a
risanamento avvenuto, “tra due-tre anni, l’azienda torna di proprietà
dell’amministrazione straordinaria che avrà la possibilità di venderla a
terzi, ma potrà anche venderla alla newco”. Sulla cui composizione però
Gnudi non si è sbilanciato: ha solo detto che sarà “decisa dal
governo”.
“Il piano industriale”, ha affermato poi Gnudi, “lo dovrà fare la
società che prende in affitto l’Ilva, però per capire in quante spanne
d’acqua siamo anche noi abbiamo fatto un piano a 5 anni. Quest’anno
perderemo dei soldi, perché bisogna chiudere, dopo il suo ciclo
ventennale, un forno che è il più grande d’Europa e ci sarà bisogno di
7-8 mesi per ricostruirlo. Ma nel 2016 si potrà tornare già in pareggio e
nel 2017 in utile”.
In seguito bisognerà vendere il siderurgico “a un gruppo che
garantisca che l’azienda continui ad operare in Italia”, ha auspicato
Gnudi. “Abbiamo fatto vari esperimenti e tentativi di vendere l’azienda e abbiamo trovato un forte interesse in vari tipi di imprenditori, due indiani (Ancelor-Mittal e Jindal, ndr), dei portoghesi, vari fondi e ci sono naturalmente anche gli italiani, Arvedi e Marcegaglia“. Queste
aziende “hanno mandato a Taranto fior di tecnici che hanno fatto un
esame accurato all’impianto e hanno tutti detto che forse è l’impianto
più efficiente d’Europa”. Solo che “ci sono già 4,5 miliardi di richieste di danno da parte di vari enti e c’è una causa che si chiama ‘Cliente svenduto’ in cui ci sono 1.600 parti civili. È un contesto molto complicato. Difficile che uno straniero si assuma una problematica” simile.
Nella mattinata di martedì l’aula del Senato ha intanto approvato il
parere espresso dalla commissione Affari costituzionali sui requisiti
costituzionali di necessità e urgenza del decreto Ilva, che inizia così
il suo iter parlamentare di conversione in legge. Un percorso che si preannuncia in salita: mentre continua a far discutere l’immunità concessa al commissario ma anche ai futuri acquirenti, il relatore Salvatore Tomaselli ha già auspicato “miglioramenti” al decreto che dovrà essere convertito, a pena di decadenza, entro il 6 marzo. (FQ)
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