martedì 13 gennaio 2015

E chi la vuole?

L’Ilva “rimane di proprietà di Ilva spa, non diventa pubblica”. E “potrà essere messa sul mercato tra due-tre anni”, probabilmente nel 2017 quando “secondo le nostre stime potrà ritornare in utile“. Però, vista la spada di Damocle delle richieste di risarcimento miliardarie che pendono sullo stabilimento, sarà “difficile” che uno straniero voglia comprarlo. Parola del commissario straordinario dell’Ilva, Piero Gnudi, in audizione davanti alle commissioni Industria e Ambiente del Senato, che hanno ricevuto il decreto sul siderurgico di Taranto varato il 24 dicembre e devono esprimere il proprio parere.
Il percorso studiato è l’amministrazione straordinaria“, ha ricordato Gnudi. Nell’ambito di quel percorso sarà nominato un commissario (probabile la conferma dello stesso Gnudi) e del comitato di sorveglianza. Trattandosi di un fallimento, come ha spiegato Gnudi, questo comporterà il blocco dei pagamenti con “alcune eccezioni per i fornitori considerati strategici”. Secondo quanto riferito da Gnudi questi saranno pagati dalla newco, la nuova società “a capitale pubblico che dovrebbe teoricamente prendere in affitto l’azienda e che cercherà di porre in essere tutte le iniziative per risolvere i problemi”. Al termine del contratto di affitto e a risanamento avvenuto, “tra due-tre anni, l’azienda torna di proprietà dell’amministrazione straordinaria che avrà la possibilità di venderla a terzi, ma potrà anche venderla alla newco”. Sulla cui composizione però Gnudi non si è sbilanciato: ha solo detto che sarà “decisa dal governo”.
“Il piano industriale”, ha affermato poi Gnudi, “lo dovrà fare la società che prende in affitto l’Ilva, però per capire in quante spanne d’acqua siamo anche noi abbiamo fatto un piano a 5 anni. Quest’anno perderemo dei soldi, perché bisogna chiudere, dopo il suo ciclo ventennale, un forno che è il più grande d’Europa e ci sarà bisogno di 7-8 mesi per ricostruirlo. Ma nel 2016 si potrà tornare già in pareggio e nel 2017 in utile”.
In seguito bisognerà vendere il siderurgico “a un gruppo che garantisca che l’azienda continui ad operare in Italia”, ha auspicato Gnudi. “Abbiamo fatto vari esperimenti e tentativi di vendere l’azienda e abbiamo trovato un forte interesse in vari tipi di imprenditori, due indiani (Ancelor-Mittal e Jindal, ndr), dei portoghesi, vari fondi e ci sono naturalmente anche gli italiani, Arvedi e Marcegaglia“. Queste aziende “hanno mandato a Taranto fior di tecnici che hanno fatto un esame accurato all’impianto e hanno tutti detto che forse è l’impianto più efficiente d’Europa”. Solo che “ci sono già 4,5 miliardi di richieste di danno da parte di vari enti e c’è una causa che si chiama ‘Cliente svenduto’ in cui ci sono 1.600 parti civili. È un contesto molto complicato. Difficile che uno straniero si assuma una problematica” simile.
Nella mattinata di martedì l’aula del Senato ha intanto approvato il parere espresso dalla commissione Affari costituzionali sui requisiti costituzionali di necessità e urgenza del decreto Ilva, che inizia così il suo iter parlamentare di conversione in legge. Un percorso che si preannuncia in salita: mentre continua a far discutere l’immunità concessa al commissario ma anche ai futuri acquirenti, il relatore Salvatore Tomaselli ha già auspicato “miglioramenti” al decreto che dovrà essere convertito, a pena di decadenza, entro il 6 marzo. (FQ)

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