Ilva, a Roma la protesta delle aziende fornitrici oggi incontro col ministro
La protesta contro l’ultimo decreto salva-Ilva varato dal governo Renzi sbarca in piazza Montecitorio a Roma. A guidarla non sono le associazioni ambientaliste, schieratesi sin da subito contro un provvedimento che proroga senza una data ultimativa i lavori necessari a rendere non più fonte di malattie e morte gli impianti dell’area a caldo del sideurgico, ma Confindustria Taranto e altre organizzazioni di categoria che rischiano a metà settimana, con l’ammissione dell’Ilva all’amministrazione straordinaria, di dover dire addio agli oltre 100 milioni di euro di crediti vantati nei confronti dell’azienda.Gli imprenditori di Taranto puntano ad essere ricevuti dalla presidenza del Consiglio per chiedere interventi urgenti. «La legge Marzano apre una procedura concorsuale» commenta il presidente di Confindustria Taranto, Vincenzo Cesareo. «Questo significa che, in assenza di correttivi, i crediti dell'indotto di Taranto rischiano di essere azzerati. Poiché le imprese avanzano ancora tanto dall’Ilva per i lavori dei mesi scorsi, è evidente che non ricevere più questi soldi, o vederli entrare in una prospettiva di massima incertezza, espone le stesse imprese a dei rischi.
Il pericolo è che salti un sistema locale - osserva Cesareo - nonostante l'attenzione che il Governo sta mettendo sul caso Ilva». Stamattina alle 10 gli imprenditori manifesteranno in piazza Montecitorio per andare poi a Palazzo Chigi, mentre a Taranto le aziende hanno bloccato ogni intervento nel siderurgico e annunciato la messa in libertà del personale, si calcola circa 3mila unità. Fim Cisl e Uilm Uil si sono schierate a sostegno dell’iniziativa organizzata da Confidustria, tanto che probabilmente ce ne sarà una analoga martedì a Taranto, con il coinvolgimento degli operai delle ditte dell’indotto.
Più cauta, invece, la Fiom Cgil che con il segretario provinciale Donato Stefanelli chiede al Governo di individuare «in tempi rapidissimi gli strumenti per salvaguardare il sistema degli appalti, che altrimenti verrebbe drammaticamente travolto se tagliato fuori dal percorso di salvataggio dell’Ilva» .
Stefanelli aggiunge che «non è in alcun modo condivisibile quanto annunciato da Confindustria di Taranto circa la sospensione delle attività nello stabilimento e la messa in libertà dei lavoratori dipendenti dalle imprese degli appalti. Una forma di protesta sbagliata e autolesionista che può portare allo spegnimento degli impianti dando così il colpo di grazia a tutto e a tutti, irresponsabile perché soffia sul fuoco della paura e della rabbia, e che qualora venisse assunta davvero ci indurrebbe ad attivare tutte le azioni, anche di natura giudiziaria, a tutela dei lavoratori coinvolti, anche perché per la messa in libertà non vi è alcun presupposto, tantomeno di natura giuridica».
Nell’Ilva, intanto, restano ferme tre colate continue delle acciaierie - si tratta della 1, 2 e 4 - e da oggi c’è lo stop della zincatura 2 che si aggiunge alla 1, fermata da sabato. Ancora in corso, inoltre, la fermata a rotazione degli altiforni 2, 4 e 5, ciascuno bloccato per 48 ore. È la conseguenza del mancato arrivo al siderurgico delle materie prime necessarie alla produzione: minerali di ferro, fossili, zinco. Le scorte sono al minimo, i fornitori non consegnano all'Ilva perché attendono che l'azienda vada in amministrazione straordinaria, e l’azienda deve decelerare per non fermarsi completamente, facendo smaltire ferie arretrate o mettendo in solidarietà 800 lavorat ori. Oggi, intanto, riprendono le audizioni del Senato sul nuovo decreto legge. Le commissioni Industria e Ambiente ascolteranno in serata Vera Corbelli, commissario per le bonifiche. Domani toccherà ad Andrea Guerra, consigliere del presidente del Consiglio, e a Giovanni Arvedi, presidente dell'omonima acciaieria. Inserata ci saranno i sindacati, mercoledì le associazioni ambientaliste mentre giovedì 22 sarà ascoltato Claudio Riva, presidente di Riva Fire, gruppo proprietario dell'Ilva.
Il ministro dello sviluppo economico Federica Guidi incontrerà nel pomeriggio i rappresentanti delle aziende dell’indotto Ilva che stanno manifestando davanti a Montecitorio. Le 250 imprese dell’indotto temono il blocco dei pagamenti che seguirà al passaggio di Ilva in Amministrazione Straordinaria. L’Ilva è esposta con le aziende di Taranto per 200 milioni di euro (150 milioni dei quali scaduti). "Sono a rischio 5.000 famiglie e il sistema industriale della città" ha detto il presidente di Confindustria Taranto Vincenzo Cesareo.
"Nonostante le rassicurazioni verbali non abbiamo nessuna certezza di rientrare fra i debitori strategici dell’Ilva che, come prevede la legge Marzano, saranno ristorati al 100%" spiega Vincenzo Cesareo. "Apprezziamo gli sforzi del governo e dell’attuale management- ha aggiunto Cesareo – ma ad oggi non abbiamo garanzie e se questa non arriveranno non ci resterà che mettere in libertà i nostri dipendenti perchè non possiamo pagarli e d’altra parte non si può lavorare gratis".
La situazione a Taranto è sempre più esplosiva, il decreto Ilva-Taranto, varato dal Cdm alla vigilia di Natale, con la conseguente messa in procedura fallimentare del polo siderurgico, rischia nell’immediato di portare il sistema industriale tarantino al default. "Fino ad oggi – ha aggiunto Cesareo – tutte le opere di ambientalizzazione previste dall’Aia le hanno fatte e pagate le aziende tarantine e per questo siamo esposti per 200 milioni.".
Da quando è in gestione commissariale l'Ilva ha sempre pagato con estremo ritardo a sette, otto mesi, ma pagava. Gli ultimi arretrati per dare gli stipendi di dicembre e le tredicesime ai lavoratori dell’indotto sono arrivati a fine anno per un ammontare di 10 milioni di euro. Fino ad oggi le aziende di Taranto lavoravano per un’Ilva gestita da un commissario straordinario governativo. Ora con l'amministrazione straordinaria si passa a una procedura fallimentare nella quale non tutti i debitori vengono ristorati e non tutti lo sono allo stesso modo.
"Se non avremo garanzie certe – dice Cesareo – bloccheremo L’Ilva di Taranto, non facciamo più entrare nè uscire nessuno. I sindacati condividono la nostra preoccupazione". (GdM)
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