Un articolo pubblicato sul sito Meteoscienze
ILVA: ALTRE DUEMILA PECORE VERSO L’ABBATTIMENTO…LA STORIA DELLE PECORE ALLA DIOSSINA
Nell’ormai consueto aggiornamento sulla situazione ILVA a Taranto mi è sembrato giusto raccontarvi una storia forse poco conosciuta dal grande pubblico nazionale, ma che merita di essere raccontata a causa dei suoi riflessi aberranti quanto incredibili. A Taranto nel 2008 vennero abbattute circa 1700 pecore della masseria Fornaro e di altre otto masserie nei pressi dello stabilimento siderurgico tarantino perché le loro carni e il latte da loro ricavato era inquinato da diossina, oggi, a distanza di due anni si va verso l’abbattimento di altri 2000 capi appartenenti alla azienda zootecnica dell’allevatore Antonio D’Alessandro situata in un’area limitrofa alla zona industriale di Taranto e già da tempo sottoposta, come altre masserie in quelle stesse vicinanze, a vincolo sanitario.
Stando alle analisi effettuate nei mesi scorsi, sui campioni di carne prelevati nell’azienda D’Alessandro, sono stati rinvenuti livelli di non conformità al limite consentito di diossina nelle carni e nel latte prodotto ed utilizzato per l’alimentazione dei capi allevati. Da qui l’ordinanza di abbattimento emanata dall’USL di Taranto e non ancora eseguita. Dunque mentre in provincia di Napoli, giustamente, ha fatto molto scalpore l’inchiesta relativa alla contaminazione delle carni e del latte derivato da bufale nutrite con foraggio contaminato dalla diossina derivante dalla combustione di rifiuti tossici. A Taranto alla luce del sole per quasi cinquant’anni una azienda, prima pubblica ed ora privata, ha potuto indisturbata scaricare in atmosfera quantitativi così ingenti di diossina e PCB da contaminare le carni di innumerevoli animali dei quali si è cibata l’intera popolazione tarantina per anni. A tal proposito le prime analisi della concentrazione di diossina su abitanti di Taranto furono fatte nel 2008 dall'associazione Tarantoviva, con i soldi dei vari iscritti. Fu prelevato il sangue di dieci volontari e analizzato dal laboratorio Inca di Venezia: il sangue del campione delle persone più anziane, le più esposte, conteneva il livello di diossina più alto mai registrato nella casistica internazionale. Successivamente l'associazione “bambini contro l'inquinamento” fece analisi sul latte materno di alcune donne tarantine mentre Peacelink faceva analizzare il formaggio locale. Il responso fu sempre lo stesso: la diossina era dovunque. Dunque oggi, a distanza di due anni contraddistinti da una lunga battaglia contro la diossina e per l’abbattimento delle emissioni velenose dell’ ILVA ci tocca commentare un nuovo abbattimento, che oltre alla crudeltà dell’opzione (sulla quale va detto ci si sta attivando affinchè si trovi una soluzione alternativa che salvi il bestiame, a tal proposito c’è un progetto di trasformazione della masseria in un centro per la pet terapy) fa emergere l’annosa e inquietante domanda: “Quale è stato e quale è il reale tributo che la nostra comunità tarantina ha dovuto pagare in questi anni per tenere in piedi il “mostro d’acciaio”?”. Negli scorsi articoli abbiamo pubblicato le gravi affermazioni del Direttore dell’ ARPA Puglia sui morti provocati dal benzopirene al Rione Tamburi (due in più l’anno), ma probabilmente mai nessuno potrà sapere quanti hanno perso la vita e la perderanno nei prossimi anni a causa della diossina. Per quanto ancora permetteremo che ciò accada, per quanto i tarantini accetteranno colpevolmente che si calpesti il loro più inviolabile diritto -quello alla salute? Vi terremo informati, come al solito, sui prossimi sviluppi della questione, la nostra battaglia di informazione è appena iniziata.
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