sabato 26 giugno 2010

Povero mare..

LEGAMBIENTE PRESENTA “MARE MONSTRUM 2010″

Cattiva depurazione, inquinamento e cemento abusivo sono i mali endemici del mare italiano, che niente e nessuno sembra poter scalfire. Persistenti sacche d’illegalità a danno delle coste e dell’ecosistema marino, sulle quali, come ogni anno, Legambiente fa il punto nel suo rapporto Mare Monstrum. L’edizione 2010 del dossier è stata presentata questa mattina a Venezia, in occasione della partenza della Goletta Verde, la storica campagna di monitoraggio delle acque marine dell’associazione ambientalista. L’abusivismo edilizio cresce del 7,6% rispetto all’anno precedente e l’inquinamento derivante da scarichi fognari illegali, cattiva depurazione e inquinamento da idrocarburi addirittura del 45%. I sequestri aumentano del 46,2% passando dai 4.049 del 2008 ai 5.920 del 2009. Calano invece del 40% circa i reati accertati fra la costa e il mare, 8.937 infrazioni nel 2009 a fronte delle 14.544 del 2008, un calo determinato soprattutto dalla riduzione di reati accertati nel campo della pesca (-72,4%) e della nautica da diporto (- 76,6%).
Sempre in testa nella classifica delle illegalità le regioni a tradizionale presenza mafiosa, dov’è stato accertato il 59% del totale dei reati (a fronte del 55,5% del 2008). La Campania con 1.514 infrazioni è stabile al primo posto, seguita dalla Puglia con 1.338 infrazioni, dalla Sicilia con 1.267 infrazioni e dalla Calabria con 1.160 infrazioni. C’è da dire che la riduzione nei reati registrata quest’anno è in parte frutto del lavoro di prevenzione dell’illegalità svolto negli anni dalle forze dell’ordine, ma in parte anche riconducibile al significativo calo dei controlli effettuati dalle Capitanerie di porto, passati dai 618.126 del 2008 ai 529.700 del 2009 con una flessione del 14,3%, determinata da una riduzione di risorse economiche destinate alle attività investigative e repressive che ha penalizzato i controlli svolti in mare, sicuramente più costosi.
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Tra le novità di quest’anno, anche la minaccia di nuove trivellazioni nel mare italiano. La preoccupazione è tanta e rimanda alla tragedia che si sta consumando negli ultimi due mesi nel Golfo del Messico, con l’incidente occorso alla piattaforma petrolifera della British Petroleum. Molte società energetiche hanno infatti avanzato richieste di ricerca, e in alcuni casi ottenuto permessi, in un’estensione di circa 39mila kmq dislocati in 76 aree, per la gran parte di elevato pregio ambientale e considerate zone sensibili proprio per i loro ecosistemi fragili e preziosi da tutelare. Le attività di ricerca in mare di idrocarburi sono concentrate nel mar Adriatico, Ionio e nell’area antistante la Sicilia meridionale e occidentale: si tratta di 24 permessi di ricerca rilasciati per una superficie complessiva di circa 11mila kmq. I luoghi più interessati dalle attività di ricerca di petrolio sono la costa tra le Marche e l’Abruzzo (3 permessi di ricerca), il tratto di costa pugliese soprattutto tra Bari e Brindisi (2), il golfo di Taranto e il canale di Sicilia (12). L’ultimo permesso in ordine cronologico è stato rilasciato pochi giorni fa alla Shell Italia per avviare le prospezioni in un’area di mare di 1.356 kmq di fronte al golfo di Taranto. Ma la multinazionale energetica sta già pensando a nuove ricerche nel canale di Sicilia a caccia di uno dei più grandi giacimenti d’Europa. E i tratti di mare che rischiano l’arrivo di “trivella selvaggia” e piattaforme nei prossimi anni potrebbero essere molti di più: dal 2008 ad oggi infatti sono state presentate altre 41 domande per 23.408 Kmq. (Globalpress Italia)

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