domenica 6 giugno 2010

Ora si sa...

COMUNICATO STAMPA
Taranto libera chiede la chiusura delle cokerie

Il 98% del benzo(a)pirene prodotto nell’area industriale, proviene dalle cokerie dell’Ilva. Questo quanto dichiarato dall’ARPA. Taranto libera tiene a sottolineare che il benzo(a)pirene è classificato come cancerogeno certo (CATEGORIA 1) dall’Agenzia per la Ricerca sul Cancro (IARC) e non come probabile cancerogeno (categoria 2), cosi come erroneamente riportato nella relazione tecnica dell’ARPA. Gli IPA sono classificati come potenziali cancerogeni per l’uomo (categoria 2B), in fase di studio, ma non per questo meno pericolosi. La comunità scientifica rappresentata da esperti e studiosi è concorde nel ritenere che anche la sola possibilità di rischio per la salute è condizione necessaria e sufficiente ad avviare una immediata mobilitazione per la tutela della salute pubblica. Nel caso di Taranto per il benzo(a)pirene, cancerogeno certo, per tutti gli IPA (cancerogeni potenziali) e per molti altri inquinanti altrettanto pericolosi (benzene e metalli quali Hg, As, Pb, Cd) nessuna mobilitazione seria è stata effettuata da parte del primo responsabile della tutela della salute dei cittadini: il sindaco Ippazio Stefàno.
La relazione tecnica dell’ARPA giunge alla nostra attenzione, dopo un lavoro cominciato da tempo ed i cui primi dati erano già noti almeno da giugno del 2009. Nel corso di una conferenza sulle attività di controllo di ARPA Puglia (16 giugno 2009), il Dott. Roberto Giua, Responsabile del Servizio Aria ARPA Puglia, ci comunicava che nel 2005, secondo dati ISPRA, l’Ilva emetteva in aria, il 95% degli IPA provenienti dall’area industriale. Inoltre, nel corso della stessa conferenza, l’ARPA dichiarava: ‘’Appare evidente come questi rilevanti contributi emissivi di IPA non possano non dare un altrettanto significativo contributo alle immissioni in aria nelle zone vicine all’area industriale’’. Per il monitoraggio del benzo(a)pirene nella postazione di via Machiavelli nel 2008 la media annuale era pari a 1,26 ng/m3, superiore al limite di 1 ng/m3 previsto dal D.Lgs. 152/2007. Nel 2009 si arriva a 1.31 ng/m3. Il valore medio annuale risulta essere quindi superiore a quello dell’anno precedente. Tutto era già noto, nulla di nuovo.
E se di fronte ai dati ISPRA l’Ilva nella persona dell’Ing. Buffo, sostiene di rispettare tutti i limiti di legge, noi crediamo in sostanza che se anche questo fosse vero, non sarebbe sufficiente la semplice dichiarazione. I fatti vanno documentati.
La mancanza di un campionamento in continuo per molti inquinanti, non garantisce il rispetto dei limiti di legge per tutti gli inquinanti. Inoltre, quand’anche questo fosse applicato, non conosciamo le misure adottate in caso di superamento dei limiti consentiti. Per la legge anti-diossina (n. 44/2008), ad esempio, se fosse applicato il campionamento in continuo (sospeso poiché in deroga col protocollo integrativo, 19 febbraio 2009) in caso di superamento dei valori di legge, non si ordinerebbe la chiusura dell’impianto ma un fermo temporaneo e solo dopo essersi accertati del mancato rientro dei valori di emissione entro i limiti di legge (60 giorni di tempo). Ancora una volta ci troveremmo di fronte ad una strada senza uscita.
Inoltre, i limiti di legge a livello nazionale sono molto meno rigorosi rispetto al resto dell’Europa (per le diossine 0.4 ng/m3 in Italia, 0.1 ng/m3 in Europa).
Non solo. Nel caso del benzo(a)pirene, il valore obiettivo di 1 ng/m3 è calcolato come media annuale. Cio’ vuol dire che, ammettendo l’esistenza di sistemi in grado di abbattere le emissioni riportandole al valore obiettivo, il calcolo verrebbe effettuato con un’approssimazione che non offre una misura del reale grado di esposizione degli abitanti del quartiere Tamburi. Oltre a questo, è da contestare il valore di Unit Risk dell’OMS, che l’ARPA indica per il calcolo della stima dei nuovi casi di tumori. Tale valore, infatti, non tiene conto della maggiore predisposizione alle patologie acquisita da parte della popolazione che per anni è stata esposta ad agenti inquinanti che minano in primis le loro difese immunitarie e che quindi la rendono piu’ vulnerabile nei confronti di ogni sorta di agente tumorale, anche ad una concentrazione minima.
La stima delle incidenze puo’ e deve essere studiata solo mediante la valutazione dei casi incidenti man mano che ci si avvicina al sito industriale (mappe epidemiologiche) e non tramite semplici formule matematiche.
In conclusione, riteniamo che coloro i quali hanno sempre sostenuto la chiusura dell’area a caldo dello stabilimento Ilva, solo osservando e valutando dati oggettivi sull’ abnorme mortalità per tumori e malattie correlate ad inquinamento ambientale, hanno avuto ragione. Medici (vorremmo per questo ricordare il Dott. Patrizio Mazza), ancor prima delle associazioni ambientaliste, hanno lanciato da tempo un grido d’allarme. E allora prima ancora che si ripresenti l’occasione in cui anche le associazioni e i comitati, possano dire ‘’ve lo avevamo detto’’, chiediamo alle Istituzioni di mobilitarsi quanto prima per la chiusura di tutta l’area a caldo. E’, infatti, impossibile pensare ad una compatibilità tra le cokerie ed una città che vive a ridosso dell’industria. Taranto libera ed altre associazioni e comitati, da tempo sostengono la chiusura dell’area a caldo, da tempo manifestano la loro contrarietà ad una ipotesi di eco-compatibilità. Quale puo’ essere la soluzione? La suggeriamo al sindaco Stefàno: la chiusura dell’area a caldo, prevedendo un piano di riconversione, prima che sia troppo tardi.
Coordinamento Taranto libera.

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