Nel campo di accoglienza per minori di Taranto: la solidarietà nata all'ombra dell'Ilva
Quattordici ragazzini corrono dietro a un pallone in un piccolo campo da calcetto. Poco più avanti un altro gruppetto ascolta musica rap a tutto volume. Altri cinque invece con l'accappatoio sulle spalle puntano dritto verso il centro d'accoglienza per farsi una doccia calda.Il centro per minori non accompagnati “Noi e Voi” di Taranto è un distillato di storie e integrazione. In un quartiere, il Paolo VI, a pochi metri dall'Ilva, dove lungo i viali che tagliano in due i palazzoni bianchi si respira il disagio sociale e le polvere sia dell'impianto siderurgico sia delle raffinerie.
Nel campo d'accoglienza vivono da oltre un anno in cinquanta, partiti da soli e da terre lontane: Gambia, Nigeria, Ghana, Costa D'Avorio. Partiti senza nulla, ora eccoli lì correre e indossare la maglia dell'Inter numero 9 di Eto'ò o quella della Juventus di Pogba. I loro eroi. I loro Maradona.«Sono arrivato l'anno scorso dalla Libia», racconta a “l'Espresso” Beck. È partito dal Gambia, ha attraversato il deserto senza acqua e senza niente. Dopo un tempo indefinito, nemmeno lui ricorda quante settimane, quasi volesse rimuovere quella traversata per tanti suoi coetanei mortale, finalmente è arrivato in Libia.
«Quando sono arrivato a Tripoli è stata la parte peggiore del viaggio: sono stato picchiato, arrestato solo perché ho la pelle nera. È stato un incubo». Beck è fuggito dalla sua terra perché la sua famiglia è perseguitata dal governo: «I miei genitori hanno avuto molti problemi con il presidente», spiega senza spingersi oltre nei particolari.
Ha ottenuto da poco lo status di rifugiato: anche in Puglia, come in Sicilia, le commissioni territoriali impiegano molto più tempo dei 90 giorni previsti per legge. «La risposta arriva solitamente dopo un anno», conferma una educatrice. Beck si è pagato il viaggio lavorando. Le sue braccia vendute a costo zero per assicurarsi la traversata verso l'Italia. « L'ho pagato lavorando in Libia, facevo le pulizie gratis e il signore per cui lavoravo mi ha poi affidato agli scafisti». Il mercato degli uomini che scappano da guerre e fame ingrassa molti signorotti locali. Beck è uno dei tanti. Braccia e carne di passaggio dal corridoio libico. Pescato da un barcone dalle navi della Marina durante l'operazione Mare Nostrum. Salvo grazie a Mare Nostrum. Ci vuole tanto, troppo coraggio, cantava De Andrè ne 'La guerra di Piero'. E Beck di forza ne ha tanta. Ha visto morire i suoi compagni di viaggio nel deserto. Altri sono ancora chiusi in Libia. Lui ce l'ha fatta. E vuole restare a Taranto. Si sente tarantino. «Ehi Beck durante l'intervista non parlare in dialetto» lo prega l'operatrice sociale. Lui sorride, e guarda avanti.
«Mare Nostrum ha salvato molte vite, e nel nostro centro sono arrivate molti più minori», osserva Don Francesco, il direttore del centro. «Erano tutti minorenni, ora sono molti di loro sono diventati maggiorenni e sono integrati perfettamente nella comunità, nel quartiere, già difficile per altri problemi, ma con grande spirito di accoglienza», continua il parroco, che aggiunge: «Pensi che molti di loro seguono il Taranto calcio, hanno persino costituito un gruppo di supporters, Gambia rossoblu».
Ogni ragazzo ha un po' di pocket money, 2,50 euro al giorno. Ma ogni spesa è tracciata dagli operatori che sui soldi sono molto rigidi per evitare che vengano usati per comprare sostanze o roba vietata. La prefettura versa al centro 35 euro al giorno per minore. Soldi che servono a pagare gli educatori, le bollette, le uscite, il cibo, l'alloggio e la quota giornaliera ai ragazzi.
Arif invece viene da Palermo. Lo incontriamo al centro di Taranto, ma è in visita con il gruppo di giovani di 'Crescere al Sud', che da Palermo sono partiti verso Roma toccando varie città e paesi del Mezzogiorno. Arif è partito dal Bangladesh a 17 anni. Oggi ne ha 19. «In furgone ho attraversato Bangladesh, India, Iran, fino in Grecia. Poi da qui in barca sono arrivato in Italia. Altre persone mi hanno consigliato di andare a Palermo e così ho preso il primo treno e l'ho raggiunta. Per due giorno ho dormito in stazione». Solo, senza un euro e senza documenti. La sua vita stava per predendere una brutta piega, quando un suo connazionale gli ha indicato una signora da cui andare per chiedere aiuto. Solo allora ha lasciato la strada e i marciapiedi della stazione per entrare in comunità. Ha iniziato gli studi, conosce tre lingue, ha nostalgia di casa e sogna di trovare un lavoro al più presto dopo aver finito un corso di formazione a Marsala.
L'integrazione, resa impossibile dagli slogan xenofobi al Centro Nord, è diventata realtà qui. In un quartiere dilaniato da disoccupazione, avvelenato dall'industria pesante e impoverito dalla criminalità.(L'Espresso)
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