sabato 30 maggio 2015

Come abbiamo fatto senza questo "coworking"?

L’Agenzia di Terra Jonica, uniti per creare lo sviluppo

Se da un lato la Politica e’ chiusa nel silenzio elettorale, fisiologico alla delicatezza del momento, dall’altro si leva la voce delle Istituzioni che ritrovano una rinnovata energia per concretizzare le aspirazioni del territorio.
L’occasione e’ fornita dall’Agenzia di Sviluppo Terra Jonica - Fondazione Taranto e la Magna Grecia, presentata questa mattina presso la Sala Monfredi della Cittadella delle Imprese in una mirata conferenza stampa. Si tratta  di un organismo di Intelligenza Economico Territoriale, uno strumento progettuale, di supporto e di raccordo tecnico/professionale, la cui attivita’ e’ stata messa a disposizione del Tavolo Istituzionale per Taranto, nella riunione svoltasi il 20 maggio scorso presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.  Dunque un positivo percorso di consultazione, inclusione e sintesi operativa secondo un modello di coworking che consente alle istituzioni di cogliere i fabbisogni socio-economici della area jonica, valorizzarne le vocazioni e tradurre tutto cio’ in progetti ed interventi concreti.
Soci fondatori dell’Agenzia sono: Comune di Taranto, Provincia di Taranto, Camera di Commercio di Taranto, Universita’ degli Studi di Bari.
La guida del coordinamento e’ stata affidata alla professionalita’ del dott. Roberto Falcone. E’stato proprio il Presidente del neo organismo ad aprire la conferenza stampa tracciando il percorso che ha portato alla nascita dell’Agenzia di Sviluppo. “La crisi congiunturale che ha travolto il sistema economico-finanziario ha minato al cuore il Sistema Taranto già in sofferenza per cause strutturali” - ha esordito Falcone.”E’ nato di conseguenza un serrato dibattito all’interno della Camera di Commercio che ha avvertito la necessita’ di dotare l’area jonica di uno strumento capace di trasformare le proteste in proposte, di fare sintesi tra le vocazioni socio-economiche e trasformarle in risorse produttive”.
Gianni Azzaro, vice presidente della Provincia di Taranto ha rimarcato l’importanza di questa nuova opportunita’ che viene data al territorio di Taranto e provincia. “Per questa ragione l’Ente che rappresento da subito ha manifestato la propria condivisione ed adesione al progetto dell’Agenzia di Sviluppo Terra Jonica. Uno strumento che potrà’ consentire al nostro territorio di viaggiare alla stessa velocità del resto della Puglia e contribuire fattivamente alla crescita del brand regionale”- ha puntualizzato Azzaro.
L’intervento del Presidente della Camera di Commercio, Luigi Sportelli ha chiuso la conferenza stampa. “La nostra proposta e’ l’adozione di un metodo che consenta finalmente al territorio di avere chiarezza della visione dello sviluppo per Taranto con certezza di tempi, di modi, di trasparenza e soprattutto di legalita’ e di ricaduta per i cittadini e le imprese”.(Tasera)

venerdì 29 maggio 2015

Siamo sicuri che l'Ilva annebbia solo i polmoni?

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Sono normali gli avvocati della città dell'Ilva?


Processo Ilva, l'avvocato di Riva: "Non posso difenderlo, sono parte offesa anche io"

Non può rappresentare Nicola Riva perché in quanto cittadino di Taranto è parte offesa nello stesso procedimento, "perché respiro la stessa aria, perché, in base a quello che contestano i pubblici ministeri, siamo tutti sotto la spada di Damocle dell'inquinamento". Colpo di scena a Taranto, nell'udienza preliminare a 52 persone per il disastro ambientale provocato dall'Ilva. L'avvocato Pasquale Annichiarico, legale dell'ex amministratore dell'impianto siderurgico, nel corso della sua arringa ha chiesto al gup Vilma Gilli di astenersi. Nicola Riva è accusato di concorso in associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, all'avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro, corruzione, falso e abuso d'ufficio.
A parere del legale anche il gup e i pm che operano a Taranto assumono lo status "di persona offesa o danneggiata dal reato". Annicchiarico avrebbe poi attaccato gli stessi pubblici ministeri che "hanno portato avanti le tesi accusatorie con grande animosità. Magistrati a cui - ha aggiunto - si è ingrossata la giugulare per la determinazione con cui hanno parlato di imputati che con le loro condotte avrebbero seminato malattie e morte". Tutti coloro "che abitano e operano in questa città sono parti lese, anche i giudici - ha osservato il legale - e avvocati. Per questo non possiamo fare questo processo qui". E ne ha chiesto il trasferimento a Potenza.
Sulla sua richiesta il giudice si esprimerà il primo luglio, quando valuterà la possibile istanza di patteggiamento dell'Ilva in amministrazione straordinaria (che attende ancora l'ok dal ministero dello Sviluppo economico). Previste anche le arringhe difensive dell'avvocato Raffo per conto di Francesco Manna, ex capo di gabinetto del presidente della Regione Puglia (che risponde di favoreggiamento), dell'avvocato Loiacono che assiste Riva Fire, e quella dei legali dell'Ilva in amministrazione straordinaria, imputate ai sensi della legge 231 del 2001 che punisce la responsabilità amministrativa delle imprese.
Gli avvocati Filippo Sgubbi e Angelo Loreto, per conto della struttura commissariale, hanno chiesto e ottenuto un ulteriore rinvio in quanto il ministero dello Sviluppo economico non si è ancora pronunciato sulla ipotesi di patteggiamento. Peraltro la comunicazione inviata dai legali non indica esplicitamente una richiesta di autorizzazione e non è indirizzata direttamente al ministro Guidi, ma alla direzione generale per la vigilanza sugli enti, il sistema cooperativo e le gestioni commissariali dello stesso Mise e all'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza.
Nella nota si fa riferimento a "colloqui intercorsi" sulla "evoluzione del procedimento penale" e si trasmette una bozza dell'istanza di patteggiamento. L'istanza, indirizzata alla procura di Taranto, "consentirebbe alla società - osservano i legali - di essere estromessa dal processo 'Ambiente svenduto', che proseguirebbe unicamente nei confronti delle persone fisiche imputate". La struttura commissariale e i legali sono a "disposizione per illustrare in dettaglio i contenuti dei menzionati documenti ed i vari profili di natura legale - si sottolinea nella comunicazione - che vogliate approfondire". La bozza di patteggiamento prevederebbe una multa di tre milioni, l'interdizione per otto mesi dell'Ilva e la confisca di 2 miliardi di euro (quale profitto del reato) con il coinvolgimento dei beni di Riva Fire. (Rep)

giovedì 28 maggio 2015

Pat pat!

Ilva vuole patteggiare a Taranto e attende l’ok del Mise

A Taranto il processo per il reato di disastro ambientale contestato all’Ilva va in standy by. Dopo l’udienza preliminare di oggi davanti al gup Wilma Gilli, nella quale sono proseguite le arringhe della difesa, la prossima è prevista per l’1 luglio. La sospensione di un mese è dovuta alla necessità di attendere che il ministero dello Sviluppo economico si pronunci sull’istanza di patteggiamento che l’Ilva ha avanzato come soggetto giuridico che risponde in base alla legge sulla responsabilità delle imprese.
La volontà della società di patteggiare, e quindi di tirarsi fuori dal processo concordando la pena con la Procura, gli avvocati dell’Ilva l’avevano già manifestata nelle udienze precedenti. Solo che l’approfondimento giuridico del tema, il confronto con la stessa Procura – un incontro c’è stato a Taranto martedì pomeriggio – e l’acquisizione del via libera del Mise, essendo l’Ilva in amministrazione straordinaria da gennaio, richiedono più tempo. Dunque, c’è necessità di aggiornare il processo.
La struttura del patteggiamento, ancora oggetto di discussione tra le parti, prevederebbe una multa di 2 milioni di euro, l’interdizione di otto mesi con i commissari straordinari che diventano, per questo periodo, commissari giudiziali, e una confisca di 2 miliardi di euro, ritenuti profitto del reato, a carico dei beni di Riva Fire e non di Ilva spa. I legali dell’Ilva chiedono la confisca verso Riva Fire perchè vogliono evitare che un’azione del genere sull’Ilva possa bloccare il trasferimento all’Ilva stessa del miliardo e 200 milioni sequestrati ai Riva e ora in Svizzera. Un passaggio delicato e tutt’altro che agevole, anche se ci sono una legge che stabilisce il rientro di queste risorse in Italia (al Fondo unico Giustizia, che sottoscriverà le obbligazioni con cui l’Ilva finanzierà i lavori ambientali nel siderurgico di Taranto) e il parere positivo del gip di Milano, Fabrizio D’Arcangelo. Sul fatto di spostare la confisca da Ilva spa a Riva Fire non ci sarebbe, allo stato, il consenso della Procura, ma sul problema va comunque avanti il confronto con gli avvocati dell’azienda. Per i quali va evitata ogni possibile interferenza tra il processo di Taranto (la Procura chiede il rinvio a giudizio di 49 persone fisiche e tre società) e la vicenda giudiziaria di Milano. (Sole24h)

Euroferri corti!

Ilva, associazione Eurofer ricorre in Ue contro Italia per aiuti di Stato


Eurofer, l'associazione europea dei produttori di acciaio, ha annunciato oggi di aver presentato un ricorso alla Commissione europea contro l'Italia per quelli che considera aiuti di Stato illegali all'azienda siderurgica Ilva.
"Eurofer sostiene che i circa 2 miliardi di euro assegnati all'azienda dalle autorità italiane non siano compatibili con il trattato Ue e con le regole Ue sugli aiuti di Stato", si legge in un comunicato di Eurofer.
Ilva per ora non commenta la notizia.
Una fonte di società, che è attualmente in amministrazione straordinaria, ha detto: "Non è una novità, sulla base di segnalazioni di altri i servizi Ue si stanno occupando del tema e stanno interloquendo con il governo italiano"
"La posizione di Ilva è che non sono aiuti di Stato, perché si tratta comunque di risorse della famiglia Riva (la famiglia ancora ufficialmente proprietaria del 90% di Ilva), e servono per superare problemi ambientali contestati proprio dalla Ue".
Il governo ha di fatto assunto il controllo di Ilva nel gennaio scorso, ponendola in amministrazione straordinaria.
L'azienda, che conta circa 15.000 posti di lavoro, è al centro di un'inchiesta per disastro ambientale che ha portato nel 2013 al sequestro parziale dell'impianto di Taranto, il più grande d'Europa.
Il governo ha anche emesso un decreto per garantire un prestito ponte da 400 milioni di euro che servirà a finanziare il risamento ambientale dello stabilimento. (Reuters)

Ri-Porto?

Porto, il giorno della verità. Vertice a Tct sul “piano Taranto”: col fiato sospeso 550 lavoratori 

L’ok al pre-accordo siglato a Roma a Palazzo Chigi potrebbe arrivare nel primo pomeriggio di oggi. Non si è tenuta ieri l’assemblea dei soci della Taranto Container Terminal, indetta in prima convocazione. Oggi dovrebbe essere la chiamata decisiva, con la seconda convocazione degli azionisti. E si dovrebbe conoscere quindi, in via definitiva, la volontà di chi regge le sorti della società terminalista del molo polisettoriale di Taranto. La pre-intesa è stata siglata l'11 maggio a Palazzo Chigi nel corso di un incontro in aggiornamento all’accordo sul traffico containerizzato nello scalo jonico. Azionisti di Tct sono le compagnie multinazionali Hutchinson (col 50% del pacchetto azionario), Evergreen (col 40%) e il gruppo Maneschi che detiene il 10%.
In attesa di questa importante riunione a Taranto la tensione sale. Alle stelle fra gli oltre 550 dipendenti diretti della società portuale che aspettano con ansia di conoscere le determinazioni della loro proprietà sul futuro impegno a Taranto. Inoltre, all’approvazione del piano proposto dal Governo ai privati, è legata anche la concessione in proroga della cassa integrazione straordinaria, a zero ore e per un altro anno, dei lavoratori Tct. Nonostante le rassicurazioni che sono arrivate dal ministero del lavoro (anche per il tramite del sottosegretario Teresa Bellanova, brindisina, che ha partecipato all’ultimo vertice romano, gli ammortizzatori coprono i lavoratori soltanto per questa settimana. Quello in partenza da giugno sarebbe l’ultimo rinnovo. Anche se il presidente dell’Authority, Sergio Prete, aveva lasciato aperto qualche spiraglio: «Dovrebbe essere l’ultimo anno di cassa anche se si è compreso che esistono altri strumenti. Detto questo, noi faremo in modo che sia l’ultimo anno perché vogliamo che non ce ne sia più bisogno», aveva detto recentemente.
Ecco perché il vertice tra gli azionisti è un punto di snodo importante. Se l’accordo raggiunto nei giorni scorsi è stato già ratificato e sottoscritto dalla parte pubblica (l’ok è già arrivato dal sindaco Ippazio Stefàno e dal presidente dell’Autorità portuale Prete) altrettanto dovrà fare quella privata. La società, nonostante i ritardi nella consegna delle infrastrutture portuali, deve impegnarsi a fare tornare le linee transoceaniche a Taranto a conclusione delle opere al porto. Inoltre deve confermare gli investimenti che riguardano la manutenzione degli impianti, il revamping delle gru su tutti. Il traffico dei container, in base a questo pre-accordo, dovrebbe tornare nello scalo jonico a partire dal 2017. Fino a quella data nemmeno le navi piccole di collegamento con il Pireo, dove le linee erano state trasferite, perché il servizio feeder è stato creato dal porto di Bari.
E dunque le movimentazioni a Taranto sono ormai ferme. Pari a zero. Nel 2011 il porto tarantino movimentava 604 mila teus (l’unità di misura dei container), nel 2012 il crollo a 263mila, nel 2013 a 197mila, nel 2014 a 148mila. Anche a regime, a conclusione delle opere portuali dal terminal container non si prevede uno sviluppo superiore al milione e mezzo di teus. Nell’attesa però c’è un lungo purgatorio. E non si sa se mai si vedrà la luce in fondo a questo percorso. (Quot)

E che agenda!

Whirlpool, Ilva e contratto. Ecco l’agenda di Palombella (Uilm)

Piattaforme contrattuali comuni, crisi aziendali, obiettivi della Uilm. L’agenda dei metalmeccanici della Uil capitanati da Rocco Palombella è stata illustrata dal leader della Uilm nel corso dell’assemblea in corso a Chianciano Terme.
LE PAROLE DI PALOMBELLA
“Penso che il tempo a nostra disposizione sia ormai scaduto. Non possiamo aspettare ancora”. E’ quello che ha detto Palombella, segretario generale della Uilm, nel corso della terza assemblea nazionale dei metalmeccanici Uil che oggi termina i propri lavori a Chianciano Terme.
LE PROSSIME TAPPE PER LA UILM
“Abbiamo concordato – ha sottolineato il leader della Uilm – di tenere giovedì 28 maggio l’ultima riunione con i tre segretari generali per stabilire se ci sono le condizioni per andare avanti oppure per dichiarare definitivamente l’impossibilità a fare una piattaforma comune”.
LE PROSPETTIVE CON LA FIM
“Penso senza ombra di dubbio – ha aggiunto Palombella – che con la Fim dobbiamo riconfermare l’esperienza strategica che ci ha consentito dal 2001 al 2012 di rinnovare i contratti. Adesso, bisogna continuare a trovare una convergenza sui contenuti rivendicativi. Da subito, a partire da questa assemblea, dobbiamo avviare un percorso stringente per dotarci di una nostra piattaforma che ci consente di garantire una richiesta salariale, con l’attuale meccanismo di calcolo, visto che al momento non ci sono altri sistemi, se non quello dell’Ipca”.
I DOSSIER DELLE CRISI
Palombella ha anche delineato le vertenze simbolo della crisi industriale, evidenziando tra le altre le vicende riguardanti Whirlpool e Ilva: “Dopo circa un mese di trattativa – ha detto – sia in sede aziendale che in quella ministeriale, alcune soluzioni prospettate in questi giorni da Whirpool, non sono sufficienti per scongiurare le chiusure annunciate e l’alto numero di eccedenze. Abbiamo convocato assemblee su tutti i posti di lavoro e abbiamo dichiarato 8 ore  di sciopero in tutto il gruppo per il 12 giugno, con manifestazione a Varese. Chiederemo il coinvolgimento della presidenza del Consiglio per il ritiro di questo piano industriale. Ovviamente, rifiuteremo qualsiasi incontro in sede aziendale fino a quando non ci saranno modifiche sostanziali al piano”.
COSA SUCCEDE ALL’ILVA
Poi il leader della Uilm ha affontato la situazione dell’Ilva:”Gli impiant – ha ricordato Palombella – sono quasi del tutto fermi e si è in forte ritardo per quanto riguarda il loro adeguamento secondo il programma previsto dai vari decreti legislativi. Migliaia di lavoratori sono in contratti di solidarietà e nonostante le innumerevoli leggi, al momento non si intravedono soluzioni concrete.  Ci auguriamo che anche la costituzione più volte annunciata da parte del governo della Newco, sia in grado di far ripartire gli investimenti tecnologici: condizione necessaria per rilanciare la produzione”.
 (Formiche)

mercoledì 27 maggio 2015

Condivisione e passione

Nel campo di accoglienza per minori di Taranto: la solidarietà nata all'ombra dell'Ilva

Quattordici ragazzini corrono dietro a un pallone in un piccolo campo da calcetto. Poco più avanti un altro gruppetto ascolta musica rap a tutto volume. Altri cinque invece con l'accappatoio sulle spalle puntano dritto verso il centro d'accoglienza per farsi una doccia calda.

Il centro per minori non accompagnati “Noi e Voi” di Taranto è un distillato di storie e integrazione. In un quartiere, il Paolo VI, a pochi metri dall'Ilva, dove lungo i viali che tagliano in due i palazzoni bianchi si respira il disagio sociale e le polvere sia dell'impianto siderurgico sia delle raffinerie.

Nel campo d'accoglienza vivono da oltre un anno in cinquanta, partiti da soli e da terre lontane: Gambia, Nigeria, Ghana, Costa D'Avorio. Partiti senza nulla, ora eccoli lì correre e indossare la maglia dell'Inter numero 9 di Eto'ò o quella della Juventus di Pogba. I loro eroi. I loro Maradona.«Sono arrivato l'anno scorso dalla Libia», racconta a “l'Espresso” Beck. È partito dal Gambia, ha attraversato il deserto senza acqua e senza niente. Dopo un tempo indefinito, nemmeno lui ricorda quante settimane, quasi volesse rimuovere quella traversata per tanti suoi coetanei mortale, finalmente è arrivato in Libia.

«Quando sono arrivato a Tripoli è stata la parte peggiore del viaggio: sono stato picchiato, arrestato solo perché ho la pelle nera. È stato un incubo». Beck è fuggito dalla sua terra perché la sua famiglia è perseguitata dal governo: «I miei genitori hanno avuto molti problemi con il presidente», spiega senza spingersi oltre nei particolari.

Ha ottenuto da poco lo status di rifugiato: anche in Puglia, come in Sicilia, le commissioni territoriali impiegano molto più tempo dei 90 giorni previsti per legge. «La risposta arriva solitamente dopo un anno», conferma una educatrice. Beck si è pagato il viaggio lavorando. Le sue braccia vendute a costo zero per assicurarsi la traversata verso l'Italia. « L'ho pagato lavorando in Libia, facevo le pulizie gratis e il signore per cui lavoravo mi ha poi affidato agli scafisti». Il mercato degli uomini che scappano da guerre e fame ingrassa molti signorotti locali. Beck è uno dei tanti. Braccia e carne di passaggio dal corridoio libico. Pescato da un barcone dalle navi della Marina durante l'operazione Mare Nostrum. Salvo grazie a Mare Nostrum. Ci vuole tanto, troppo coraggio, cantava De Andrè ne 'La guerra di Piero'. E Beck di forza ne ha tanta. Ha visto morire i suoi compagni di viaggio nel deserto. Altri sono ancora chiusi in Libia. Lui ce l'ha fatta. E vuole restare a Taranto. Si sente tarantino. «Ehi Beck durante l'intervista non parlare in dialetto» lo prega l'operatrice sociale. Lui sorride, e guarda avanti.
«Mare Nostrum ha salvato molte vite, e nel nostro centro sono arrivate molti più minori», osserva Don Francesco, il direttore del centro. «Erano tutti minorenni, ora sono molti di loro sono diventati maggiorenni e sono integrati perfettamente nella comunità, nel quartiere, già difficile per altri problemi, ma con grande spirito di accoglienza», continua il parroco, che aggiunge: «Pensi che molti di loro seguono il Taranto calcio, hanno persino costituito un gruppo di supporters, Gambia rossoblu».

Ogni ragazzo ha un po' di pocket money, 2,50 euro al giorno. Ma ogni spesa è tracciata dagli operatori che sui soldi sono molto rigidi per evitare che vengano usati per comprare sostanze o roba vietata. La prefettura versa al centro 35 euro al giorno per minore. Soldi che servono a pagare gli educatori, le bollette, le uscite, il cibo, l'alloggio e la quota giornaliera ai ragazzi.

Arif invece viene da Palermo. Lo incontriamo al centro di Taranto, ma è in visita con il gruppo di giovani di 'Crescere al Sud', che da Palermo sono partiti verso Roma toccando varie città e paesi del Mezzogiorno. Arif è partito dal Bangladesh a 17 anni. Oggi ne ha 19. «In furgone ho attraversato Bangladesh, India, Iran, fino in Grecia. Poi da qui in barca sono arrivato in Italia. Altre persone mi hanno consigliato di andare a Palermo e così ho preso il primo treno e l'ho raggiunta. Per due giorno ho dormito in stazione». Solo, senza un euro e senza documenti. La sua vita stava per predendere una brutta piega, quando un suo connazionale gli ha indicato una signora da cui andare per chiedere aiuto. Solo allora ha lasciato la strada e i marciapiedi della stazione per entrare in comunità. Ha iniziato gli studi, conosce tre lingue, ha nostalgia di casa e sogna di trovare un lavoro al più presto dopo aver finito un corso di formazione a Marsala.

L'integrazione, resa impossibile dagli slogan xenofobi al Centro Nord, è diventata realtà qui. In un quartiere dilaniato da disoccupazione, avvelenato dall'industria pesante e impoverito dalla criminalità.(L'Espresso)

Patti chiari?

Ilva, processo a Taranto: l'azienda è interessata al patteggiamento

Alla vigilia della ripresa del processo "Ambiente Svenduto" davanti al gup di Taranto, Wilma Gilli (domattina e' in calendario una nuova udienza preliminare), l'Ilva e' intenzionata a definire la posizione della societa' nel procedimento pendente a Taranto attraverso una forma di patteggiamento che consenta ad Ilva di focalizzare la propria attenzione sul rilancio delle attivita' industriali e di risanamento ambientale. E' quanto emerge da fonti vicine alla societa' che e' in amministrazione straordinaria. Le stesse fonti sottolineano che non c'e' stato alcun incontro tra il ministro allo Sviluppo economico, Federica Guidi, i commissari Ilva, Piero Gnudi e Corrado Carrubba, e l'avvocato Paola Severino, legale dei commissari dell'Ilva, sulla opportunita' di proporre o meno il patteggiamento nel processo di Taranto. Sono invece in corso approfondimenti legali e giuridici, affermano sempre le fonti vicine all'azienda, e la proposta di patteggiamento dell'Ilva e' al vaglio del comitato di sorveglianza del Mise essendo l'Ilva in amministrazione straordinaria. E comunque la discussione che si sta facendo, precisano le stesse fonti, non riguarda in alcun modo la nuova legge sui cosiddetti ecoreati approvata nei giorni scorsi dal Parlamento.(Corrierequotidiano)

martedì 26 maggio 2015

Inciviltà d'alto livello

Vota Antonio La Trippa: storie da una campagna elettorale

 
Comunicato stampa di Ammazza che Piazza
 
In questi giorni ci troviamo a subire l’ultima settimana di fantomatiche promesse ; 19 liste per 7 candidati alla carica di presidente della regione Puglia e 133 personaggi politici reclutati nelle varie liste anche sul territorio tarantino per la propaganda , volantini elettorali che volano a pacchi sull’asfalto dai finestrini delle auto, radio, giornali e televisioni invase da messaggi elettorali e per finire manifesti elettorali attaccati ovunque .
Vorremmo capire dove sono andati a finire gli addetti della polizia municipale del comune di Taranto, ATTENTI e RESPONSABILI, che multarono Ammazza che piazza con ben 8.000 euro, e che oggi consentono a questi personaggi politici il LOCANDINAGGIO SELVAGGIO.
Ma soprattutto con quale spirito i cittadini di Taranto dovrebbero dirigersi alle urne, in una città dove la politica ha praticamente FALLITO, portando il comune in dissesto e dimostrando di essere incompetenti nelle tematiche ambientali e nello sviluppo del territorio ?
Il nostro è un sistema politico corrotto , da destra passando per il centro fino a sinistra, come compare anche nelle ultime indagini di AMBIENTE SVENDUTO che vede coinvolta nel MALAFFARE la politica locale, regionale fino ai vertici nazionali , enti e agenzie di controllo ambientale , agenti della polizia di stato (sezione digos) , dirigenti ,imprenditori, personaggi pubblici , A DISCAPITO DELLA SALUTE E DEL LAVORO, creando una ragnatela fitta che è arrivata a manipolare una città intera per anni, consentendo la fortuna di pochi imprenditori e la MORTE di una comunità intera.
Un sistema di mala politica che è ancora presente sul territorio e che ha portato la città di Taranto alla desertificazione, riducendo il numero di abitanti nel giro di pochi anni da 210.000 a 180.000 abitanti , con ben 30.000 concittadini costretti ad andare via nel giro di qualche anno , per cause di malattia , per lavoro e per studio, oltre a chi ha pagato con la vita.
Ancora una volte ci sono problematiche come la mancanza di idee alternative all’industria, la mancanza di adeguate strutture sanitarie per far fronte all’emergenza malati , le linee ferroviarie ridotte, lo scalo aereo di Grottaglie condannato all’inutilità, l’ archeologia occultata , il turismo negato, le università mal gestite e il deturpamento del territorio, che vengono USATE dalla nostra classe politica in campagna elettorale e poi affrontate una volta occupate le poltrone con la COMPLETA ASSENZA.
Quindi concludiamo con questa citazione, invitando la cittadinanza a riflettere, e a capacitarsi che alla fine le campagne elettorali sono solo parole e discorsi fatti, e che il cambiamento di una collettività parte noi tutti dal nostro impegno come cittadini attivi e non da una delega altrui.
Se fai parte di una società che vota, allora vota. Forse non ci saranno candidati e decisioni per cui votare... ma senza dubbio ce ne saranno di quelli contro cui vorrai votare. Nel dubbio, vota contro. (Robert A. Heinlein)
AMMAZZA CHE PIAZZA

Spunti di vista

Ecoreati, legge imperfetta quanto importante. Ora tracciamo i rifiuti della Terra dei Fuochi

La legge penale sui delitti ambientali finalmente approvata dal Parlamento italiano fa soffrire numerosi giuristi e ambientalisti, come i nostri carissimi amici di Taranto.
In Campania abbiamo da tempo imparato ad essere l’avanguardia, l’avamposto delle innovazioni economiche reali, la punta dell’iceberg delle dinamiche industriali lobbiste e dei flussi economici che governano oggi l’Italia intera, cioè le attività produttive in regime di evasione fiscale (da noi arrivate al 47 % del totale), che sono le succulente radici, mai tagliate, dell’apparentemente invincibile “Terra dei Fuochi”.
Basterebbe tracciare con microchip non solo le ‘pummarole’ e le bufale, come da leggi vigenti, ma i fusti di rifiuti tossici e, a tutela del marchio, tutte le scarpe e borse prodotte dalle migliori ditte del “made in Italy”, per contenere il problema. Incredibilmente, non lo si fa, per non fare scoprire le eccezionali dimensioni reali delle attività produttive tutelate da marchio ma prodotte in regime di evasione fiscale, non solo in Campania.
Basterebbe trasformare “Terra dei Fuochi” in “Terra dei Chip”, non solo per le ‘pummarole’ ma anche per le attività produttive manifatturiere, e avremmo risolto gran parte del problema dei controlli. Non si deve fare: è troppo facile e soprattutto danneggerebbe in modo gravissimo i profitti (illegali!) delle nostre “attività manifatturiere”.
Stiamo facendo un percorso storico ma lunghissimo, che inizia soltanto con questa legge, in una sorta di autentico “Exodus” dalla attuale condizione di “schiavitù” ambientale del popolo italiano nei confronti delle lobby industriali. Da troppo tempo esse hanno nella classe medica “distratta” sino al limite della compiacenza e nei “non controlli ambientali” i primi alleati. Basta ricordare per quanti decenni la classe medica italiana ha “tollerato” l’eccesso di arsenico nelle acque del Lazio e i famosi quanto irrazionali “limiti” di emissione per il benzopirene dell’Ilva di Taranto.
Io ho cominciato ad occuparmi di ambiente e salute solo nel marzo del 2006, in Campania, scoprendo, mio malgrado, non solo la totale assenza di una valida sezione sui delitti ambientali nel panorama delle leggi penali italiane ma soprattutto la totale assenza di un concreto impegno formativo/informativo della classe medica italiana sul problema ambiente/salute.
Ho impiegato circa due anni, dal 2006 al 2008 circa, per comprendere che il principale problema da affrontare in Regione Campania, al contrario di quello che ancora oggi fanno ancora una gran parte non solo dei politici e dei cosiddetti “tecnici”, ma anche dei comitati sorti con meritorio impegno civile sui territori, non erano i rifiuti urbani ma i rifiuti speciali, industriali e tossici.
Lo sviluppo industriale italiano dell’ultimo trentennio è caratterizzato, rispetto a tutto il resto di Europa, dalle maggiori attività produttive in regime di evasione fiscale, in media del 30%, e quindi, come logica conseguenza, dalla maggiore quota europea di smaltimenti industriali scorretti ed illegali, che non possono non avere un riflesso diretto e grave sulla salute pubblica di tutti gli italiani.
Della reale entità di questo impatto certo, però, ignorando volutamente innanzitutto il problema, la classe medica e scientifica italiana si è totalmente disinteressata, concentrando tutte le sue notevoli potenzialità di ricerca soltanto sulla cura o sulla diagnosi precoce, vedi ad esempio la violenta polemica su Beppe Grillo dopo la sua affermazione su Veronesi e le mammografie.
Sono stato accusato di parlare “troppo di pancia” per avere osato, in una audizione pubblica presso il Senato della Repubblica Italiana in data 10 settembre 2013, mostrare a tutti che la produzione di rifiuti speciali pro capite della Campania era non più di un terzo di quella del solo Veneto e scendeva a un quarto se consideravamo insieme rifiuti speciali/rsu, come si dovrebbe fare sempre quando si parla di rifiuti.
Oggi, per la prima volta dall’anno della sua prima edizione (2003), l’importantissimo report “Osservasalute” in Italia pubblica, finalmente, nella sezione ambiente, un’esauriente relazione sulla produzione e smaltimento dell’eccezionale quota di rifiuti speciali, industriali e tossici italiani, basata sui dati Ispra 2010, che abbiamo quasi “estorto” al Ministero dell’Ambiente grazie alla amicizia personale del ministro Galletti con Padre Maurizio Patriciello. E’ la prima volta che accade dal 2003!
E adesso possiamo ragionare tutti in trasparenza sui questi dati considerando che (per una media del 30 per cento), esiste una eccezionale quota di rifiuti speciali, industriali e tossici prodotta in regime di evasione fiscale e quindi smaltita illegalmente, a cominciare dal micidiale amianto.
Questa “distrazione” eccessiva degli igienisti ed epidemiologi italiani è stata recuperata grazie al più grande movimento ambientalista del dopoguerra guidato e sorretto dalla Chiesa Cattolica, partito dalla Campania e dalla Terra dei Fuochi ma ormai sempre più forte, radicato su tutti i territori italiani e sempre più collegato in rete.
Lo Stato italiano è stato “costretto” a produrre due importantissime quanto imperfette leggi sui reati ambientali, nate magari solo per calmare “l’allarme sociale” come in Terra dei Fuochi, ma necessarie a dare il via ad un indispensabile cambio di rotta sui delitti ambientali che oggi sappiamo avvelenare l’Italia intera. E’ un percorso duro, durissimo, che stiamo imparando essere irto e denso di tranelli e trabocchetti, ed il primo tranello era e resta, per me, il tentativo di bloccare il delitto penale ambientale nelle sabbie mobili del dibattito parlamentare infinito: per i lobbisti è sempre meglio non avere nessuna legge che una legge sia pure imperfetta.
La legge su Terra dei Fuochi ha prodotto comunque quello che nessuno voleva fosse neanche solo accennato: l’inizio di validi controlli ambientali e dati trasparenti sull’eccesso di cancro, specie infantile, in Terra dei Fuochi.
Per questo adesso guardo con fiducia alla pur imperfetta legge sui delitti ambientali: non era e non è una legge di “facciata” e “abusivamente” per me non tende a tutelare le industrie che inquinano in presenza di autorizzazioni, ma dimostra quanto grave sia che lo Stato italiano e la sua classe medica concedano ancora oggi autorizzazioni ambientali in grado di danneggiare e non tutelare la salute pubblica, come ad esempio per l’Ilva di Taranto. (FQ)

Gireranno le pale!

Parco eolico ‘near shore’ di Taranto: i lavori sono iniziati

Sono partiti i lavori del parco eolico ‘near shore’ di Taranto: l’unico impianto di questo tipo autorizzato in Italia. A darne conferma l’ingegner Luigi Severini, progettista e direttore dei lavori. Probabilmente in pochi ricordano l’esistenza di questo progetto. Anche perché a differenza dell’Ilva o del progetto Tempa Rossa dell’Eni, non consente visibilità locale e nazionale: e quindi non importa a quella società civile che da sempre si dice impegnata nel “difendere” l’ambiente di Taranto e soprattutto che da anni “lavora” per progettare una città diversa. Un silenzio tombale ha avvolto questo progetto: se non fosse per un ricorso del comitato cittadino “Taranto Futura” e per qualche scarno e breve comunicato di qualche associazione nei giorni seguenti all’autorizzazione.
Il 10 febbraio del 2014, il ministero delle Infrastrutture dette il via libera definitivo alla realizzazione del parco eolico “near shore” che sorgerà nella rada del Mar Grande di Taranto. L’autorizzazione unica prevista dall’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 per una centrale eolica offshore, rilasciata dal Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti dopo l’ok del ministero dello Sviluppo Economico e del ministero dell’Ambiente, dopo la conferenza dei servizi alla quale parteciparono tutte le amministrazioni interessate, arrivò in realtà il 27 giugno del 2013 da parte del ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, con tanto di pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale lo scorso 13 luglio. L’ultimo “ostacolo” per la realizzazione dell’opera, se di ostacolo vogliamo parlare, è il pronunciamento del Consiglio di Stato il prossimo 18 giugno sull’appello presentato dal Comune di Taranto dopo che l’amministrazione si vide respingere dal Tar di Lecce (il 19 febbraio del 2014) il ricorso presentato nell’ottobre 2013 nel quale chiedeva l’annullamento, con sospensiva, del provvedimento del giugno 2013 con cui venne dato l’ok al progetto da parte del ministero dei Trasporti: il ricorso fu giudicato infondato in tutti i punti.
Sconfitta abbondantemente preannunciata, e che certamente si riproporrà il prossimo 18 giugno al Consiglio di Stato, non solo perché in questo settore il parere di un’amministrazione comunale non ha valore vincolante per legge, ma soprattutto perché la delibera n. 30 che fu inviata al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nell’aprile del 2013, era priva del necessario supporto motivazionale e quindi inammissibile. Del resto, nel testo di quell’atto vi era scritto semplicemente che il Consiglio comunale “esprime parere contrario” alla realizzazione del parco eolico nella rada di Mar Grande (molto simile a quanto sin qui avvenuto con il progetto Tempa Rossa dell’Eni). Questo partorì il Consiglio Comunale del 5 aprile 2013. Del resto, al di là della mera presa di posizione del Consiglio comunale e del ricorso al Tar di Lecce, l’iter burocratico ed operativo per la realizzazione dell’opera è sempre andato avanti senza grandi intoppi.
Il 9 aprile 2013 l’Azienda sanitaria locale di Taranto comunicava il proprio parere positivo con prescrizioni e lo stesso giorno ARPA Puglia prendeva atto della compatibilità e comunicava il suo intervento in un tempo successivo alla costruzione; il 4 giugno 2013 l’Autorità di bacino della Puglia esprimeva parere favorevole con prescrizioni, mentre dieci giorni dopo, il 14 giugno, la società Terna rilasciava il benestare al progetto delle opere di connessione alla Rete elettrica di trasmissione nazionale. Inoltre è bene ricordare che la Provincia di Taranto, competente in materia di rilascio di autorizzazione per “l’immersione in mare di materiale derivante da attività di escavo e attività di posa in mare di cavi e condotte” (secondo quanto previsto dall’art. 109 del Codice dell’Ambiente in base all’art. 8 della legge regionale n. 17 del 14 giugno 2007), non ha rilasciato “espressamente tale autorizzazione né espresso il suo dissenso”; per questo motivo il ministero dell’Ambiente, pur non ritenendo ammissibile in materia ambientale la regola del “silenzio-assenso”, il 3 giugno 2013 comunicò alla Provincia le modalità di rilascio dell’autorizzazione concessa alla Beleolico srl (la società detentrice del progetto), pur sostenendo in Conferenza dei Servizi che “l’autorizzazione alla realizzazione del parco eolico sia subordinata all’autorizzazione della Provincia o che comunque detta autorizzazione avvenga prima dell’inizio dei lavori”.
Questi ultimi provvedimenti consentirono l’ok del 27 giugno 2013 (precedentemente, il 13 dicembre 2012, presso gli uffici della Capitaneria di Porto di Taranto, si svolse l’importante conferenza dei servizi conclusiva al fine di rilasciare la concessione demaniale marittima per la realizzazione del progetto, iter conclusosi il 10 gennaio 2013). Dal giorno dopo infatti, la società Beleolico srl (che il 31 agosto 2012 ricevette dalla Societ Energy S.p.A. il ramo d’azienda avente ad oggetto la realizzazione del parco eolico che la stessa presentò l’8 luglio del 2008), dette il via operativo al progetto. Secondo le ultime informazioni in nostro possesso, l’amministratore unico della Societ Energy risulta essere Benito Papadia, socio di Giovanni Colomba (entrambi gestori dell’Histò San Pietro sul Mar Piccolo). La Beleolico, che vede all’interno del Cda proprio Giovanni Colomba, ha come amministratore Gianluca Colomba e come ad il francese Levy Jacques Edouard Jean. Proprietarie della Beleolico risultano essere due società: l’impresa Del Fiume Spa (con sede sempre a San Giorgio) e la Belenergia Spa che ha sede in Lussemburgo. Nei mesi scorsi sono stati effettuati carotaggi e caratterizzazioni, firmati contratti di fornitura anche con la Vestas per gli aerogeneratori, acquistati certificati di borsa di energia elettrica.
Ricordiamo che la realizzazione del parco avverrà nella rada esterna del porto di Taranto e sarà costituito da 10 aerogeneratori, ognuno di tre megawatt di potenza, capace di generare trenta megawatt di energia. Saranno disposti in due zone distinte: sei turbine esterne alla diga foranea e quattro esterne al molo polisettoriale (le zone prospicienti al Terminal Container e al V sporgente). Le torri, alte circa 110 metri, convoglieranno l’energia prodotta direttamente alla rete nazionale attraverso un cavo sottomarino lungo due chilometri. I 30 megawatt di energia saranno sufficienti a rendere il porto di Taranto autonomo e indipendente dal punto di vista del fabbisogno energetico. L’opera, chiamata tecnicamente “near shore”, occuperà una porzione d’area che non ricade nel sito di interesse nazionale né interessa direttamente aree SIC (interesse comunitario) o ZPS (zone protezione speciale). Il parco nascerà in uno specchio d’acqua distante 100 metri dalla costa e 7 chilometri dalla città di Taranto. L’investimento complessivo dell’opera è stato stimato in 63 milioni di euro.
Su queste colonne abbiamo sempre espresso dissenso verso quest’opera, la cui realizzazione denunciammo inascoltati nell’agosto del 2012, in piena bufera Ilva, dopo che il 24 luglio 2012 il ministero dell’Ambiente pubblicò sul suo sito ufficiale il decreto con i pareri delle commissioni VIA e VAS, che davano il loro ok definitivo al progetto definito “di pubblica utilità”. Perché non crediamo che l’alternativa alla grande industria possa essere un parco eolico in mezzo al mare. Per non parlare dei danni che subiranno da un lato i delfini presenti in gran numero in quella zona di mare (non a caso sono diverse le prescrizioni in merito) ed i volatili che spesso a causa delle pale eoliche perdono del tutto il senso dell’orientamento. Ancora una volta dunque, questa città subirà uno sfregio alla sua bellezza ed alla sua storia. Infangata dall’inettitudine di un’intera classe politica, divorata dai famelici interessi economici dei soliti noti, trascurata dalla superficialità e dal disinteresse della gran parte della cittadinanza.
Altrove, per esempio a Manfredonia, una ventina di associazioni diverse (Fidas Zapponeta, Lipu Foggia, Italia Nostra, Impegno Comune Manfredonia, Città Dinamica, F.A.I. Fondo Ambiente Italiano, Centro Studi Naturalistici-Onlus, A.S.D. Delfino Manfredonia, Rifiuti Zero, Associazione Altura, Associazione AICO, ACLI di Foggia), ed altre che si aggiunsero successivamente, proprio nel febbraio del 2014, mentre il parco eolico ‘near shore’ di Taranto otteneva l’ok definitivo, vincevano la loro battaglia costringendo il Consiglio dei Ministri a sospendere in via definitiva l’iter del progetto dell’opera (sul qual pendeva la procedure di VIA al ministero dell’Ambiente e l’autorizzazione del ministero delle Infrastrutture). A dimostrazione che uniti si può. A Taranto, invece, siamo ancora una volta costretti ad usare il passato: “uniti si poteva”. Auguri.
Gianmario Leone

lunedì 25 maggio 2015

Epistolamento

bandacogliate

“Degrado e abusivismo in spregio dei valori storici e ambientali”. Le bordate della Soprintendenza

Due pagine in cui, sostanzialmente, si chiede al Comune di porre un argine all’abusivismo e all’abbandono in città vecchia.
Una lettera ‘pesante’, se a inviarla è la Soprintendenza per le Belle Arti e Paesaggio. Buonasera Taranto è entrato in possesso del documento in cui non manca più di una stoccata all’indirizzo dell’amministrazione comunale. Riportiamo integralmente il testo.
“Questa soprintendenza, con propria nota n.15584 del 30 ottobre 2014, poneva in evidenza a codesta Amministrazione, lo stato di degrato del lungomare della Città Vecchia con affaccio sul Mar Piccolo, segnalando la necessità di conoscere gli orientamenti di codesta Amministrazione in merito ad una doverosa pianificazione degli interventi in detto sito di eccezionale rilevanza anche sotto il profilo identitario del centro storico di Taranto. In particolare questa Soprintendenza poneva in evidenza come l’intero lungomare, a partire dalla Discesa Vasto, sia occupato da attività commerciali organizzate in maniera caotica lungo i giardini e le aiuole, con gazebi che presentano ampliamenti volumetrici di tipo “spontaneo” con un risultato d’insieme quantomeno disordinato ed antiestetico. Inoltre veniva posto in rilievo lo stato di degrado e di pericolosità delle zattere, la condizione dei fondali in prossimità delle banchine ridotte a discariche in mare, l’occupazione non autorizzata della tettoia liberty, antica pescheria. Si sollecitava infine codesto Comune a voler fissare un incontro istituzionale per trattare l’argomento, con particolare riferimento alle richieste di occupazione di suolo pubblico pervenute alla Scrivente, riferito a detta area.
Nonostante l’incontro avuto presso il Palazzo di Città alla presenza dell’Assessore all’Urbanistica, arch. Lorusso, il responsabile SUAP Arch. Vuozzo, il Capo di Gabinetto dott. Licciardello, il Dirigente Ufficio Urbanistica arch. Rufolo, codesta Amministrazione non ha chiarito i propri orientamenti in merito, limitandosi infine a trasmettere a questa Soprintendenza copia della Deliberazione del Consiglio Comunale recante “Norme per l’installazione di opere provvisionali” n.488 dell’11 aprile 2014. Tenuto conto del permanere, a tutt’oggi, di condizioni di degrado e di abusivismo (si segnala ancora una volta l’occupazione della tettoia liberty, dei giardini ingombri di sedie di plastica ed arredi, nonchè gli ampliamenti dei chioschi di tipo “spontaneo”) in spregio ai valori storici, ambientali, paesaggistici e panoramici della Città Vecchia e del suolo pubblico con affaccio sul Mar Piccolo, si invita ancora una volta codesta Amministrazione a voler affrontare il tema dell’assetto del lungomare della Città Vecchia e delle attività Commerciali su suolo pubblico in un incontro istituzionale. Tale invito è rivolto da questa Soprintendenza con l’obiettivo di contribuire per quanto di competenza alla valorizzazione della città Vecchia di Taranto e dare risposta condivisa alle richieste che continuano a pervenire da parte degli operativi economici di occupazione di suolo pubblico. Si resta in attesa di cortese, eventuale riscontro e di contatti per opportuni accordi, segnalando l’urgenza”. (Tabuonasera)

domenica 24 maggio 2015

Arrembaggio alla cassa


 

Focus città vecchia, il piano per l’Isola: ecco tutti i progetti

Recupero, riqualificazione, valorizzazione della città vecchia. Su queste tre direttrici, che costituiscono l’oggetto della delibera approvata martedì scorso, punta il Comune di Taranto nel programma che è stato elaborato e presentato a Palazzo Chigi il giorno successivo, mercoledì 20 maggio. Importo totale degli interventi inseriti nella strategia per l’Isola: 67 milioni e 331mila euro, oltre spiccioli. La strategia d’intervento è quella che si vuole attuare per dare concretezza alla legge salva Taranto, sulle linee guida del decreto 1 del 2015. Proprio sulla base del decreto Ilva (che conteneva anche prospettive di sviluppo per la città) il 20 gennaio si è tenuta una prima riunione nell’ufficio Risanamento Città vecchia con i rappresentanti della maggioranza comunale.
Obiettivo: acquisire indicazioni per varare il piano degli interventi promosso dal Governo. E allora via ad una serie di confronti, con enti pubblici e privati, associazioni e operatori economici del borgo antico. Un’attività che è andata avanti fino all’8 aprile. «Il serrato confronto con il partenariato - ha relazionato il sindaco Ippazio Stefàno - ha permesso di elaborare una strategia di azione che, se pure di grande respiro, risponde anche in forma puntuale alle richieste della legge». Interventi per i quali, insomma, si chiede al Governo il finanziamento, sulla scorta di studi di fattibilità o su progetti definitivi. Gli obiettivi sono quelli noti: arrestare il degrado e creare un ambiente urbano adeguato, risanare il patrimonio immobiliare pubblico e privato, arricchire la residenzialità nell’isola, attrarre investitori per nuove attività economico, sviluppare il sistema mare.
Per quanto riguarda strettamente il sistema pubblico ci sono tre grandi direttrici nel “piano città vecchia”: sicurezza dei luoghi, opere di urbanizzazione, valorizzazione dei palazzi nobiliari. E allora, nel dettaglio, ecco quali sono i progetti inseriti nel piano. Tre milioni e mezzo di euro per il progetto definitivo per arrestare degrado ed emergenza con il presidio statico in città vecchia. Altri 2 milioni e mezzo circa si dovranno spendere per pubblica illuminazione e videosorveglianza. Il sistema di raccolta delle acque meteoriche invece ha un suo progetto più dispendioso che, da solo, prevede un importo di 10 milioni di euro. Sempre per le opere di urbanizzazione: l’adeguamento della rete idrica (2 milioni e 400 mila euro), l’adduzione idrica condotta sottomarina (1 milione e 600 mila euro) e l’adeguamento della rete per le acque nere (2 milioni e 400 mila euro). Un altro progetto è quello che prevede la nuova pavimentazione in città vecchia: via l’asfalto e gli altri materiali impropri che ricoprono il selciato originale con una spesa di 4 milioni e 700 mila euro.
Riaprire la viabilità in zone in cui attualmente è preclusa, il progetto preliminare da 3 milioni di euro tondi. Per valorizzare gli ipogei contribuendo alla valorizzazione delle risorse culturali e ambientali c’è uno studio di fattibilità di 2 milioni e 700 mila euro. È già progetto definitivo, ed è il più oneroso fra tutti, quello per il patrimonio residenziale diffuso. Si tratta di realizzare sedici blocchi edilizi di proprietà comunale per residenze sociali: costo dell’opera è 15 milioni di euro. Infine il risanamento: in vico Nove Lune il patrimonio pubblico diventerà casa dello studente (per 2 milioni di euro circa). Previsto il risanamento di palazzi nobiliari. E precisamente di Palazzo De Bellis (1 milione e mezzo), Palazzo Troilo (3 milioni e 60mila euro), Palazzo Carducci (3 milioni), Palazzo D’Ayala (5 milioni e mezzo), Palazzo Delli Ponti (1 milione e mezzo), Palazzo Amati (1 milione e 800 mila).

In FLASH we trust!


Mutande a parte, il flashmob dei lavoratori di Teleperformance, in serata a Taranto, è stato anche caratterizzato dalle impronte delle mani dei bambini. Per esempio, i figili di quei lavoratori che in mancanza di soluzioni, rischiano di btutto, di rimanere senza lavoro. I dipendenti del call center sono duemila e con la manifestazione tarantina, in piazza Garibaldi, si è richiamata l’attenzione generale su un problema estremamente grave, dato che si tratta, fra le altre cose,del secondo insediamento produttivo di Taranto, dopo l’Ilva.

In mattinata era stata la volta del flashmob, con un corteo fra Manduria e Avetrana, dei cittadini residenti in quel territorio per dire no al progetto di depuratore con scarico di liquami in mare.

sabato 23 maggio 2015

Le relazioni pericolose

Ilva: Taranto ci ringrazi. L’appello contro i risarcimenti ai Tamburi: «Il quartiere è cresciuto grazie a noi» 

La collettività tarantina «ha tratto giovamento dalla presenza dell’Ilva Spa», e lo stesso quartiere Tamburi «deve proprio alla presenza dello stabilimento siderurgico il fatto di essersi sviluppato». Premesso questo, di cosa possono lamentarsi i condomini di via de Vincentiis, che risiedono nel quartiere Tamburi, che chiedono il risarcimento a una azienda, dal momento «che le immissioni non superano, e non hanno mai superato, neanche in passato, la normale tollerabilità»?
Così gli avvocati del siderurgico in amministrazione straordinaria, che chiedono in Appello l’annullamento della condanna al risarcimento di alcune famiglie residenti in un condominio del quartiere Tamburi che avevano denunciato una serie di danni provocati dall’inquinamento. Il giudice civile ha riconosciuto alle famiglie di quel condominio un risarcimento di complessivo di circa 80mila euro. Secondo l’Ilva lo sviluppo garantito dalla siderurgia tarantina dimostrerebbe «la natura paradossale ed ingiusta delle domande di risarcimento». I legali delle famiglie aprono la polemica: «È una posizione provocatoria». (Quot)

venerdì 22 maggio 2015

Newche?

Ilva, la newco nascerà a Taranto in autunno: "Capitali privati fra 300 e 500 milioni di euro"

La newco dell'Ilva nascerà nel prossimo autunno. Lo ha annunciato il direttore generale del siderurgico di Taranto, Massimo Rosini, che ha incontrato insieme con il direttore centrale del personale, Cesare Ranieri, i sindacati metalmeccanici a Roma. Si sta già lavorando al piano organizzativo della newco, riferiscono i sindacalisti dopo l'incontro con l'Ilva, e l'azienda avrà anche una partecipazione di capitali privati che i manager Ilva hanno valutato nell'ordine compreso fra i 300 e i 500 milioni.
Nella costituzione della newco dell'Ilva, che è uno degli obiettivi fissati dalla legge approvata a marzo scorso dal Parlamento, interverrà anche il fondo di turnaround approvato nei giorni scorsi dal ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi. Proprio il ministro, riferendosi a questo fondo, ha detto che interverrà in tutte le situazioni di ristrutturazione industriale in cui si rende necessario e che il primo campo di applicazione sarà l'Ilva.
"Crediamo nell'efficacia del piano industriale presentato dall'Ilva - è stato il commento di Rocco Palombella, segretario generale della Uilm all'uscita dell'incontro romano - perché può contare su risorse e mezzi efficaci messi a disposizione dal governo e derivanti anche dai proventi sequestrati alla precedente proprietà. Esistono le condizioni per investimenti certi a favore del risanamento ambientale e sulle strutture degli impianti". Una nota della stessa Uilm precisa poi che il funzionamento dell'altoforno 1 riprenderà ad agosto, mentre il numero 5 - in rifacimento - sarà operativo nell'agosto del 2016.
E il coro dei sindacati è rivolto soprattutto alle cifre: l'obiettivo è quello di un'Ilva che a fine 2016 non sarà pù in perdita. "Si dovrebbe passare dall'attuale contrazione produttiva a 9 milioni di tonnellate d'acciaio su base annua nel 2018, dalle perdite di 360 milioni del 2014 a un utile di 100 milioni di euro nel 2017, fino a circa 300 dell'anno successivo".
"Serve un cambio radicale nella gestione e nell'approccio - dicono d'altronde i due manager Rosini e Ranieri - sinora la gestione commissariale non ha mostrato apertura verso l'esterno, adesso dobbiamo aprirci verso i sindacati, gli enti locali, l'indotto, i fornitori e i clienti". (Rep)

giovedì 21 maggio 2015

Perchè a Taranto piove così poco?

Topoclimi: il singolare "no rain zone" della zona di Taranto

Fig. 1: Distribuzione spaziale delle precipitazioni annue (in mm), 
media riferita al periodo 1921 – 2003

L'aridità che interessa l'area di Taranto, a differenza di quella che riguarda altre zone d’Italia, non è frutto di un'ombra pluviometrica di tipo orografico, o almeno, non solo di questa. Desta un certo interesse, infatti, il fatto che il minimo di precipitazioni che interessa la zona di Taranto è delimitato da un'isoieta di 500 mm che circonda perfettamente la zona costiera attorno al capoluogo jonico, simile a quelle che circondano la piana di Catania, la zona di Cagliari, la piana di Sibari, il Tavoliere delle Puglie ed alcuni tratti del litorale siculo meridionale.
La particolare geometria di questa isoieta, che segue molto da vicino la forma della sua costa, è probabilmente da attribuire a fenomeni a piccola scala che si sovrappongono a quelli a grande scala e che determina in corrispondenza dell'insenatura tarantina precipitazioni ancor più scarse rispetto a quelle che si riversano sui tratti di costa posti immediatamente ad Est e ad Ovest.
Se si osserva attentamente la rappresentazione dinamica riportata in figura 2 si nota che l'unica caratteristica che distingue una zona dalle altre e che può influire in qualche modo sulla quantità di precipitazioni è proprio la forma dell'insenatura della costa di Taranto.
In questa zona, infatti, il mar Jonio si incunea tra due estensioni di terra dando origine al cosiddetto "mar Grande", che è lo specchio di acqua compreso tra il centro urbano, le isole Cheradi e capo San Vito. Questo mare, poi, attraverso due canali, di cui uno navigabile, si insinua nell'entroterra per diversi Km comunicando con un bacino naturale detto "mar Piccolo".

Questa peculiare conformazione della costa fa in modo che, quando all'approssimarsi di una perturbazione da Ovest o da NW si instaura un flusso di correnti da Sud-Ovest, esse, una volta che passano dal mare alla terraferma, a causa del maggiore attrito con la costa tendono a disporsi parallelamente ad essa e raggiungono Taranto da SE.
Fig. 2: Particolare distribuzione delle correnti sulla zona
di Taranto in presenza di un vento sinottico da SW
D'altra parte il capoluogo jonico è molto rientrato rispetto all'asse principale del litorale salentino, per cui le suddette correnti, dopo aver attraversato il mar Grande, una volta che raggiungono il versante che si affaccia a SE, si compongono con la circolazione principale da SW, dando origine sulla zona di Taranto ad una locale rotazione anticiclonica che contrasterebbe la circolazione ciclonica generale e tenderebbe a smorzare l'intensità delle precipitazioni.
Non esistono, comunque al momento, osservazioni sperimentali che possano avvalorare questa ipotesi, tranne numerose osservazioni dirette dei pennacchi dei camini dello stabilimento siderurgico e della raffineria che, spesso, emettono fumi in versi opposti, pur essendo a pochi Km l'uno dall'altro. Tuttavia la Fluidodinamica relativa agli effetti dell'attrito con la superficie terrestre sullo spostamento di una massa d'aria, può senz'altro fornire un valido supporto alla precedente interpretazione. In particolare succede che, quando il vento che soffia dal golfo di Taranto verso Nord giunge sulla costa che si affaccia a Sud-Ovest, risente di un maggior attrito a contatto con essa e questo gli induce un'ulteriore rotazione verso il minimo depressionario che, in questa situazione è ad Ovest.

Conseguentemente la corrente si dispone quasi parallela alla costa e dopo aver attraversato lo specchio d'acqua che bagna il centro urbano, componendosi con il vento principale in prossimità della zona in cui il litorale piega a SW (dove il vento non ha subito alcuna rotazione), dà origine ad una circolazione anticiclonica: questo è a mio parere l'aspetto essenziale che rende ragione del minimo di precipitazioni esistente in questa zona.
Altri fattori, pur essendo presenti, credo non siano importanti: ad esempio, in primo luogo si potrebbe considerare la presenza del mar Piccolo a causa del quale il centro abitato è lambito dalle acque anche a NE, oltre che a SW. Questa ulteriore presenza di acqua se da un lato costituisce una sorgente fredda in Estate che riduce la tendenza alla formazione di temporali di calore, in Inverno rappresenta una sorgente di calore che può contribuire ad alimentare la formazione di sistemi nuvolosi. Nel computo di un anno i due effetti dovrebbero compensarsi, ma considerando che a queste latitudini le precipitazioni più copiose comunque si verificano in Inverno, in generale credo che, al limite, il mare possa al limite influire nella misura di un aumento della quantità annua di piogge.
Un altro fattore di influenza sul regime di precipitazioni nella zona di Taranto potrebbe essere costituita dalla presenza dell’altopiano delle Murge a NE e della dorsale appenninica ad Ovest, per cui si potrebbe concludere che la città sia in una zona d'ombra analoga a quella che si ha in altri luoghi d’Italia interessati da scarse precipitazioni. In realtà altre indagini di Fluidodinamica (non riportate nel presente articolo) hanno dimostrato che le correnti che raggiungono l'altopiano delle Murge presentano caratteristiche tali, da oltrepassare senza alcun disturbo i modesti rilievi pugliesi; inoltre gli effetti dei venti di caduta appenninici provenienti da W non giustificherebbero la maggior quantità annua di precipitazioni presente sul versante occidentale del litorale jonico, che fra l’altro e in maggior misura dovrebbe risentire di tali effetti favonici. Pertanto l'unica spiegazione plausibile dell’aridità della zona di Taranto resta proprio il già descritto effetto combinato dell'attrito dei venti con la costa e la geometria del litorale tarantino: questi fattori a scala locale concorrono insieme ad altri su scala regionale (bassa altitudine, bassa latitudine, ombra pluviometrica appenninica) a determinare la particolare aridità della zona.
Fig. 3: Distribuzione delle precipitazioni sul sud-est della penisola 
italiana in una situazione caratterizzata dallo Scirocco
A conclusione di quanto descritto, le precipitazioni più abbondanti in Puglia non si verificano quando è presente un minimo depressionario a NW (e posizionato in un’area compresa tra il Nord Italia e tutto l’asse della penisola italiana), situazione questa che richiama un flusso di correnti da SW, ma quando si genera una depressione sul medio - basso Tirreno o sullo Jonio, situazione in cui si instaurano venti di Scirocco che, carichi acquisendo calore sensibile e calore latente nello scorrimento sul bacino orientale del Mediterraneo, riescono a raggiungere la regione senza incontrare alcun ostacolo orografico e senza dar origine a locali formazioni anticicloniche sull’area di Taranto. Tale disposizione delle correnti favorisce, in termini precipitativi, in particolar modo l’angolo sud-orientale della penisola salentina, in un’area compresa tra i comuni di Otranto, Maglie ed il Capo di Santa Maria di Leuca, essendo questo il primo territorio che le correnti umide incontrano risalendo lungo la superficie del Mediterraneo orientale.    

Per quanto riguarda la città di Taranto, infine, considerando la locale geometria delle coste e l’orografia del territorio circostante, le precipitazioni più abbondanti si hanno con venti provenienti tra Sud e SSW, che possono essere sostenuti dalla presenza di un minimo depressionario posizionato in un’area geografica compresa tra la Sardegna e la Corsica.
Per il presente lavoro si ringraziano il Prof. L. Ruggiero dell’Università del Salento e la Prof.ssa S. Di Sabatino dell’Università di Bologna. Si ricorda, inoltre, il Prof. S. Palmieri dell’Università “La Sapienza” di Roma.

Autore : Prof. Pier Paolo Talamo- Meteolive

Una legge caricata a salve

Fonte: VoxEurop, rielaborazione ©Comitato per Taranto

Ecoreati, adesso Ilva pensa di non patteggiare

La parola d’ordine è “temporeggiare”. Le dichiarazioni di Matteo Renzi sull’Italia che “riparte da Taranto” all’inizio del 2015 sono ormai un ricordo sbiadito. La questione Ilva può aspettare. Anche la proposta di patteggiamento dinanzi al Tribunale di Taranto può restare in qualche cassetto del ministero dello Sviluppo economico, che avrebbe dovuto dare il via libera al collegio difensivo dell’azienda in amministrazione straordinaria. In una riunione tenuta mar-tedi tra il ministro Federica Guidi e la struttura commissariale guidata da Piero Gnudi, presente Paola Severino in veste di consulente legale del commissario, si è deciso appunto di frenare sul patteggiamento.
A QUANTO RISULTA al Fatto Quotidiano, nel vertice si è anche parlato del fatto che la nuova legge sugli ecoreati (approvata proprio martedì sera) potrebbe avere un impatto sul processo in corso a Taranto essendo ritenuta più “favorevole al reo” rispetto al reato di “disastro innominato” per cui l’azienda, la famiglia Riva e altri vengono perseguiti a Taranto. Trovano così una prima conferma i timori finora non ufficiali della Procura e del Tribunale della città pugliese sugli effetti che la nuova legge sugli ecoreati potrebbe avere sul maxi-processo Ilva. D’altronde anche magistrati esperti del tema come Gianfranco Amendola, uno dei padri dell’ambientalismo italiano, e Raffaele Guariniello (vedi qui accanto) lasciano intendere che il lavoro del Parlamento non sia stato così accurato come ci si aspetterebbe per una normativa attesa da vent’anni almeno.
Intanto il 28 maggio – data in cui è fissata l’udienza preliminare del procedimento “ambiente svenduto” – si avvicina. I legali dell’Ilva avevano ipotizzato di chiedere l’applicazione di una pena che prevedeva una multa da 3 milioni di euro, l’interdizione per 8 mesi e la confisca di 2 miliardi di euro come profitto del reato. Nei fatti l’uscita dell’Ilva dal processo penale, però, avrebbe gravato solo sulle tasche dei cittadini: i due miliardi di euro per il risarcimento, infatti, sarebbero stati recuperati grazie a obbligazioni garantite dallo Stato in attesa che fossero svincolati i soldi sequestrati su alcuni conti svizzeri alla famiglia Riva dalla Procura di Milano (che indaga per evasione fiscale) e da usare per il risanamento della fabbrica secondo un decreto del governo di Mario Monti (il Guardasigilli, come si sa, era Paola Severino).
Sul piano giuridico, però, il patteggiamento qualcosa lo avrebbe prodotto eccome: l’ammissione di responsabilità dell’azienda (cioè il commissario) avrebbe pregiudicato in modo significativo la posizione penale degli altri imputati. I Riva, infatti, lo hanno interpretato come una sorta di tradimento della struttura commissariale. Come che sia, qualcosa durante il cammino verso il patteggiamento deve essersi inceppato. E stando a quanto riferito da fonti interne all’azienda, uno dei principali oppositori alla proposta di patteggiamento sarebbe l’ex ministro della Giustizia Paola Severino che, da consulente legale di Gnudi, difende l’Ilva commissariata nel procedimento in corso al Tribunale di Milano. L’ex Guardasigilli, peraltro, ha una discreta competenza in tema di disastri ambientali visto che fu nel collegio di difesa della Montedison anche nel caso della discarica di Bussi, in Abruzzo, su cui – dopo le rivelazioni del Fatto Quotidiano – ora indaga il Csm per presunte pressioni sui giudici popolari per far assolvere l’azienda.
ORA, CURIOSAMENTE, proprio l’ex Guardasigilli che contribuì a scrivere il decreto che consentiva l’utilizzo dei fondi svizzeri, sembra intenzionata a consigliare all’azienda di fare un passo indietro. Il motivo? Si teme che il patteggiamento a Taranto possa condizionare la banca svizzera spingendola a non svincolare il miliardo e 200 milioni di euro sequestrati alla famiglia Riva. Un punto che però – secondo fonti aziendali – è particolarmente pretestuoso: “La Svizzera sbloccherà il denaro solo quando ci sarà una sentenza definitiva di condanna a Milano”. Tutti lo sanno, insomma, ma nessuno lo dice. Un’ipotesi che, visti i tempi della giustizia italiana e un maxi-processo con oltre 50 imputati, non promette bene. Anzi.

La verità sulla legge contro gli Ecoreati

Martedì è stata approvata al Senato (la Camera si era già espressa il 26 febbraio 2014) il DDL 1345, la cosiddetta legge contro gli Ecoreati recante disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente. Grande soddisfazione è stata espressa da questi tutti a partire dal Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti fino a Ermete Realacci del PD e Luigi Di Maio del Movimento 5 Stelle. Ma la nuova legge, presentata con lo slogan trionfale “basta casi Eternit” forse potrebbe non mantenere le promesse fatte.
DI CHI È LA LEGGE SUGLI ECOREATI?
Già dal giorno prima della votazione Luigi Di Maio scriveva che il Parlamento avrebbe approvato una legge voluta dal Movimento 5 Stelle e dopo la votazione annunciava trionfante: «È appena stata approvata la nostra legge sugli ecoreati, quella che due anni fa presentò alla Camera Salvatore Micillo nostro Deputato e cittadino della terra dei fuochi». Secondo Di Maio la legge sugli Ecoreati altro non è che quella “presentata due anni fa”
e ancora ieri Di Maio scriveva così su Facebook:

Luigi Di Maio inventa la Legge Micillo

Il problema è che la legge sugli Ecoreati non è la “Legge Micillo”. Il primo firmatario del provvedimento è il deputato del Partito Democratico Ermete Realacci che ha presentato la proposta di legge il 19 marzo 2013. La proposta del cittadino-portavoce-onorevole Salvatore Micillo invece è stata presentata il 15 maggio 2013. Come se non bastasse si evince anche dal testo approvato dal Senato nei giorni scorsi che Realacci è il primo firmatario. Che i contenuti delle due proposte di legge fossero simili è un bene, significa che le forze politiche quando vogliono sanno lavorare assieme, certo agli elettori pentastellati è meglio raccontare un’altra storia altrimenti, suscettibili come sono, potrebbero urlare all’inciucio. Soddisfazione è stata espressa anche dal Presidente del Consiglio che ci ha tenuto a immortalare il momento della “firma pesante” sulla legge contro gli Ecoreati.

COSA DICE LA LEGGE?
Ma andiamo con ordine e partiamo dall’inizio, cosa dice la legge? Il testo licenziato dal Senato martedì va ad introdurre alcune modifiche al titolo VI del libro secondo del codice penale. I nuovi reati previsti dal Codice sono cinque: inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, impedimento del controllo e omessa bonifica. La legge prevede un sostanziale aumento delle pene con aggravanti nel caso si venga riconosciuta l’associazione a delinquere ma prevede anche il “ravvedimento operoso” ovvero sconti di pena da un terzo alla metà a coloro che collaboreranno con le forze dell’ordine e dalla metà a due terzi nei confronti di coloro che si adopereranno “per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede concretamente alla messa in sicurezza, alla bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi“. Di particolare rilevanza in virtù del fatto che la legge si propone di evitare l’esplodere di altri “casi Eternit” è l’articolo 452-quater, quello che punisce il reato di disastro ambientale:
Fuori dai casi previsti dall’articolo 434, chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da cinque a quindici anni. Costituiscono disastro ambientale alternativamente: 1) l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema; 2) l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; 3) l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo. Quando il disastro è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata.
LE CRITICHE AL PROVVEDIMENTO
I Verdi sono sempre stati molto critici nei confronti di questo disegno di legge. Oggetto delle contestazioni quell’avverbio “abusivamente” ripetuto 3 volte all’interno del testo, il portavoce dei Verdi Angelo Bonelli scriveva così su Twitter:
"È nato il disastro ambientale cagionato abusivamente "

Un punto ribadito anche da Antonia Battaglia in un pezzo su Micro Mega:
Un reato ambientale, secondo la norma, sarà tale solo se sarà stato compiuto al di fuori delle norme. Ma nel caso in cui uno stabilimento industriale, una discarica o altro soggetto inquinante fossero provvisti di un’autorizzazione a produrre e a funzionare, non sarebbero abusivi e non potrebbero essere giudicati per disastro ambientale.
La legge mette a rischio il processo Ilva “Ambiente Svenduto” e rappresenta un’àncora di salvataggio per i grandi inquinatori e per le lobbies di attività industriali potenzialmente inquinanti. Poiché l’Ilva produce inquinando (lo dice il GIP Todisco del Tribunale di Taranto e fa eco la Commissione Europea), ma produce con una regolare autorizzazione ambientale. L’Ilva non rispetta, secondo il GIP e secondo la Commissione, i dettami contenuti in tale autorizzazione ma una volta approvata questa legge, essa non potrebbe mai più essere sanzionata poiché il suo inquinamento non sarebbe abusivo. Non importa che non si rispetti l’autorizzazione, l’importante è che l’autorizzazione esista.
La tesi dei Verdi è che chi ha una regolare “licenza ad inquinare” non potrà essere ritenuto colpevole di inquinamento abusivo, dal momento che il loro non potrà esserlo. Anche il procuratore della Repubblica Gianfranco Amendola attacca il provvedimento di legge proprio su quell’avverbio. In un’intervista ad Affari Italiani Amendola dice che a suo parere quell’avverbio «stabilisce che il disastro ambientale è punibile solo se commesso abusivamente significa è come dire se è commesso senza autorizzazione, come se un disastro ambientale potesse avere in qualche modo un’autorizzazione». Secondo il Procuratore capo non si tratta di un errore o di una svista, quell’abusivamente è stato messo lì proprio per impedire che la magistratura possa intervenire in alcuni settori in particolare quello industriale (oltre al caso Eternit viene citata anche l’ILVA di Taranto). Dal momento che le industrie avevano e hanno l’autorizzazione a produrre l’inquinamento risultante dalla loro attività non sarebbe abusivo. In parole povere secondo Amendola si vuole «lasciare mano libera alle industrie che devono essere libere di fare ciò che vogliono senza che i magistrati possano intervenire».
Come cantava Elio qualche anno fa: Parcheggi abusivi, applausi abusivi, villette abusive, abusi sessuali abusivi; tanta voglia di ricominciare abusiva.
Ma il problema non è solo quello dell’avverbio, a dirlo è Raffaele Guarinello, il magistrato torinese pubblico ministero nei processi sul caso Eternit. Secondo il magistrato anche con la nuova legge la sentenza sul processo alla multinazionale dell’amianto la sentenza non cambierebbe:
E oggi, se potessimo ricominciare tutto da capo, finirebbe allo stesso modo. Perché i tempi sono stati raddoppiati, è vero, ma la struttura del reato è rimasta identica. Chi dice che con questa legge il processo Eternit si sarebbe salvato dice una cosa sbagliata
Il problema, dice Guarinello all’ANSA è che la legge non ha recepito la sentenza della Cassazione sul caso Eternit e quindi l’impianto normativo rimane pressoché lo stesso della vecchia legge:
La Cassazione ha stabilito che questo reato si consuma quando avviene l’evento. E l’evento, nel caso dell’Eternit, è datato 1986, quando la società ha smesso di produrre. I supremi giudici hanno anche detto che il nostro processo era prescritto prima ancora di cominciare. E questa legge non modifica il principio. Per scongiurare il rischio prescrizione bisogna cominciare a indagare non appena la fabbrica chiude i battenti. E il reato di disastro comincia a prescriversi quando ancora non si è nemmeno manifestato (nextquotidiano)

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Il piano per l’Isola in 67 milioni di euro. La delibera del Comune presentata a Palazzo Chigi 

Con una delibera pronta, approvata meno di 24 ore prima dell’incontro, gli amministratori di Taranto si sono presentati al Governo. A Palazzo Chigi, ieri pomeriggio, si è svolto l’incontro propedeutico all'insediamento del Tavolo interistituzionale permanente per l'Area di Taranto. Ma nonostante fosse ancora un appuntamento interlocutorio Taranto ha sfoderato il suo asso nella manica. Un documento che, ricevuto l’ok dalla giunta comunale di Taranto, elenca nel dettaglio e nel concreto cosa si vuole e si deve fare per salvare la città vecchia dai crolli e lanciarla nel panorama dei centri storici risanati e brulicanti di cultura e di giovani. Non a caso la delibera è stata intitolata “Programma di interventi per il recupero la riqualificazione e la valorizzazione della Città Vecchia di Taranto”. Uno scrigno nel quale sono contenuti i progetti individuati come fondamentali per l’obiettivo: il recupero del centro storico.
La delegazione del municipio, capeggiata dal primo cittadino Ippazio Stefano con il vicesindaco Lucio Lonoce e il segretario generale, ha portato questo faldone all’attenzione del Governo. Non un libro dei sogni, ci tengono a specificare, ma uno scadenzario di luoghi e attività, con la specifica di lavori e relative spese. Per un totale di quasi settanta milioni di euro. Il programma è articolato, l’importo esatto pari a 67.331.860 euro.
Il tavolo interistituzionale a Roma è previsto dalla legge per Taranto, più nota come decreto Salva Ilva approvato alla vigilia dello scorso Natale. «Sappiamo che la legge è una leva per lo sviluppo della città di Taranto. Sta a noi però presentare i progetti e recuperare i finanziamenti». E così, il Comune si avvantaggia con un piano interamente focalizzato sull’Isola. Che prevede due tipi di interventi: la dotazione strutturale delle opere di urbanizzazione (strade, fogna, acqua, gas e banda larga sono i punti cardine) e il recupero dei palazzi e delle case fatiscenti, di pregio e non. Per citare qualcuna di queste opere c’è il progetto già pronto per la realizzazione della Casa dello studente e tutti quei servizi connessi all’università. Poi ci sono ristrutturazioni di palazzi, come Palazzo Troilo e Palazzo Carducci. Compresi, dunque, quelli che non sono stati completati con i finanziamenti Urban. In quei casi si sono anche adeguati i programmi di intervento con le norme antisismiche aggiornate.
Il sindaco tiene a ribadire: «Sono progetti pronti. Vogliamo ristrutturare e indichiamo anche quali palazzi ristrutturare», aprendo alla possibilità - che appare una scontata necessità - di una collaborazione pubblico-privata, nel segno di project financing. Nel piano sono inoltre compresi recuperi anche in senso abitativo di alcune porzioni dell’Isola.
Il tavolo sarà poi costituito ufficialmente a breve giro, assicurano da Palazzo Chigi, forse con l'emanazione di un Decreto della presidenza del consiglio dei ministri “ad hoc”.
“Con la riunione di ierisi è messa in moto la macchina interistituzionale che dovrà coordinare, in una strategia comune, gli interventi ad ampio spettro destinati alla riqualificazione integrale del territorio, per il suo rilancio ambientale e produttivo”, si legge in una nota del Governo. Durante il confronto - presieduto dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti affiancato dal segretario Generale Paolo Aquilanti - “è stato tracciato il quadro delle linee di intervento per la ripartenza dell'Area di Taranto e per la risoluzione delle problematiche esistenti: dal rilancio industriale al recupero della città vecchia e dell'Arsenale, dalla riqualificazione del patrimonio scolastico al Porto, dalle bonifiche alle infrastrutture”.
“Uno degli obiettivi su cui il governo punta con forza - si legge nella nota di Palazzo Chigi, è poi quello di valorizzare la funzione logistica di Taranto come elemento centrale dei collegamenti euro-mediterranei”. «Le risorse per affrontare questa sfida - ha osservato De Vincenti - ci sono. Il tema è quello di una loro utilizzazione ottimale». (Quot)