Nazionalizzare l’Ilva? L’ipotesi torna in campo
Piace alla Fiom Cgil e all’Unione sindacale di base, non convince la Fim Cisl e non sembra essere, almeno per ora, nell’agenda del Governo di Matteo Renzi. Parliamo della nazionalizzazione dell’Ilva. Ci sono settori, soprattutto sindacali, che sollecitano un ritorno dello «Stato padrone» vista la situazione critica che c’è a Taranto (Ilva) e a Terni (Thyssen). Ma da qui a dire che si possa tornare ad una riproposizione del modello Iri - che ha gestito l’Ilva sino ai primi mesi del 1995 quando avvenne la vendita a Riva - ovviamente ce ne corre. Eppure qualcosa si muove. Appena qualche giorno fa Giovanni Gorno Tempini, amministratore delegato della Cassa Depositi e Prestiti, ha indicato il campo nel quale l’istituto pubblico può muoversi: partecipazione diretta all’Ilva no, sostegno ad un’impresa che entra nell’azionariato dell’azienda siderurgica sì. «L’Ilva - dice Gorno Tempini - non è investibile per statuto da Cdp, nè dal Fondo strategico». Tuttavia, aggiunge, «questo non significa affatto che noi non si guardi alla siderurgia come a uno dei settori importanti dell'economia italiana». E allora, dice ancora Gorno Tempini, «è in corso un dialogo con gli operatori del settore per vedere se non ci siano le condizioni per il Fondo strategico per investire in una di queste aziende». E in tal senso un «possibile coinvolgimento di Ilva non ci vedrebbe contrari».Per statuto, Cdp e Fondo strategico possono investire in aziende che hanno una «stabile condizione di equilibrio finanziario». Gorno Tempini non fa nomi ma c’è l’ipotesi che Cdp e Fondo strategico possano sostenere Giovanni Arvedi, l’industriale siderurgico lombardo interessato ad acquisire l’Ilva come gli indiani di Jindal e la multinazionale Arcelor Mittal-Marcegaglia, con quest’ultima che appare in vantaggio rispetto agli altri due e potrebbe presentare l’offerta economica a metà mese.Scenari. Possibilità. Che si incrociano con un dato di fondo: non c’è più molto tempo per salvare l’Ilva. L’azienda ha ormai esaurito la liquidità che gli hanno trasferito le banche con la prima rata del prestito ponte (125 milioni) e quindi si deve accelerare nella costruzione di un nuovo assetto societario che assuma tra le sue priorità il risanamento ambientale, la tutela dei posti di lavoro e il rilancio industriale.
Sulla presenza dello Stato nell’Ilva, il sindacato esprime opinioni diverse. La Fim Cisl, per esempio, è più interessata affinchè lo Stato metta i paletti necessari a chi compra l’azienda e quindi vigili sul piano ambientale e su quello industriale. «Non ho nostalgia dell’acciaio di Stato e nemmeno dei suoi errori: dall’inquinamento al malgoverno» dice Marco Bentivogli, segretario nazionale della Fim Cisl e prossimo numero 1 della federazione metalmeccanica. «La fabbrica è in una situazione da allarme rosso - rileva Donato Stefanelli, segretario della Fiom Cgil di Taranto -. L’intervento dello Stato nella vicenda Ilva è indispensabile attraverso la Cassa Depositi e Prestiti». E la nazionalizzazione chiede anche Francesco Rizzo, coordinatore dell’Usb di Taranto: «Esproprio e intervento dello Stato per il risanamento e il rilancio». (GdM)
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