venerdì 7 novembre 2014

Aiuti di stato ai "poveri" privati

Peacelink: Investigazione europea sugli aiuti all'ILVA

La Commissione Europea ha cominciato a investigare sulle somme che, attraverso decreti e provvedimenti vari, sono state concesse all’Ilva dal Governo italiano.
PeaceLink ha informato la Commissione Europea delle criticità che a suo avviso potevano costituire gli «aiuti di Stato» varati sotto forma di prestiti-ponte, somme previste nei decreti legislativi varati negli ultimi anni, per la garanzia del futuro di Taranto e delle bonifiche.
Pochi giorni fa PeaceLink ha informato la Commissione, in particolare la Direzione Generale Concorrenza, del fatto che le somme liberate dal Tribunale di Milano - che ha applicato norme scritte dal Governo Italiano - sarebbero dovute rimanere ben protette a garanzia soprattutto del futuro di Taranto, per quando davvero le bonifiche fossero state progettate e avviate.
Invece, il Governo Italiano ha trascurato il fatto che l’Ilva è un’azienda ancora privata e che, secondo il principio europeo della concorrenza leale, non si possano utilizzare fondi statali per le attività correnti di alcuna impresa.
Si potrebbe configurare un aiuto di Stato nel momento in cui queste somme fossero confiscate e, a procedimento penale concluso, lo Stato non riuscisse più a recuperarle in quanto il Tribunale di Milano ha sostituito la garanzia monetaria in titoli derivanti dall’aumento del capitale di Ilva equivalente al 1,2 miliardo di euro trasferito. Titoli che potrebbero perdere in futuro il loro valore iniziale. A quel punto, lo Stato si troverebbe con un pugno di mosche in mano e la somma a garanzia delle bonifiche dei terreni da condurre e dei risarcimenti ai cittadini andrebbe irrimediabilmente persa. PeaceLink continuerà ad operare a livello europeo perché i diritti dei cittadini vengano tutelati.
L'operato del Governo italiano va fermato in nome del rispetto delle direttive europee. (Peacelink)

Ilva, entro 15 giorni  5 risposte alla Ue

L’ultimatum scadrà il 20 novembre e al netto della considerazione che il premier Matteo Renzi ha palesato per la burocrazia di Bruxelles, le otto pagine inviate dalla direzione generale per la concorrenza della Commissione europea al Governo italiano lasciano intravedere foschi scenari per l’Ilva di Taranto.
Come anticipato ieri dalla Gazzetta, la richiesta di chiarimenti indrizzata all’esecutivo non solo non fa sconti all’Italia ma anzi mette in serio dubbio tutta la successione di decreti e provvedimenti che i governi Monti-Letta-Renzi hanno varato negli ultimi due anni per cercare di dare una prospettiva allo stabilimento siderurgico di Taranto, ai suoi 20mila addetti, al settore manifatturiero italiano, pur al cospetto di una perizia che ha definito quell’acciaieria fonte di malattie e morte per operai e cittadini.
Sono cinque i quesiti ai quali la Commissione Europea pretende risposte. Il primo riguarda la situazione finanziaria dell’Ilva. Il Governo Renzi aveva già scritto alla commissione, sostenendo che l’Ilva non poteva essere considerata come una impresa in difficoltà, ma da Bruxelles scrivono che i dati forniti a sostegno di tale tesi sono insufficienti e per dunque si sollecita la consegna di bilanci e documenti riguardanti gli anni 2012-2013-2014. Poi c’è il capitolo della responsabilità ambientale, sul quale la Commissione addirittura chiede una lista dettagliata di tutti i provvedimenti autorizzativi in materia ambientale violati dall’Ilva dal 1996 a oggi, alla luce del principio «chi inquina paga». La commissione chiede atti, sentenze, rinvi a giudizio e tutta la documentazione giudiziaria riguardante lo stabilimento di Taranto, chiedendo inoltre di quale connessione ci sia tra l’inquinamento contestato con sentenza della Cassazione nel 2005 e l’inquinamento attuale. Viene, poi, sollecitata copia del piano industriale dell’Ilva dopo la nomina del commissario Piero Gnudi - piano industriale in realtà ancora non redatto - e una relazione su tutte le azioni prese.
Poi vengono i nodi economici, assai complicati da sciogliere. La Commissione europea, che scrive qualche giorno prima il gip di Milano disponga il trasferimento di un miliardo e 200 milioni di euro sequestrati ai fratelli Riva per frode fiscale nel capitale sociale dell’azienda, contesta la disposizione normativa che lo permette, arrivando a sostenere che «a seguito del trasferimento delle somme, lo Stato italiano diventerà azionista di Ilva»: e quel diventerà, appunto, è stato scritto a trasferimento non ancora autorizzato. A tal proposito, Bruxelles pone due domande a dir poco imbarazzanti: «per quale motivo somme depositate presso un fondo statale e amministrate da un soggetto pubblico (Equitalia giustizia, ndr) non rappresentino risorse statali? E perché il loro trasferimento ad Ilva in ottemperanza ad un atto normativo (il decreto legge Ilva-Terra dei fuochi dell’agosto 2014, ndr) non sia imputabile allo Stato?»
Quindi c’è la questione riguardante il prestito ponte, in due tranche da 125 milioni di euro l’una, contratto dal commissario Gnudi con un pool di banche per garantire il pagamento degli stipendi e dei fornitori. La Commissione europea ritiene infatti che avendo considerato quel prestito prededucibile (ovvero a pagamento prioritario in caso di insolvenza) sia da considerare aiuto di Stato per il rischio che lo Stato ha in termine di potenziale riduzione della possibilità di soddisfacimento di eventuali crediti nei confronti dell’Ilva in caso di fallimento. E a dimostrare il coinvolgimento dello Stato nella pratica del prestito ponte, la Commissione europea cita riunioni svoltesi al ministero dello Sviluppo Economico con gli enti locali per stabilire la priorietà da dare ai pagamenti dei debiti Ilva dopo l’ottenimento dei prestiti ponte.
L’ultimo quesito riguarda l’ambiente. La Commissione europea alla luce del protocollo sottoscritto nell’estate del 2012 tra Governo e enti locali per interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione, contesta il fatto che tale interventi, fatti per riparare i danni provocati dall’inquinamento prodotto dall’Ilva, siano finanziati dallo Stato. «La Commissione è dell’avviso - si legge nella lettera - che gli interventi di bonifica previsti dal protocollo, sebbene non effettuati sull’area dove insiste lo stabilimento dell’Ilva, sono intesi a bonificare aree adiacenti che risultano altamente inquinate direttamente a causa di Ilva». (GdM)

Ilva, la Ue ipotizza aiuti di Stato. Nel mirino prestito ponte e decreto 'Terra dei fuochi'

La Commissione europea indaga su presunti aiuti di Stato concessi all'azienda siderurgica Ilva e chiede al governo italiano risposte entro il 20 novembre. La Commissione vuole capire se "lo Stato italiano diventerà azionista di Ilva". La Dg Concorrenza della Commissione ha inviato, lo scorso 20 ottobre, una lettera di otto pagine al governo italiano - dal titolo eloquente "Presunti aiuti a Ilva" - in cui si chiedono ulteriori informazioni, dopo una prima missiva inviata a fine maggio, su tre presunte misure di aiuto, dal trasferimento di fondi sequestrati dalla magistratura al prestito-ponte concesso all'azienda, passando per le bonifiche di aree inquinate con fondi pubblici.
 Nuove grane europee per il commissario governativo dell'Ilva Piero Gnudi, dunque. L'Ue chiede chiarimenti sulla situazione economica dello stabilimento siderurgico più grande d'Europa, sulla sua programmazione industriale e si adombrano sospetti di violazione delle norme sulla concorrenza ed aiuti di Stato alle imprese private, con riferimento alle stampelle concesse dagli ultimi governi a suon di decreti, leggasi sblocco delle somme sequestrate per reati fiscali ai Riva e convertite in azioni di Ilva spa e prestito-ponte concesso dalle banche con la garanzia del governo.
La Commissione europea chiede delucidazioni sulle ultime due leggi approvate sull'Ilva, in particolare la "Ilva-Terra dei fuochi" che prevede il trasferimento delle somme sequestrate dai pm milanesi nell'inchiesta a carico di Emilio Riva (morto ad aprile) e suo nipote Adriano, indagati per frode fiscale. In virtù della norma, le somme sequestrate sono state sbloccate dal gip di Milano e saranno intestate al fondo unico di Giustizia, gestito da Equitalia per diventare azioni di Ilva. La Commissione quindi si chiede se lo Stato italiano diventerà così azionista del siderurgico. Quanto al prestito-ponte di 250 milioni di euro (per metà già erogato) concesso da un pool di banche con la garanzia della prededucibilità da parte del governo (cioè la priorità di credito in caso di fallimento o insolvenza), la Commissione ritiene che si tratti di un vero e proprio aiuto di Stato (al ministero dello Sviluppo economico si sono tenute riunioni con associazioni di categoria ed enti locali per garantire la priorità al pagamento di fornitori e stipendi).
La Commissione intende fare i conti in tasca all'Ilva. Chiede di indicare l'ammontare delle esigenze di liquidità di Ilva al momento della concessione del prestito-ponte di 125 milioni di euro e copie dei bilanci degli anni 2012 e 2013, nonché informazioni sulla situazione finanziaria aggiornata ad ottobre 2014 per capire se l'Ilva è o non è da considerare impresa in difficoltà. Le ragioni esposte nella precedente lettera del governo Renzi, secondo cui l'Ilva non è da considerare in difficoltà, sono state ritenute insufficienti. Fra le richieste, anche copia del piano industriale, che nonostante dovesse seguire a breve quello ambientale approvato prima dell'estate, non è ancora pronto.
Quanto alle questioni ambientali, la Commissione chiede all'Ilva copia delle sentenze dei magistrati e dei provvedimenti di sequestro e misure cautelari a carico dei proprietari e legali rappresentanti di Ilva. In particolare viene chiesto di spiegare la connessione fra inquinamento contestato con la sentenza passata in giudicato nel 2005 e l'inquinamento attuale contestato dalla magistratura tarantina nel maxi procedimento per disastro ambientale e dalla stessa Commissione che ha aperto a carico dell'Italia una procedura d'infrazione per violazione delle norme sull'inquinamento ambientale. La Commissione vuol sapere se nel caso di acquisizione di Ilva e costituzione di una new company (dove confluiscono impianti, personale ed attività industriale) ed una bad company (dove restano contenziosi e perdite), le richieste di risarcimento per danni ambientali possano subire limitazioni, alla luce del principio "chi inquina paga". Per lo stesso principio, la Commissione si chiede come mai sia lo Stato a pagare i 119 milioni di euro per le bonifiche delle aree vicine allo stabilimento inquinate a causa dell'Ilva.
La Commissione vuole una risposta entro il 20 novembre, altrimenti potrebbe ingiungere all'Italia di fornire le informazioni richieste o addirittura aprire una procedura d'investigazione formale. Dopo aver ricevuto la lettera, il commissario governativo Piero Gnudi nei giorni scorsi è volato  a Bruxelles per cercare di fornire tutti i chiarimenti del caso.

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