lunedì 3 novembre 2014

I fumi e la storia



Da quando è esploso il caso Ilva, nell’estate 2012, ci siamo abituati ad assistere ad un risveglio dell’attenzione mediatica, anche su scala nazionale, sulla città di Taranto. Dopo anni in cui la minima conquista di spazi mediatici, sia di denuncia che di promozione, risultava un’impresa titanica, “finalmente” Taranto e le sue problematiche sono finite al centro dei riflettori anche delle più importanti emittenti televisive. 
A margine di un nuovo servizio televisivo, andato in onda domenica 2 novembre 2014, occorre però fare chiarezza sul ruolo che gli operatori sociali cittadini dovrebbero, a nostro avviso, avere. Per altro, proprio nell’ultimo servizio appare una breve intervista ad uno di noi, raccolta durante le quotidiane attività di guida turistica nel quartiere, che sintetizza la nostra idea: la cura e la rivalorizzazione dei luoghi abbandonati della Città Vecchia non possono prescindere dalla tutela sociale delle persone che la vivono o che intendono farlo.
Seguendo questa logica, occorre farsi carico della responsabilità di quel che vedono gli occhi di chi visita la città, con o senza telecamera. Se, da un lato, il lavoro di ricerca documentale non può non dare risalto al patrimonio storico e culturale che Taranto nasconde, dall’altro occorre saper spiegare le contraddizioni vissute dalla città che ne hanno lasciato molti tratti in macerie. “C’è stata una guerra/un’alluvione/un terremoto?” è la domanda che, tante volte, ci siamo sentiti porre durante le visite guidate. Finché non si riuscirà a contrastare la mole di interessi, speculazioni ed inerzie che costringono ancora la Città Vecchia ad un ruolo marginale e residuale nella vita sociale ed economica della città, sarà pressoché impossibile che i giornalisti possano evitare un taglio di forte critica ed indagine sui problemi che, spesso, l’abitudine rende invisibili agli occhi di molti concittadini. Taglio critico che, purtroppo, per esigenze di “shock mediatico” rischia di trasformarsi in sensazionalismo a-critico, mescolando impropriamente fatti di cronaca e forme di attivazione politica e sociale. Infatti, se da un lato è stato sacrosanto sollevare le gravissime e pluridecennali mancanze del Comune di Taranto, coronata dall’assenza del sindaco, dall’altro abbiamo trovato inadeguato il modo in cui il servizio s’è affacciato sulla Casa Occupata di Via Garibaldi, insinuando nello spettatore l’impressione che sia un problema di ordine pubblico anziché una realtà impegnata nella denuncia dell’emergenza abitativa e dello spreco di finanziamenti per la ricostruzione degli edifici pubblici. Riteniamo che questi gap comunicativi, però, siano da attribuire non solo alla tendenza mediatica attuale ma, anche, alla scarsa capacità dei gruppi del territorio di far sentire una voce coordinata e di lavorare nella stessa direzione.
In sintesi, occorre superare i vani tentativi di imporre a Taranto un’inesistente immagine patinata sperando che i “forestieri” non si accorgano dell’illusione, adoperandosi invece per rimuovere la coltre di detriti che ne soffoca la germogliazione. Soprattutto, essere operatori sociali vuol dire, per noi, non accettare mai più il sistema culturale imposto che ha portato al disastro attuale. (Le Sciaje)

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