L'Ilva «brucia» 2,5 miliardi di capitale
L' Ilva assomiglia a un organismo sempre più fragile, piegato su se stesso, quasi fratturato nel suo sistema finanziario e industriale. L'indicatore più significativo di questa drammatica consunzione è il patrimonio netto consolidato. Due miliardi e cinquecentosettantasette milioni di euro. A tanto ammonta il suo depauperamento.Il 30 giugno 2012, un mese prima che l'inchiesta "Ambiente Svenduto" della Procura di Taranto culminasse negli ordini di arresto di otto persone (fra cui Emilio e Fabio Riva) e nel sequestro (senza facoltà d'uso) dell'area a caldo, il patrimonio netto consolidato era pari a 3,673 miliardi di euro. Il 30 settembre di quest'anno - dopo ripetuti shock finanziari e industriali, lunghi periodi di acefalia strategica e due gestioni commissariali - il patrimonio netto è diventato di 1,096 miliardi di euro. Il 70% in meno.
Si tratta di un indebolimento rilevante, imputabile alle cause più diverse: dagli effetti di cambio alle variazioni delle aree di consolidamento (una ipotesi non trascurabile, dato che parti intere dell'impianto con annesse materie prime sono state a lungo ferme), dalle variazioni delle riserve di cash flow alle perdite, che - nel 2012 e nel 2013, stando ai report che si trovano sulle scrivanie dei banchieri - sono state rispettivamente pari a 1,279 miliardi e 1,042 miliardi di euro. Senza contare quest'anno, dunque, l'impresa ha perso fra 2012 e 2013 2,321 miliardi di euro. Nel 2011 aveva guadagnato poco, ma aveva guadagnato: 88 milioni di euro.
L'Ilva - qualunque sia il suo futuro prossimo venturo - appare dunque un corpo societario debole. Debolissimo. Dopo che la magistratura milanese ha autorizzato l'attuale struttura commissariale ad accedere agli 1,2 miliardi di euro dei Riva sottoposti a sequestro per presunti reali valutari e monetari distinti dalla questione dell'Ilva (a questo proposito, c'è già stato un primo incontro fra lo studio Severino, che opera per conto del commissario Piero Gnudi, e i magistrati di Milano), Arcelor Mittal - con il partner di minoranza Marcegaglia - sta predisponendo una lettera di intenti non vincolante che, a differenza di quella recapitata un mese fa, conterrà la cifra che il gruppo è disponibile a spendere per acquistare la società commissariata. Intanto, alcuni banchieri d'affari stanno lavorando sulla fisionomia di una newco, a cui Arvedi conferirebbe una parte rilevante dei suoi asset, mentre i soldi veri verrebbero messi da Cassa Depositi e Prestiti e da Csn, che peraltro è già partner industriale di Arvedi in un tubificio in Brasile (ndr: si veda l'articolo a pagina 10). Gnudi auspica di ricevere, entro fine mese, le offerte dalle due cordate. I banchieri, che hanno incontrato Gnudi martedì, pensano che una manifestazione di interesse concreta possa addirittura arrivare intorno al 15 novembre: in particolare quella di Arcelor Mittal, che ha iniziato a lavorare sul dossier il 2 giugno scorso. (Sole24h)
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