Vi spieghiamo il perche' l'Ilva non potra' essere nazionalizzata
La questione Ilva cresce di tono e di
spessore, in un accavallarsi disordinato ed estemporaneo d’interventi
istituzionali, di soggetti associativi e di singoli cittadini. Il
decreto del giudice delle indagini preliminari, in applicazione del DL
61 del 2003, trasferisce i beni sequestrati ad amministratori e soci,
che hanno svolto ruoli di coordinamento e direzione in Ilva. Beni pari a
1,2 miliardi in danaro e titoli derivanti da reati di riciclaggio,
truffa ai danni dello Stato. Il Pubblico ministero, poi, è stato
chiarissimo sul “trasferimento delle somme, nell’'ottica del
legislatore, sia giustificato esclusivamente dalla finalità di
realizzare le misure di tutela ambientale e sanitaria previste nell’AIA e
non già per garantire la gestione corrente dell’impresa commissariata
in una situazione, peraltro, in cui vi sono fondati dubbi sulla
continuità aziendale della stessa”. In questa commedia goldoniana delle
istituzioni, si inserisce anche il riferimento alla sentenza della
Corte Costituzionale n 85 dell’aprile dello scorso anno dove si legge
che “si deve osservare che a Taranto si è verificata una situazione
grave ed eccezionale” e quindi che «il legislatore ha ritenuto di dover
scongiurare una gravissima crisioccupazionale di peso ancor maggiore
nell’attuale fase di recessione economica nazionale e internazionale. Senza
tuttavia sottovalutare la grave compromissione della salubrità dell
'ambiente, e quindi della salute delle popolazioni presenti nelle zone
limitrofe » e, pertanto, almeno fino a quando la logica è applicabile a
quanto viene affermato dalla Corte Costituzionale, che considera l’AIA
come strumento che «traccia un percorso di risanamento ambientale
ispirato al bilanciamento tra la tutela dei beni indicati e quella dell’
'occupazione, cioè tra beni tutti corrispondenti a diritti
costituzionalmente protetti. La deviazione da tale percorso, non dovuta a
cause di forza maggiore, implica l'insorgenza di precise responsabilità
penali, civili e amministrative, che le autorità competenti sono
chiamate a far valere secondo le procedure ordinarie».
Su questa benedetta AIA si inserisce poi
la valutazione di un altro pachiderma burocratico: la Commissione UE,
la quale dopo aver inviato due lettere settembre 2013 e aprile 2014
concede ulteriori tempo per rispondere alle contestazioni di merito che
riguardano la direttiva sulle emissioni (sic!) e machiavellicamente “
altre norme UE in vigore in materia ambientale”. Il provvedimento della
Commissione dopo che il caso Taranto è diventato tema di dibattito
mondiale, ma non di azione civica continentale sullo svuotamento delle
norme di tutela e la assenza di strumenti di repressione repentini e
comunque coerenti con la gravità dei casi, porta i burocrati di
Bruxelles a stigmatizzare “l’inosservanza delle condizioni stabilite
nelle autorizzazioni, l’inadeguata gestione dei sottoprodotti e dei
rifiuti, protezione e monitoraggio insufficienti del suolo e delle acque
sotterranee”. La Commissione concede all’Italia due mesi per
rispondere. La gravità maggiore è rappresentata dalla mancata riduzione
delle emissioni non controllate che nascono durante il processo di
produzione dell’acciaio. La Commissione è consapevole che Ilva ha un’Aia
per produrre ma non rispetta le prescrizioni. E dopo ? Passeranno
almeno altri tre anni tra deferimento alla Corte, pronunciamento della
sentenza, riluttanza ad applicarla con conseguente nuovo rinvio alla
Corte che comminerà una sanzione forfettaria o giornaliera, che graverà
sulle tasche del contribuente italiano.
In questo scenario di “anarchia
istituzionale”, sterilità e assenza di pensiero strategico s’inseriscono
proposte estemporanee tipo l’uso dei fondi sequestrati, per altre
finalità, la Public Company, l’acquisizione di Ilva da parte dello Stato
l’acquisto dell’impianto da cordate miste italiani e no. Queste
ultime, senza garanzie dello Stato e svendita a prezzi di saldo, non
faranno un bel nulla. Sulla Public Company è meglio non perdere tempo a
commentarla. Rimane l’intervento dello Stato. E’ credibile? Guardando i
numeri della legge di stabilità, del bilancio assestato e della
dichiarazione di rispetto del “Trattato per la Stabilità, il
Coordinamento e la Governance non sembra proprio. Nel bilancio
assestato dello Stato gli investimenti in conto capitale passano dai
circa 57 mld di questo anno a 38 mld nel 2015 e a 31,8 nel 2016.
Contrariamente a quanto propalato sui media la legge di stabilità non è
espansiva! Non lo dico io, ma il vice direttore generale di Bankitalia
in audizione alle commissioni riunite di Camera e Senato. Al netto delle
bufale dichiarate nel DEF di aprile, che annunciava una crescita dello
0,8% , che la Commissione UE ieri l’altro ha trasformato in recessione
con un meno 0,4% Pil, con un errore dei nostri specialisti di 1,2% di
PIL in solo sei mesi! Nella audizione Bankitalia dimostra che il deficit
di una manovra, che doveva essere espansiva, cala dal 3% al 2,6% e
metà della riduzione sarà per minori interessi e l’altra metà per minori
investimenti pubblici. Taranto, e gran parte del Sud, forse si potranno
salvare solo concentrando su una decina di progetti di riconversione,
lungo la traiettoria delle vocazioni locali, dei fondi strutturali della
nuova pianificazione UE 2014/2020. Tutto il resto è melina! (Cosmopolismedia)
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