sabato 8 novembre 2014

I conti nel portafoglio d'Italia

Vi spieghiamo il perche' l'Ilva non potra' essere nazionalizzata

La questione Ilva cresce di tono e di spessore, in un accavallarsi disordinato ed estemporaneo d’interventi istituzionali, di soggetti associativi e di singoli cittadini. Il decreto del giudice delle indagini preliminari,  in applicazione del DL 61 del 2003, trasferisce i beni sequestrati ad amministratori e soci, che hanno svolto ruoli di coordinamento e direzione in Ilva. Beni pari a 1,2 miliardi in danaro e titoli derivanti da reati di riciclaggio, truffa ai danni dello Stato. Il Pubblico ministero, poi, è stato chiarissimo sultrasferimento delle somme, nell’'ottica del legislatore, sia giustificato esclusivamente dalla finalità di realizzare le misure di tutela ambientale e sanitaria previste nell’AIA e non già per garantire la gestione corrente dell’impresa commissariata in una situazione, peraltro, in cui vi sono fondati dubbi sulla continuità aziendale della stessa”. In questa commedia goldoniana delle istituzioni,  si inserisce anche il riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale n 85 dell’aprile dello scorso anno dove si legge che “si deve osservare che a Taranto si è verificata una situazione grave ed eccezionale” e quindi che «il legislatore ha ritenuto di dover scongiurare una gravissima crisioccupazionale di peso ancor maggiore nell’attuale fase  di  recessione economica nazionale e internazionale. Senza tuttavia sottovalutare la grave compromissione della salubrità dell 'ambiente, e quindi della salute delle popolazioni presenti nelle zone limitrofe » e, pertanto, almeno fino a quando la logica è applicabile a quanto viene affermato  dalla Corte Costituzionale,  che considera l’AIA come strumento che «traccia un percorso di risanamento ambientale ispirato al bilanciamento tra la tutela dei beni indicati e quella dell’ 'occupazione, cioè tra beni tutti corrispondenti a diritti costituzionalmente protetti. La deviazione da tale percorso, non dovuta a cause di forza maggiore, implica l'insorgenza di precise responsabilità penali, civili e amministrative, che le autorità competenti sono chiamate a far valere secondo le procedure ordinarie».
Su questa benedetta AIA si inserisce poi la valutazione di un altro pachiderma burocratico: la Commissione UE, la quale dopo aver inviato due lettere settembre 2013 e aprile 2014 concede ulteriori tempo per  rispondere alle contestazioni di merito che riguardano la direttiva sulle emissioni (sic!) e machiavellicamente “ altre norme UE in vigore in materia ambientale”. Il provvedimento della Commissione dopo che il caso Taranto è diventato tema di dibattito mondiale, ma non di azione  civica continentale sullo svuotamento delle norme di tutela e la assenza di strumenti di repressione repentini e comunque coerenti con la gravità dei casi, porta i burocrati di Bruxelles a stigmatizzare “l’inosservanza delle condizioni stabilite nelle autorizzazioni, l’inadeguata gestione dei sottoprodotti e dei rifiuti, protezione e monitoraggio insufficienti del suolo e delle acque sotterranee”. La Commissione concede all’Italia due mesi per rispondere. La gravità maggiore è rappresentata dalla mancata riduzione delle emissioni non controllate che nascono durante il processo di produzione dell’acciaio. La Commissione è consapevole che Ilva ha un’Aia per produrre ma non rispetta le prescrizioni. E dopo ? Passeranno almeno altri tre anni tra deferimento alla Corte, pronunciamento della sentenza, riluttanza ad applicarla con conseguente nuovo rinvio alla Corte che comminerà una sanzione forfettaria o giornaliera, che graverà sulle tasche del contribuente italiano.
In questo scenario di “anarchia istituzionale”, sterilità e assenza di pensiero strategico s’inseriscono proposte estemporanee tipo l’uso dei fondi sequestrati, per altre finalità, la Public Company, l’acquisizione di Ilva da parte dello Stato l’acquisto dell’impianto  da cordate miste italiani e no. Queste ultime, senza garanzie dello Stato e svendita a prezzi di saldo, non faranno un bel nulla. Sulla Public Company è meglio non perdere tempo a commentarla. Rimane l’intervento dello Stato. E’ credibile? Guardando i numeri della legge di stabilità, del bilancio assestato e della dichiarazione di rispetto del “Trattato per la Stabilità, il Coordinamento e la Governance  non sembra proprio. Nel bilancio assestato dello Stato gli investimenti in conto capitale passano dai circa 57 mld di questo anno a 38 mld nel 2015 e a 31,8 nel 2016. Contrariamente a quanto propalato sui media la legge di stabilità non è espansiva! Non lo dico io,  ma il vice direttore generale di Bankitalia in audizione alle commissioni riunite di Camera e Senato. Al netto delle bufale dichiarate nel DEF di aprile, che annunciava una crescita dello 0,8% , che la Commissione UE ieri l’altro ha trasformato in recessione con un meno 0,4% Pil, con un errore dei nostri specialisti di 1,2% di PIL in solo sei mesi! Nella audizione Bankitalia dimostra che il deficit di una manovra, che doveva essere espansiva, cala dal 3% al 2,6%  e metà della riduzione sarà per minori interessi e l’altra metà per minori investimenti pubblici. Taranto, e gran parte del Sud, forse si potranno salvare solo concentrando su una decina di progetti di riconversione, lungo la traiettoria delle vocazioni locali, dei fondi strutturali della nuova pianificazione UE 2014/2020. Tutto il resto è melina! (Cosmopolismedia)

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