Banche sui lavori all'Ilva. Chi rimborserà prestito?
Ilva e banche approfondiscono il piano industriale dell'azienda, quello che sará ufficializzato non appena il piano ambientale già approvato con Dpcm dal Consiglio dei ministri verrá pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale». Nei giorni scorsi ci sono giá stati due incontri con i rappresentanti degli istituti - Unicredit, Intesa San Paolo e Popolare di Milano - che stanno negoziando con l'Ilva. All'ultimo c'erano sia il commissario dell'Ilva, Enrico Bondi, che il sub commissario Edo Ronchi, che poi hanno incontrato anche il ministro dell'Ambiente, Gian Luca Galletti. Quello con le banche é stato un confronto approfondito che ha riguardato sia gli investimenti industriali che ambientali. La novitá é che le banche hanno dato mandato a Roland Berger, societá tedesca specializzata in consulenza nei business industriali, di verificare fattibilitá e soprattutto costi dei due piani Ilva.Stando a quando si é appreso, rimane in piedi la possibilitá che le banche eroghino all'Ilva un prestito ponte di circa 500 milioni di euro, così come sollecitato da Bondi per far fronte alla mole di lavori necessari nel siderurgico. Le banche, peró, chiedono chiarezza anche su chi e come sottoscriverá l'aumento di capitale. In sostanza, siccome l'ultima legge sull'Ilva, la numero 6 dello scorso 6 febbraio, prevede l'aumento di capitale finalizzato al risanamento ambientale dell'azienda, le banche vogliono sapere chi, dopo un'eventuale concessione del prestito ponte, si fará carico dell'impegno piú rilevante. Se sará ancora l'attuale proprietá dei Riva, soluzione indicata in prima battuta dalla legge, oppure altri investitori, considerate le manifestazioni di interesse avanzate nei confronti dell'azienda. Dal gruppo franco-indiano Arcelor-Mittal alla possibile cordata italiana lanciata come proposta da Marcegaglia.Per le banche non é affatto secondario sapere quale assetto proprietario c'é nel futuro dell'Ilva considerato che nelle ultime settimane i costi del piano industriale sono passati da una previsione di 3 miliardi ad una di 4,3 miliardi e che l'orizzonte temporale del piano non si ferma piú al 2016 - anno in cui in base alla legge dovrá essere ultimata l'attuazione delle prescrizioni ambientali - ma arriva sino al 2020. In quella che puó considerarsi una sorta di seconda fase, i commissari dell'Ilva collocano infatti - per ora solo come scenario - la possibilitá di intensificare l'utilizzo del preridotto di ferro negli altiforni e nelle acciaierie passando dall'acquisto dall'estero, cosa che sta avvenendo da alcuni mesi, alla produzione a Taranto. Questo, ovviamente, richiede un investimento ad hoc. Ma richiede pure che la quota di acciaio col preridotto - sistema giá usato da altre aziende e che permette di ridurre ulteriormente le emissioni inquinanti - sia progressivamente aumentata e ci sia anche l'uso del gas al posto del carbon coke negli altiforni. In tal senso l'Ilva prevederebbe che la produzione di acciaio col preridotto debba attestarsi tra i 4 e 5 milioni di tonnellate annue, comprimendo quella fatta con l'agglomerato di minerali e il carbon coke, e che il gas destinato agli altiforni abbia un costo non superiore ai 23 centesimi per metro cubo. Questi due requisiti, nello scenario tracciato dall'Ilva, vengono giudicati fondamentali se, nella riconversione ecologica dell'azienda, si vuole passare dalla sperimentazione del preridotto di ferro - 2,5 milioni di tonnellate annue - ad un'utilizzazione maggiore, strutturale, con relativa produzione della materia a Taranto. Cosa che richiederebbe anche l’emissione di una nuova Aia.
Le banche hanno ascoltato con interesse il quadro esposto da Bondi e Ronchi sul futuro dell’Ilva, ma hanno appunto chiesto di sapere chi si fará carico del progetto e, quindi, chi saranno gli investitori. Sia le banche che Roland Berger sanno bene che il mandato di Bondi e Ronchi é a tempo determinato. Bondi, infatti, é stato nominato a giugno dell'anno scorso dal Governo e il suo incarico, stando alla legge 89 del 2013, quella che ha disposto il commissariamento dell'Ilva, non puó durare piú di 36 mesi salvo proroghe. La gestione commissariale, quindi, dovrebbe terminare a metá 2016, in parallelo col completamento dell'Aia. Che poi é la «missione» che era stata affidata dal Governo ai commissari mentre ora si delineano discorsi che vanno ben al di lá della sola Aia. Ma questo perché, come piú volte ha dichiarato il sub commissario Ronchi, strada facendo «ci siamo accorti che l'Ilva non ha solo bisogno di attuare le prescrizioni ambientali, ma deve anche intervenire nella manutenzione degli impianti, nell'innovazione e nella sicurezza sul lavoro. Solo cosí potremo farne una realtá industriale veramente competitiva oltreché sostenibile». D'altra parte, nell'aumento dei costi sino a poco piú di 4 miliardi, pesa anche la voce sicurezza sul lavoro, dove una societá incaricata dall'Ilva di «mappare» la situazione dello stabilimento, ha presentato un quadro di interventi da 6-700 milioni. Ed é proprio l'aumento dei costi che ora rende prudenti le banche nel confronto con l'Ilva e a porre con piú evidenza il problema di quale sará il futuro assetto proprietario dell'azienda. (GdM)
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