Taranto, «San Francesco» «Parte civile contro l’Ilva»
La decisione è presa. La chiesa San Francesco de Geronimo, quartiere Tamburi, rappresentata dal suo storico parroco, Don Nino Borsci, si costituirà parte civile nell’udienza preliminare, che si terrà il 19 giugno nella palestra dei Vigili del Fuoco, a carico dei 53 imputati, per il disastro ambientale dell’Ilva.
«Devo ancora nominare un legale di fiducia, ma non ho
dubbi, il giorno dell’udienza preliminare la mia parrocchia ci sarà»
aggiunge Don Nino, da sempre a guardia di un quartiere consumato e
sporcato dai fumi dell’acciaieria. La chiesa compare tra le parti
offese, la maggior parte, al momento, sono proprietari di case e
immobili nel rione Tamburi, individuate dalla procura di Taranto, che
hanno la possibilità quindi, di chiedere un risarcimento per il danno
subito in virtù delle polveri che fuoriescono dalla fabbrica.
Don Nino – «ho scoperto per caso 3-4 mesi fa che c’era
questa possibilità» - ha atteso per prendere una decisione, fino al
giorno in cui ha ricevuto la notifica inviata dal Tribunale, avviso che
viene consegnato alle parti offese proprio consentire loro l’eventuale
costituzione di parte civile. La facciata della chiesa stata è rifatta
due volte, negli ultimi vent’anni. «Ma continua a sporcarsi» aggiunge
Don Nino, parroco di poche parole, ragionate, ma solide.
Con lui parlare di Ilva, inquinamento e disastro
ambientale, vuol dire abbracciare tante tematiche, dalla paura di
perdere il lavoro, ai terreni contaminati, fino al rischio sanitario per
i bambini. Tutto si tiene nel suo ragionamento. Perché in tanti anni di
vita nel rione più inquinamento d’Italia, tutto ha visto e tutto
conosce: la miseria di alcune strade ma anche la forza dei giovani,
molti figli di operai, che frequentano la sua parrocchia. «Ciò che
inquina andava e va spento» dice chiaramente Don Nino con grande
pragmatismo, riferendosi ad impianti come le cokerie. E’ la sua
posizione, chiara e netta, che non esclude però la necessità di
sostenere il lavoro.
«Anche se noto che gli operai avevano più paura prima,
quando l’inchiesta è scoppiata – aggiunge ancora Don Nino –. Oggi forse
vedono la chiusura più lontana, e quindi avvertono meno preoccupazione».
Il dramma del quartiere però non si misura solo attorno agli operai o
ai malati, ma anche nelle decisione ammnistrative prese e «non prese».
«Non c’è stata e non c’è una forza politica capace di prendere decisioni
serie – spiega –. Qui si è giocato sulla pelle delle persone,
insultando l’intelligenza umana. A Taranto non c’è stato nessuno, sempre
dal punto di vista politico, che abbia dettato legge nel rispetto della
gente. Ma è possibile che parliamo di rigenerazione ambientale quando
nel quartiere ci sono ancora le ordinanze che vietano ai bambini di
giocare nei giardinetti?».
E’ vero anche che le ordinanze non sempre vengono
rispettate. Don Nino ultimamente è stato a Cagliari per partecipare ad
un convegno. «Tutti sono a conoscenza della situazione di Taranto –
chiarisce – e tutti parlano di una città invivibile. Ma non è vero. Il
nostro mare non è tutto inquinato, al contrario dovrebbero invidiarcelo.
E non conoscono neanche il nostro Museo. Ma vogliamo farla una campagna
massiccia e continuativa per promuoverci?»
Don Nino conosce tanti giovani tarantini che lavorano
come camerieri nei ristoranti solo nel week-end, «se va bene». Prima
erano impegnati dal lunedì alla domenica. Colpa della crisi, e di una
città che non viene sostenuta. I ristoranti chiudono e i giovani
emigrano. «Non dobbiamo sottacere i problemi. Ma dobbiamo dare a Taranto
una nuova immagine. La gente deve restare e poter mangiare». Tutto si
tiene. (Cavallaro - GdM)
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