Ecco uno di quegli effetti collaterali della sovraesposizione mediatica e informativa.
Un evento si misura anche dalla sua capacità di incidere sulla cultura del suo tempo, soprattutto sulla lingua.
Dopo l'Ilva i vocaboli del lessico medico, scientifico, empidemiologico sono entrati nel quotidiano delle persone.
I periti medici, epidemiologi e chimici raccontano un'altra, sconosciuta, parte di noi. Come fecero sociologi e psicologi tra XIX e XX secolo.
In quest'opera il riferimento è diretto.
Altrove si perde di vista l'origine, ma viene riproposto il totem linguistico della grande paura e la coscienza del potere sulle nostre vite.
Che sia il termometro che misura un interesse rinato per quello ce ci circonda e la sua influenza su di noi?
Che stia cambiando qualcosa nel patto scellerato tra gli uomini e la terra?
C'è ancora bisogno di molta di questa letteratura. E rigorosa!
La tragedia dell'Ilva nella scrittura di Ibsen
Per quelle strane coincidenze della storia,
capita anche che la tragedia ambientale dell’Ilva di Taranto, trovi
corrispondenza nella scrittura di Henrik Ibsen, a testimoniare come il
rapporto tra etica, natura e questioni economiche non sia solo una
problematica contemporanea. A raccontare questo intreccio ci pensa lo
spettacolo «Il nemico del popolo», portato in scena da Archivio Zeta da
oggi a domenica, alle 21 a Teatri di Vita (via Emilia Ponente 485, Bologna),
reinterpretando «En folkefiend/Un Nemico del popolo», scritto nel 1882
dal drammartugo norvegese.
La compagnia, fondata da Gianluca
Guidotti e Enrica Sangiovesi, si è fatta conoscere per le diverse
letture delle tragedie greche, rappresentate ogni estate al Cimitero
germanico della Futa. Qui invece i due affrontano una trama incentrata
sulla figura di un medico che, dopo una serie di esami, viene a scoprire
che le terme pubbliche, risorsa economica per la città, sono inquinate
dagli scarichi delle industrie. Da quel momento, con coraggio
intraprenderà la sua personale battaglia per rendere pubblico il
misfatto entrando in contrasto con il fratello, sindaco della città, e
con i giornali.
Del testo originario Archivio Zeta mantiene
quattro personaggi: il medico, uomo di scienza che cerca la verità; il
sindaco, rappresentante di un potere che tenta di occultare i fatti per
salvaguardare interessi politici ed economici; il proprietario di un
giornale che scende a compromessi; l’uomo comune. «Abbiamo operato un
vero e proprio restauro del testo, eliminando del tutto l’apparato
ottocentesco e ci siamo concentrati drammaturgicamente sui conflitti
sociali, etici e politici — spiegano Guidotti e Sangiovesi — . Uno dei
nodi del testo sono le parti relative alla descrizione delle analisi
chimiche e delle patologie legate agli inquinanti, scritte nel
linguaggio tardoottocentesco, che abbiamo chirurgicamente sostituito con
il lessico delle perizie presentate alla magistratura per la denuncia
della tragedia dell’Ilva di Taranto». Il linguaggio diventa fluido e più
chiaro allo spettatore contemporaneo, ma non cambiano i conflitti già
ben analizzati da Ibsen: salute/lavoro, ambiente/progresso,
democrazia/dittatura della maggioranza.
«Quello che mettiamo in
scena — proseguono i due — non offre soluzioni rassicuranti nelle quali
il pubblico possa trovare conforto e compiacimento autoassolutorio ma
pone, come nella tragedia greca, gli esseri umani di fronte alla loro
fragilità». In scena anche Alfredo Puccetti e Luciano Ardiccioni. Info:
051566330. (RepubblicaBO)
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