Ilva, “licenziamento illegittimo”. Ma per il giudice l’operaio non va reintegrato
Il licenziamento di Marco Zanframundo, ormai ex operaio del reparto Movimento Ferroviario (Mof) dell’Ilva è illegittimo.
Lo ha stabilito il il giudice del lavoro di Taranto Sebastiano Gentile
che, tuttavia, ha chiarito che non è stato un atto di ritorsione
dell’azienda nei confronti dell’operaio “scomodo” e quindi, appellandosi
alla riforma Fornero, non lo ha reintegrato. La sentenza emessa nelle
scorse ore dal giudice Sebastiano Gentile, infatti, da
un lato afferma con chiarezza che Zanframundo ha realmente commesso la
violazione contestata dai suoi superiori cioè di non aver effettuato “la prova dei freni”
necessari per avviare il mezzo, ma dall’altro lato ammette che
Zanframundo quella mattina non aveva compiuto le prove semplicemente
perché non lo aveva mai fatto. Insomma la pratica di sicurezza era stata
sempre inosservata, ma nel caso di Zanframundo diventa per la prima
volta di importanza tale da causare una misura disciplinare e poi un
licenziamento.
Nelle sei pagine del provvedimento il magistrato scrive che il licenziamento è illegittimo, dato che la nuova riforma Fornero prevede che, per ritenere un licenziamento illegittimo, come in questo caso, la mancanza del dipendente sia “sanzionabile oggettivamente, ma non soggettivamente”. Tradotto dal burocratese significa che quella violazione è oggettivamente vera, ma non può essere contestata a quel dipendente per una serie di motivi. “Zanframaundo – scrive il magistrato – con notevole probabilità, versava in tale condizione psicologica, quando la mattina del 9 agosto 2013, non si è attenuto alle istruzioni circa la verifica dell’impianto frenante del treno”. A sostegno il magistrato cita tre elementi: “La difesa da subito, schiettamente e continuamente impostata nel senso che si trattava di un controllo non continuo, la mancanza di precedenti sanzioni irrogate dall’Ilva, lo scollamento – scrive soprattutto il giudice – rispetto al modello manualistico che può essersi verificato di fatto, in alcune manovre del trasporto ferroviario”. Insomma, in riferimento a quest’ultimo punto, il giudice ha chiarito che sulla carta c’è scritto qualcosa (controllare lo stato dei freni), ma nella realtà della fabbrica avviene altro (nessuno controlla i freni).
Insomma, formalmente, la sentenza condanna l’Ilva a pagare diciotto mensilità a titolo di risarcimento a Zanframundo e, grazie alla legge Fornero, non è tenuta a riassumerlo. Sulla base delle testimonianze e degli atti, quindi, non è stato possibile accertare l’intento persecutorio sostenuto dal difensore Mario Soggia nei confronti di un operaio e sindacalista del’unione sindacale di base (Usb) che nel reparto Mof, in particolare dopo la morte di Claudio Marsella, il 29enne schiacciato da locomotore il 30 ottobre 2012, aveva più denunciato la mancanza di misure di sicurezza all’interno della fabbrica.
“Me l’aspettavo – aveva raccontato Marco Zanframundo a ilfattoquotidiano.it all’indomani del licenziamento – le nostre denunce e i nostri comunicati hanno fatto troppo rumore e così hanno voluto punire uno di noi. Inoltre dicevamo da tempo che senza un intervento qualcuno di noi avrebbe pagato: è toccato a me. Pensa che nei bagni era scritto: qualcuno chiedeva a un mio compagno di ‘andare a piangere’ perché ritirassero il mio licenziamento e io non avevo ricevuto ancora nessuna lettera. E poi – prosegue il dirigente Usb – oramai in reparto ero isolato: alcuni colleghi evitavano anche il mio sguardo”. Dopo la morte di Claudio Marsella, Marco aveva chiesto anche di cambiare reparto. “Il mio capo reparto mi disse che per me non era il momento mentre per lui potrebbe addirittura scattare la promozione a capo area. Io sono stato quello che ha sofferto di più la morte di Claudio: noi non eravamo solo colleghi. Qualche giorno fa ho ritrovato una sua foto mentre tiene in braccio mio figlio”. I sindacati confederali non hanno detto una parola: “E che ti aspettavi? Abbiamo denunciato le loro complicità con l’azienda, figurati se venivano in mio aiuto”. Zanframundo, poco dopo, incontrò anche l’ex presidente del consiglio Enrico Letta che, secondo quanto riportato dall’usb agli organi di stampa, aveva espresso la preoccupazione per il fatto che “a Taranto stia passando tra i cittadini ed i lavoratori l’idea che se ti metti contro il ‘Sistema Ilva’ vieni punito” e si impegnò “a chiedere rassicurazioni al Commissario Enrico Bondi”. (Casula - FQ)
Nelle sei pagine del provvedimento il magistrato scrive che il licenziamento è illegittimo, dato che la nuova riforma Fornero prevede che, per ritenere un licenziamento illegittimo, come in questo caso, la mancanza del dipendente sia “sanzionabile oggettivamente, ma non soggettivamente”. Tradotto dal burocratese significa che quella violazione è oggettivamente vera, ma non può essere contestata a quel dipendente per una serie di motivi. “Zanframaundo – scrive il magistrato – con notevole probabilità, versava in tale condizione psicologica, quando la mattina del 9 agosto 2013, non si è attenuto alle istruzioni circa la verifica dell’impianto frenante del treno”. A sostegno il magistrato cita tre elementi: “La difesa da subito, schiettamente e continuamente impostata nel senso che si trattava di un controllo non continuo, la mancanza di precedenti sanzioni irrogate dall’Ilva, lo scollamento – scrive soprattutto il giudice – rispetto al modello manualistico che può essersi verificato di fatto, in alcune manovre del trasporto ferroviario”. Insomma, in riferimento a quest’ultimo punto, il giudice ha chiarito che sulla carta c’è scritto qualcosa (controllare lo stato dei freni), ma nella realtà della fabbrica avviene altro (nessuno controlla i freni).
Insomma, formalmente, la sentenza condanna l’Ilva a pagare diciotto mensilità a titolo di risarcimento a Zanframundo e, grazie alla legge Fornero, non è tenuta a riassumerlo. Sulla base delle testimonianze e degli atti, quindi, non è stato possibile accertare l’intento persecutorio sostenuto dal difensore Mario Soggia nei confronti di un operaio e sindacalista del’unione sindacale di base (Usb) che nel reparto Mof, in particolare dopo la morte di Claudio Marsella, il 29enne schiacciato da locomotore il 30 ottobre 2012, aveva più denunciato la mancanza di misure di sicurezza all’interno della fabbrica.
“Me l’aspettavo – aveva raccontato Marco Zanframundo a ilfattoquotidiano.it all’indomani del licenziamento – le nostre denunce e i nostri comunicati hanno fatto troppo rumore e così hanno voluto punire uno di noi. Inoltre dicevamo da tempo che senza un intervento qualcuno di noi avrebbe pagato: è toccato a me. Pensa che nei bagni era scritto: qualcuno chiedeva a un mio compagno di ‘andare a piangere’ perché ritirassero il mio licenziamento e io non avevo ricevuto ancora nessuna lettera. E poi – prosegue il dirigente Usb – oramai in reparto ero isolato: alcuni colleghi evitavano anche il mio sguardo”. Dopo la morte di Claudio Marsella, Marco aveva chiesto anche di cambiare reparto. “Il mio capo reparto mi disse che per me non era il momento mentre per lui potrebbe addirittura scattare la promozione a capo area. Io sono stato quello che ha sofferto di più la morte di Claudio: noi non eravamo solo colleghi. Qualche giorno fa ho ritrovato una sua foto mentre tiene in braccio mio figlio”. I sindacati confederali non hanno detto una parola: “E che ti aspettavi? Abbiamo denunciato le loro complicità con l’azienda, figurati se venivano in mio aiuto”. Zanframundo, poco dopo, incontrò anche l’ex presidente del consiglio Enrico Letta che, secondo quanto riportato dall’usb agli organi di stampa, aveva espresso la preoccupazione per il fatto che “a Taranto stia passando tra i cittadini ed i lavoratori l’idea che se ti metti contro il ‘Sistema Ilva’ vieni punito” e si impegnò “a chiedere rassicurazioni al Commissario Enrico Bondi”. (Casula - FQ)
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