Taranto: gravi le parole del sindaco, confindustria replica
Chiudere l’area a caldo della grande fabbrica sarebbe secondo il sindaco
di Taranto la via di uscita ideale di tutta la complessa e delicata
questione ambientale, sociale, produttiva ed occupazionale dell’Ilva
di Taranto, divenuta non a caso una vertenza nazionale proprio perché
assume risvolti di abnorme portata. E’ quanto il primo cittadino ha
dichiarato ai giornalisti nel corso di un forum tenuto al “Corriere
del Mezzogiorno” di Puglia, in cui peraltro parla anche dei beni
archeologici, della rigenerazione del centro storico, del borgo e dei
rapporti col governo centrale. Si tratta, a parere di Confindustria
Taranto, di dichiarazioni estremamente gravi e destabilizzanti in una
fase delicatissima– che dura da oramai due anni – in cui la città sta
faticosamente tentando di ricostruire, mantenere e realizzare il
complesso e difficile connubio fra ambiente e lavoro che lo stesso
sindaco antepone da sempre a tutte le argomentazioni sulla vicenda
Ilva. Ancor più grave è la sua ammissione circa l’aver votato per la
chiusura dell’area a caldo in sede di referendum, che evidenzia
chiaramente un preoccupante “scollegamento” fra il volere del primo
cittadino e quanto invece la comunità richiede e continua a richiedere.
Non è giustificabile un approccio perennemente discontinuo,
estemporaneo e approssimato su problemi così grandi e vitali per la
città. Non è accettabile che tale approccio arrivi dal sindaco, che
dovrebbe reggere le sorti di una città complessa come Taranto con una
guida autorevole, una linea politica definita e riconosciuta e azioni
conformi e rispondenti alla linea tracciata. Ci spiace sottolineare
come sia proprio quest’ultimo il punto nodale – e mancante - che
continuiamo a riscontrare nell’attuale amministrazione cittadina:manca
una linea politica chiara e definita sui grandi temi che attengono il
futuro della città; manca una visione strategica e d’assieme che ne
sostenga i propositi e le azioni conseguenti; manca soprattutto una
reale connessione fra ciò che si dice e ciò che si attua realmente sul
territorio. Quanto il primo cittadino dichiara sulla questione Ilva,
infatti, è sconcertante soprattutto sul piano dell’assunzione delle
responsabilità. Quando conferma di non aver mai incontrato il
commissario Bondi (e chi, se non lui, avrebbe dovuto farlo?) e quando
attribuisce ad altri (“gli esperti”) la valutazione positiva circa la
chiusura delle cockerie, sottraendosi dall’obbligo di assunzione di
impegni istituzionali, il sindaco Stefano sembra più voler adottare
una linea auto difensiva a tutela della personale vicenda giudiziaria
che una reale tutela degli interessi della città. E’ altrettanto
spiacevole constatare, oltre alle dichiarazioni sulla questione
ambientale, come il primo cittadino affidi alle pagine di un giornale
quanto avrebbe potuto dichiarare – o far dichiarare a qualcun altro in
sua vece – al recente convegno di Confindustria sulla rigenerazione
della città vecchia, in cui era ancora una volta – sia pur
giustificato – assente. Nel merito, il sindaco Stefano attribuisce
l’impossibilità di realizzare il modello di risanamento già
sperimentato a Napoli trincerandosi dietro il parere negativo di
fantomatici e già più volte richiamati “tecnici ed esperti”, così come
peraltro attribuisce ad “esperti” il parere negativo sugli espropri. E
lecito chiedersi, a questo punto: se il complesso tema della
rigenerazione del centro storico viene affidato al parere dei tecnici,
la politica – detto in parole povere - cosa sta a fare? Qual è il
ruolo del sindaco e dei suoi assessori? Dove e quali sono le
sbandierate politiche di risanamento dell’amministrazione? Di tutto
questo il sindaco non fa menzione alcuna (e tantomeno “manda a dire”)
all’interno dei contesti deputati al dibattito ed alla ricerca di
soluzioni condivise, come, appunto, il convegno sulla rigenerazione del
borgo antico organizzato da Confindustria, in cui - alla reiterata
richiesta di progetti e proposte realizzabili e finanziabili da parte
dell’assessore Barbanente, relatrice ai lavori – e quindi di un
disegno strategico poderoso, condiviso e corale da parte di tutti gli
attori territoriali, Comune in primis, ha fatto da contraltare, da
parte dell’amministrazione cittadina, una debole elencazione di cose
fatte ma al contempo la totale assenza di linee strategiche chiare e
definite per la città vecchia. E’ lo stesso copione che rimanda ad
altre questioni fondamentali per il futuro assetto della città, come
il piano Cimino, in cui l’amministrazione “decide di non decidere” .
Ed è un copione che la città non può più permettersi: se Taranto, come
ha dichiarato il sindaco mutuando le parole del premier Renzi, deve
diventare “un modello da seguire”, vorremmo almeno capire a quale
modello stiamo guardando, e soprattutto cosa il Comune sta realmente
facendo per adottarlo e renderlo compatibile con la nostra realtà. (agenparl)
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