Nella lettera di un allevatore pubblicata sul Corriere del Giorno del 6 agosto e riportata in questo blog emerge la disperata richiesta di chi usa i (pochi) mezzi di cui dispone per togliersi il bavaglio della sottomissione e dell'omertà e denunciare la verità.
Alla faccia del ricatto occupazionale e della cronica fame di posti di lavoro para-assistenziali che ammorbano e invischiano qualsiasi discorso venga avanzato sull'ILVA e sul polo industriale in genere, questa volta parla un imprenditore piccolo piccolo, onesto e acculturato, che ha creduto nell'attività di allevamento e produzione casearia che ha ereditato con la masseria di famiglia.
Parla dei suoi sforzi per condurre l'impresa e garantire un lavoro vero e dignitoso ai suoi dipendenti. Parla delle contraddizioni di aree appestate di inquinanti che risultano vincolate come patrimonio ambientale nazionale. Parla del vincolo sanitario, della fine dell'attività, dell'imposto abbattimento e "smaltimento" di migliaia di animali (sì, sono animali, ma usare per creature ancora vive appellativi riservati ai rifiuti è un offesa alla natura e alla morale!).
Non sa perchè nessuno ha mai fatto niente, non capisce neanche con chi prendersela e a chi presentare il conto di vite sul lastrico.
Ma, lucidamente, ricorda a tutti con una citazione di Niemoeller che nessuno può sentirsi al sicuro in questa situazione e nessuno può esimersi dall'intervenire per difendere i diritti vivi degli altri che poi saranno anche i nostri.
I tarantini saranno capaci di superare il secolare habitus locale del "'cce mme ne ffutt'a'mmè"?
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