lunedì 16 febbraio 2015

I sogni e le letterine

Taranto ha un sogno dopo l’acciaio:i crocieristi al posto delle navi militari

Se i vertici della Marina Militare e il governo Renzi volessero tenere fede agli impegni assunti dal ministro Giovanni Spadolini trent’anni fa, dovrebbero restituire un pezzo di Taranto. La vecchia «banchina torpediniere» sdraiata nel Mar Piccolo ha ospitato le navi militari finché la flotta italiana non s’è spostata in Mar Grande. Ora è vuota, deserta. Nel 1985, quando arrivò a presiedere la cerimonia di posa della prima pietra della nuova stazione navale, Giovanni Spadolini, ministro della Difesa, rassicurò che la vecchia sarebbe tornata quel che era a fine Ottocento: un lungomare di Taranto. Dopo trent’anni di attesa l’Autorità portuale e il Comune di Taranto hanno sollecitato governo e Marina Militare a ricordarsene. L’ultima lettera è datata 14 gennaio 2015. La vecchia banchina, ristrutturata, potrebbe ospitare un terminal crociere e alcuni moli destinati ai maxi yacht. Questa è l’idea. Da anni si tratta. Nel 2012 si sembrava a un passo dall’accordo. Un piano di fattibilità è pronto dal marzo del 2013. Però la risposta da Roma non è ancora arrivata.
La Marina Militare non molla benché la vecchia banchina torpediniere sia abbandonata (il trasloco della flotta è avvenuto nell’estate 2004) e non possa attraccarci neppure un canotto. Una perizia ordinata dalla stessa Marina la considerava inidonea e pericolante già nel 2010. Potrebbe crollare, anzi è un miracolo che stia ancora in piedi. I 750 metri di banchina costruiti più di un secolo addietro nel Mar Piccolo, quindi nel ventre di Taranto e a pochi passi dal Museo archeologico, dal centro cittadino e dai Giardini Peripato - sono costeggiati da sei vecchi magazzini oggi inutilizzati e in cui si potrebbero ospitare strutture ricettive, hotel, centri commerciali ma anche una «dependance» del museo o un nuovo museo del mare. La società romana di ingegneristica Acquatecno, cui l’Autorità portuale si è rivolta per il piano di fattibilità, ha presentato uno studio di 114 pagine con diverse ipotesi sull’uso degli spazi. Previsti circa trenta milioni di investimento di cui 10-12 per demolizione e ricostruzione dei moli. Se ne farebbe carico l’Autorità portuale direttamente o coinvolgendo imprese private nella successiva fase di gestione. «Puntiamo ad attrarre un turismo di fascia alta, cioè maxi yacht o navi da crociera da duemila passeggeri» dice l’avvocato Sergio Prete, il presidente dell’Authority. «Non vogliamo sovrapporci a Bari con le grandi navi da crociera né a a Brindisi. Credo che Taranto diventerebbe l’unica città con un terminal crociere nel cuore dell’abitato».
L’Autorità portuale dovrebbe allargare la sua giurisdizione su una fetta del Mar Piccolo mentre sul molo San Cataldo, in Mar Grande, costruirà un terminal passeggeri preparandosi ad accogliere altre navi turistiche. Oggi il porto è agonizzante. Scarsi i traffici di merci industriali vista la crisi siderurgica, zero la movimentazione container poiché la Tct (Terminal Container Taranto) ha bloccato la sua attività. Eppure nel 2012 sembrava fatta. L’ammiraglio Andrea Toscano, numero uno del dipartimento Marina Militare - il comando con sede a Taranto e raggio d’azione in tutto il Sud - s’era evidentemente ricordato di Spadolini e appoggiava il progetto al punto da accettare l’ipotesi di infilare nel «pacchetto» anche San Paolo, la più piccola delle due isole militarizzate del Mar Grande (l’altra è San Pietro), appena cinque ettari legati il nome del generale-scrittore Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos, autore del romanzo «Les Liaisons Dangereuses». Andò tutto per il verso sbagliato, come sempre. Un contrordine romano riportò la vicenda al punto di partenza. Oggi, sul tavolo del ministero della Difesa e del capo di Stato maggiore della Marina Militare, l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, c’è la lettera firmata dal sindaco Ezio Stefàno e dal presidente del porto Sergio Prete. La situazione è paradossale. Se da un lato la Marina Militare è riuscita nell’intento di recuperare il castello aragonese, rendendolo un gioiello visitato gratuitamente da oltre 90mila persone l’anno, dall’altro recalcitra all’idea di restituire a Taranto quanto le fu assegnato alla fine dell’Ottocento per esigenze strategico-militari. Diventando la più grande base della Marina italiana, Taranto si ritrovò felicemente circondata di caserme, navi da guerra e dall’Arsenale Militare - 90 ettari - venendo materialmente separata da gran parte della sua costa nel bacino interno del Mar Piccolo con un muro, «il Muraglione», la cui costruzione cominciò nel 1885: 3250 metri di lunghezza, sette di altezza. Con la grande industria della Difesa si sviluppò il settore delle costruzioni navali, su cui l'economia si è retta fino agli anni Sessanta, sostituita poi dall'economia dell’acciaio, cioè l’Italsider-Ilva, piombata adesso in una crisi senza precedenti. E oggi - con la nuova stazione navale aggiunta alla vecchia - «il Muraglione» si è allungato: misura 7,9 chilometri. «Taranto, se arrivassero le navi da crociera - dice Prete - dovrebbe avere solo un po’ di pazienza e riabituarsi alla riapertura del ponte girevole e quindi a qualche disagio nel traffico stradale». Un tempo il ponte allargava di frequente le sue chele metalliche per fare entrare nel Mar Piccolo le navi militari. Oggi non più. Lo rendono impercorribile soprattutto le proteste operaie. (CdM)

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