Taranto ha un sogno dopo l’acciaio:i crocieristi al posto delle navi militari
Se i vertici della Marina Militare e il governo Renzi volessero tenere
fede agli impegni assunti dal ministro Giovanni Spadolini trent’anni fa,
dovrebbero restituire un pezzo di Taranto. La vecchia «banchina
torpediniere» sdraiata nel Mar Piccolo ha ospitato le navi militari
finché la flotta italiana non s’è spostata in Mar Grande. Ora è vuota,
deserta. Nel 1985, quando arrivò a presiedere la cerimonia di posa della
prima pietra della nuova stazione navale, Giovanni Spadolini, ministro
della Difesa, rassicurò che la vecchia sarebbe tornata quel che era a
fine Ottocento: un lungomare di Taranto. Dopo trent’anni di attesa
l’Autorità portuale e il Comune di Taranto hanno sollecitato governo e
Marina Militare a ricordarsene. L’ultima lettera è datata 14 gennaio
2015. La vecchia banchina, ristrutturata, potrebbe ospitare un terminal
crociere e alcuni moli destinati ai maxi yacht. Questa è l’idea. Da anni
si tratta. Nel 2012 si sembrava a un passo dall’accordo. Un piano di
fattibilità è pronto dal marzo del 2013. Però la risposta da Roma non è
ancora arrivata.
La Marina Militare non molla benché la vecchia banchina torpediniere
sia abbandonata (il trasloco della flotta è avvenuto nell’estate 2004) e
non possa attraccarci neppure un canotto. Una perizia ordinata dalla
stessa Marina la considerava inidonea e pericolante già nel 2010.
Potrebbe crollare, anzi è un miracolo che stia ancora in piedi. I 750
metri di banchina costruiti più di un secolo addietro nel Mar Piccolo,
quindi nel ventre di Taranto e a pochi passi dal Museo archeologico,
dal centro cittadino e dai Giardini Peripato - sono costeggiati da sei
vecchi magazzini oggi inutilizzati e in cui si potrebbero ospitare
strutture ricettive, hotel, centri commerciali ma anche una «dependance»
del museo o un nuovo museo del mare. La società romana di
ingegneristica Acquatecno, cui l’Autorità portuale si è rivolta per il
piano di fattibilità, ha presentato uno studio di 114 pagine con diverse
ipotesi sull’uso degli spazi. Previsti circa trenta milioni di
investimento di cui 10-12 per demolizione e ricostruzione dei moli. Se
ne farebbe carico l’Autorità portuale direttamente o coinvolgendo
imprese private nella successiva fase di gestione. «Puntiamo ad attrarre
un turismo di fascia alta, cioè maxi yacht o navi da crociera da
duemila passeggeri» dice l’avvocato Sergio Prete, il presidente
dell’Authority. «Non vogliamo sovrapporci a Bari con le grandi navi da
crociera né a a Brindisi. Credo che Taranto diventerebbe l’unica città
con un terminal crociere nel cuore dell’abitato».
L’Autorità portuale dovrebbe allargare la sua giurisdizione su
una fetta del Mar Piccolo mentre sul molo San Cataldo, in Mar Grande,
costruirà un terminal passeggeri preparandosi ad accogliere altre navi
turistiche. Oggi il porto è agonizzante. Scarsi i traffici di merci
industriali vista la crisi siderurgica, zero la movimentazione container
poiché la Tct (Terminal Container Taranto) ha bloccato la sua attività.
Eppure nel 2012 sembrava fatta. L’ammiraglio Andrea Toscano, numero uno
del dipartimento Marina Militare - il comando con sede a Taranto e
raggio d’azione in tutto il Sud - s’era evidentemente ricordato di
Spadolini e appoggiava il progetto al punto da accettare l’ipotesi di
infilare nel «pacchetto» anche San Paolo, la più piccola delle due isole
militarizzate del Mar Grande (l’altra è San Pietro), appena cinque
ettari legati il nome del generale-scrittore Pierre-Ambroise-François
Choderlos de Laclos, autore del romanzo «Les Liaisons Dangereuses». Andò
tutto per il verso sbagliato, come sempre. Un contrordine romano
riportò la vicenda al punto di partenza. Oggi, sul tavolo del ministero
della Difesa e del capo di Stato maggiore della Marina Militare,
l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, c’è la lettera firmata dal sindaco Ezio
Stefàno e dal presidente del porto Sergio Prete. La situazione è
paradossale. Se da un lato la Marina Militare è riuscita nell’intento di
recuperare il castello aragonese, rendendolo un gioiello visitato
gratuitamente da oltre 90mila persone l’anno, dall’altro recalcitra
all’idea di restituire a Taranto quanto le fu assegnato alla fine
dell’Ottocento per esigenze strategico-militari. Diventando la più
grande base della Marina italiana, Taranto si ritrovò felicemente
circondata di caserme, navi da guerra e dall’Arsenale Militare - 90
ettari - venendo materialmente separata da gran parte della sua costa
nel bacino interno del Mar Piccolo con un muro, «il Muraglione», la cui
costruzione cominciò nel 1885: 3250 metri di lunghezza, sette di
altezza. Con la grande industria della Difesa si sviluppò il settore
delle costruzioni navali, su cui l'economia si è retta fino agli anni
Sessanta, sostituita poi dall'economia dell’acciaio, cioè
l’Italsider-Ilva, piombata adesso in una crisi senza precedenti. E oggi -
con la nuova stazione navale aggiunta alla vecchia - «il Muraglione» si
è allungato: misura 7,9 chilometri. «Taranto, se arrivassero le navi da
crociera - dice Prete - dovrebbe avere solo un po’ di pazienza e
riabituarsi alla riapertura del ponte girevole e quindi a qualche
disagio nel traffico stradale». Un tempo il ponte allargava di
frequente le sue chele metalliche per fare entrare nel Mar Piccolo le
navi militari. Oggi non più. Lo rendono impercorribile soprattutto le
proteste operaie.
(CdM)
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