Sparito l’amianto dopo i lavori all’acquedotto
Nazareno Dinoi
INCHIESTA La Procura della Repubblica di Taranto iscrive nel registro degli indagati 13 imprese incaricate di sostituire le vecchie condutture di eternit e smaltire il materiale.
Hanno incassato centinaia di migliaia di euro per sostituire le vecchie condutture in fibre di amianto e ceramica, ma non esiste traccia dello smaltimento dei chilometri e chilometri di pericolosissimo materiale. Per questo la Procura della Repubblica di Taranto ha iscritto nel registro degli indagati 13 persone tra i rappresentanti delle imprese aggiudicatarie degli appalti e i dirigenti e tecnici dell’Acquedotto pugliese spa, la società mista controllata dalla Regione che gestisce il servizio idrico della Puglia.
Il pubblico ministero, Antonella Montanaro, che coordina l’inchiesta condotta dai carabinieri del Noe del Salento, ipotizza per loro, a vario titolo, i reati di illecito trasporto e smaltimento di rifiuti speciali e truffa ai danni dell’acquedotto pugliese. Dei 13 sotto inchiesta - che in queste ore stanno ricevendo l’avviso di garanzia - 9 sono ai vertici di uffici e settori dell’Aqp, mentre gli altri 4 sono tutti amministratori di altrettante Associazioni temporanee di imprese (Ati) con sedi nelle province di Lecce, Bari e in Emilia Romagna.
In concorso tra loro avrebbero gestito una truffa milionaria (quasi un milione di euro quelli riferiti ai soli primi tre mesi dell’anno), lucrando sui mancati e costosissimi smaltimenti nelle apposite discariche del materiale di risulta (tubi e laterizi) prodotto dai lavori di rifacimento e di bonifica della rete dell’acqua potabile in quasi tutti i comuni della provincia di Taranto e nella stessa città capoluogo. L’inchiesta del Noe, al comando del capitano Nicola Candido, è scaturita dai controlli di natura ambientale su una impresa coinvolta nello scandalo sospettata, appunto, di smaltire irregolarmente il materiale che produceva.
Dalle carte esaminate, relative a lavori già eseguiti e regolarmente pagati dall’ente pubblico alla società sotto esame, sarebbe emerso un intreccio che collegava decine di altre imprese pugliesi ed emiliane, tutte associate in Ati, con i colletti bianchi dell’Acquedotto pugliese la cui connivenza avrebbe permesso l’illecito guadagno. I dirigenti della spa partecipata dalla Regione Puglia, sostengono gli inquirenti, avrebbero volutamente omesso i controlli permettendo agli imprenditori di intascare denaro per lavori non eseguiti o peggio ancora di smaltire chissà dove le tonnellate di letale cementoamianto.
Il sospetto del Noe è che tale materiale sia stato triturato e utilizzato per riempire gli stessi scavi realizzati per interrare la nuova rete. Ora toccherà alla Procura tarantina approfondire le ricerche con perizie tecniche e carotaggi dei terreni sospettati di essere stati trasformati in cimiteri di pietrisco d’amianto.
Agli uomini del capitano del Noe, Candido, toccherà invece allargare le ricerche sui lavori affidati ad altre imprese impegnate in tutta la regione ad ammodernare una rete composta da 15mila chilometri di condutture gruviera. Negli ultimi cinque anni la società per azioni Aqp ha avuto a disposizione 1,2 miliardi di euro di stanziamenti europei, statali e regionali per tappare i buchi che disperdono quasi la metà della disponibilità idrica di una regione assetata e sprecona. (Terra)
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