L'Ilva ammette il disastro ambientale: "Pronti a patteggiare"
L'Ilva in amministrazione controllata ed affidata ai commissari del governo vuole patteggiare al processo "Ambiente svenduto" sul disastro ambientale consumato ai piedi del siderurgico più grande d'Europa. Una decisione clamorosa che tuttavia è coerente con le decisioni dei governi degli ultimi anni, che per far fronte alla situazione ambientale emersa dall'inchiesta, hanno fatto ricorso per sette volte a decreti d'urgenza e aggiornato l'Aia, l'autorizzazione integrata ambientale.Questa mattina all'udienza preliminare a carico di 52 imputati, di cui 3 società, per il disastro ambientale di Taranto, il professor Filippo Sgubbi e l'avvocato Angelo Loreto hanno chiesto al gup Vilma Gilli un rinvio in attesa che il ministero per lo Sviluppo economico autorizzi il patteggiamento della pena. Ilva spa, ora Ilva as, è accusata in base alla legge 321 sulla responsabilità delle aziende di associazione per delinquere, reati ambientali come inquinamento, reati contro la pubblica amministrazione come corruzione in atti giudiziari e due omicidi colposi per la morte di due lavoratori nel 2012.
Nel caso in cui il Mise autorizzi i legali a patteggiare, nelle prossime udienze accusa e difesa definiranno l'entità della sanzione amministrativa e pecuniaria da sottoporre al giudice. La richiesta di patteggiamento conferma la tesi che la procura sostiene dall'inizio dell'inchiesta: l'Ilva ha inquinato per anni risparmiando sugli investimenti ambientali e sulla manutenzione degli impianti.
Chiedendo il patteggiamento per la società Ilva, per la quale la Procura ha chiesto al gup il rinvio a giudizio, i commissari - si apprende da fonti vicine all'azienda - da un lato riconoscono le responsabilità della pregressa gestione dell'azienda e dall'altro evitano il processo. E' una opportunità che l'Ilva vuole cogliere, si afferma, anche per distinguere meglio la "vecchia" Ilva, per intendersi quella gestita dai Riva, Fabio e Nicola, coinvolti in questo processo insieme ad altri con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, dalla "nuova" Ilva, quella affidata dal Governo ai commissari pubblici, ovvero Piero Gnudi, Corrado Carrubba ed Enrico Laghi. Una mossa di discontinuità, dunque, ma anche di non conflitto verso la Procura di Taranto, visto che, si sottolinea, sia pure in ambiti e con ruoli diversi, i magistrati e i commissari rappresentano lo Stato.
L'evoluzione del patteggiamento prevede ora - questa almeno la traccia su cui si sta lavorando - che Ilva da un lato e vertici della Procura dall'altro (segnatamente il procuratore Franco Sebastio e l'aggiunto Pietro Argentino) presentino al gup in una delle prossime udienze un pacchetto concordato. Essendo l'Ilva una società, risponde in base alla legge 231 del 2011 sulla responsabilità delle imprese, e quindi la pena prevista in questi casi è una sanzione pecuniaria commisurata al capitale della società. Pena la cui entità non sarà comunque modesta. Previste anche sanzioni accessorie come la sospensione dell'esercizio dell'impresa, ma su quest'aspetto specifico si sta lavorando per trasformare quest'aspetto nella nomina di figure tecniche che controllino la situazione per conto dell'autorità giudiziaria. (Rep)
Patteggiamento Ilva, un punto di svolta
La
richiesta avanzata dai legali dell’Ilva Spa, di patteggiare la pena
nell’ambito dell’udienza preliminare per l’inchiesta “Ambiente
svenduto”, può tracciare uno spartiacque. Se la richiesta presentata al
Ministero per lo sviluppo economico venisse accolta anche dalla procura
jonica, ciò potrebbe portare a una sanzione pecuniaria di alcuni
miliardi di euro da destinare alla trasformazione del siderurgico e alla
realizzazione delle misure contenute nell’Aia.
Per questo, la richiesta dell’Ilva non costituisce solo un’ammissione
di responsabilità di fronte a reati molto gravi quali disastro
ambientale, omissione dolosa di cautele sul luogo di lavoro e,
soprattutto, avvelenamento di sostanze alimentari. Non costituisce solo
un decisivo passo avanti nell’accertamento delle condotte penali.
Potrebbe portare anche allo stanziamento di fondi concreti per
intervenire sul siderurgico. Il tutto, ovviamente, dipende dall’entità
della somma che nel caso verrà sancita quale pena.
Da
un punto di vista più strettamente penale, la richiesta di
patteggiamento avanzata dalla struttura commissariale che ora controlla
l’Ilva segna anche un passaggio rilevante nella storia del procedimento
“Ambiente svenduto”. Con tale mossa, che riguarda solo la società
imputata in quanto azienda, si separano i percorsi tra quella che
vorrebbe essere la nuova Ilva e le responsabilità individuali dei
dirigenti del Gruppo Riva. Per loro (i figli del patron dell’acciaio, i
dirigenti ufficiali e quelli “ombra” dello stabilimento, così come per
gli altri imputati) il procedimento continua in attesa del
pronunciamento del gup.
Tale
bivio rischia di aprire una forbice processuale. I reati contestati nel
procedimento “Ambiente svenduto” sono molto gravi. Lo è in particolare
l’avvelenamento di sostanze alimentari, che se associato a un
comportamento coscientemente doloso, e alla morte di più persone, quale
conseguenza di una propria attività inquinante, può arrivare addirittura
alla richiesta dell’ergastolo. Tuttavia, nei grandi processi ambientali
degli ultimi anni non si è mai arrivati a una sentenza del genere. Il
rischio invece è che di fronte a processi lunghissimi, che coinvolgono
molti imputati, e pool di avvocati con diverse strategie, i tre gradi di
giudizio oltrepassino i tempi della prescrizione.
Alla
lunga, anche il processo “Ambiente svenduto” potrebbe risolversi in un
nulla di fatto. Per questo, la richiesta di patteggiamento avanzata
dalla struttura commissariale che attualmente controlla il siderurgico
rappresenta una pagina importante. Comunque la si voglia interpretare,
pone un punto fermo in una città in cui, fino a pochi anni fa, veniva
deliberatamente negata anche la minima possibilità di inquinamento. (CdM)
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