mercoledì 29 aprile 2015

Galletti, il ministro dei potenti

L'ambiente è scomparso


Gian Luca Galletti, ministro dell’Ambiente in carica dal Renzi I, è tra i membri meno attivi dell’esecutivo. Pochi progetti di legge e almeno uno sponsor elettorale dubbio. Intervistato da Ae sui criteri di nomina della commissione VIA (guarda qui il video) annuncia imminenti riforme, che tardano a prendere forma. 



Dov’è finito il ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare?
Ripercorrendo le cronache di quest’anno e tre mesi di governo Renzi è una domanda spontanea. Soprattutto perché di “ambiente” questo esecutivo se ne è occupato -basti pensare alla legge “Sblocca-Italia” (cui abbiamo dedicato il libro “Rottama Italia”, 12 euro, 2015) e ai suoi effetti deleteri, o all’irrisolta questione dell’Ilva di Taranto-. 
Il titolare del dicastero si chiama Gian Luca Galletti, commercialista bolognese, già sottosegretario all’Istruzione durante il governo Letta e rappresentante, all’epoca della nomina, l’Unione di centro, divenuta poi Area Popolare. Su 102 progetti di legge di “iniziativa governativa” presentati dal 22 febbraio 2014 -data di nascita del “Renzi I”- ad oggi (Ae va in stampa il 20 aprile 2015), solo quattro -di cui uno peraltro tecnicamente “decaduto”- l’hanno visto in qualità di “primo firmatario”. Alla voce “Interventi su Disegni di legge”, invece, si conta una sola istanza, nel settembre 2014. Non che l’attivismo di un ministro debba ridursi all’iniziativa legislativa per decreto, anzi, ma che il ruolo ricoperto da Galletti sia attualmente condotto quanto meno sotto tono è pacifico. Chi ha provato a stimolarne una reazione è stata, insieme ad altri 14 colleghi parlamentari, l’onorevole Federica Daga (Movimento 5 Stelle) che l’8 aprile scorso ha depositato un esposto all’attenzione, tra gli altri, del procuratore capo della Procura di Roma, Giuseppe Pignatone e del presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, contenente  una serie di documentate segnalazioni riguardanti potenziali conflitti di interessi di alcuni componenti della Commissione nazionale valutazione d’impatto ambientale (VIA) in seno al ministero. Istituita nel 2007 e dal mandato triennale, la commisssione VIA è chiamata a valutare gli impatti di opere strategiche per il Paese e a monitorare l’effettiva “affidabilità” di chi le realizza alla luce delle prescrizioni (economiche o progettuali) impartite. Scorrendo le pagine dell’esposto si apprende però che -solo per il periodo compreso tra il 1989 e il 2000- “per 100 delle 175 opere realizzate e analizzate, il ministero (dell’Ambiente, ndr) ha ammesso di non conoscere l’esito delle prescrizioni ad oltre 13 anni di distanza dall’autorizzazione [...]. Complessivamente su 1.694 prescrizioni impartite, ne risultano ottemperate con certezza 539”. Tra i 50 “tecnici” che in questo momento stanno valutando con terzietà e competenza le 231 procedure “in corso” di VIA (5 pratiche relative ad aeroporti, 2 impianti chimici, 5 impianti eolici off-shore, 1 raffineria, 25 pozzi per la ricerca di idrocarburi, 1 rigassificatore e così via, dati del ministero dell’Ambiente al 20 aprile 2015, minambiente.it) ci sarebbero commissari che sono contemporaneamente soci di importanti società di progettazione, talvolta consorziate ad esempio con Anas, una società tra quelle sottoposte a procedure di VIA. L’esposto ha preso la forma di interpellanza parlamentare, il 16 aprile scorso, rivolta direttamente a Galletti.  Intervistato il giorno seguente e sullo stesso punto da Altreconomia, il ministro Galletti non ha di fatto smentito l’esistenza di un “problema” all’interno della Commissione VIA -peraltro scaduta da un anno-, annunciando infatti l’imminente pubblicazione del “bando per la selezione dei componenti della commissione per la valutazione d’impatto ambientale”. “Per la prima volta -ha detto il ministro- ci saranno una serie di incompatibilità e di requisiti richiesti per farne parte”.
Annunci a parte, quel che resta sul tavolo è interrogarsi sull’eredità di un sistema che fino ad oggi non ha evidentemente funzionato. O l’ha fatto secondo logiche diverse dal principio immaginato. È credibile una sospensione delle opere valutate precedentemente dai soggetti potenzialmente interessati da un conflitto di interesse?, abbiamo chiesto a Galletti. “No, non abbiamo neanche avuto richieste di tal genere, neanche dal dottor Cantone -ha risposto-. E comunque non avremmo lo strumento per poterlo fare”. Nessuna moratoria, dunque, nemmeno dopo le inchieste giudiziarie (una su tutte “Sistema”, che ha riguardato l’ex dirigente del ministero delle Infrastrutture Ercole Incalza) che hanno dimostrato la fisiologica stortura della filiera delle “grandi opere”.


“Io non voglio mettere l’ambiente contro le grandi opere -ebbe a dire Galletti ospite a La7 nel novembre 2014-. Io sono disponibile a fare le grandi opere se queste non hanno un impatto sull’ambiente. E ho degli elementi per verificarlo: le valutazioni di impatto ambientali”. Ecco, a pochi mesi di distanza, i dati raccolti nell’esposto, che il ministro non ha smentito, l’hanno contraddetto. Ma decisioni conseguenti, anche retroattive, non sono in agenda. Tra i poteri del ministro ci sarebbe, ad esempio, la destituzione dei commissari più “compromessi”, come già accaduto quando in via Cristoforo Colombo era insediato Andrea Orlando, poi traslocato al ministero della Giustizia. Gualtiero Bellomo, già membro della commissione di VIA-VAS (valutazione ambientale strategica), venne infatti “sospeso” per sei mesi a seguito di una manifesta “inopportunità” sorta dopo il suo coinvolgimento nell’inchiesta sul Tav di Firenze. Questo strumento, però, sembra non interessare al momento al ministro Galletti.
Anche la struttura del ministero merita uno sguardo. L’ufficio legislativo, che tra le altre cose “coordina e definisce gli schemi dei provvedimenti normativi promossi dal ministro” ed “esprime parere sui problemi giuridici, sull’attività amministrativa di particolare rilevanza per il ministero e su ogni altro affare che il ministro ritenga di affidargli”, è coordinato -per decreto di Galletti del 15 aprile 2014-  dal magistrato amministrativo Alfredo Storto, già capo dell’identica struttura presso il ministero per la Pubblica amministrazione e la semplificazione. Storto anima ancora oggi il comitato scientifico della fondazione Magna Carta -che fa capo al senatore Gaetano Quagliariello (vedi Ae 141, settembre 2012)- in materia di “riforma della giustizia”. Tra i soci fondatori di Magna Carta, però, c’è il colosso Erg -attiva dall’eolico al termoelettrico-, i costruttori di Salcef Spa -che sul suo sito ha una sezione dedicata alle “grandi opere”-, e la Securfin Holdings Spa -di Letizia e Gianmarco Moratti-.

Il capitolo finale riguarda l’Ilva di Taranto e un dettaglio poco conosciuto che coinvolge personalmente anche il ministro dell’Ambiente. Nella “dichiarazione delle spese sostenute e delle obbligazioni assunte per la propaganda elettorale” pubblicata dall’allora parlamentare Gian Luca Galletti erano stati indicati due “contributi” di 30mila e 20mila euro da parte rispettivamente dalla Simbuleia spa e dalla S.E.C.I. spa, entrambe con sede a Bologna. 
La prima -che si occupa per statuto di “servizi amministrativi, contabili e finanziari”- è detenuta dalla una fiduciaria (Euromobiliare Fiduciaria spa) e in minima parte da Romano Conti, commercialista bolognese che risulta tra i fondatori -insieme a Piero Gnudi- dello Studio Gnudi e Associati.
Lo stesso Gnudi, già ministro nel governo Monti,  che nell’estate 2014 verrà nominato dal governo Renzi “commissario straordinario per la Ilva Spa”. La seconda è la holding del Gruppo Industriale Maccaferri, gigante che spazia dall’ingegneria ambientale -Officine Maccaferri, che conta impianti dotati dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA) riconosciuta dal ministero dell’Ambiente- all’energia, dal tabacco -Manifatture Sigaro Toscano Spa- all’agroindustria e zuccherifici -Eridania-.
(Altreconomia)

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