...sarà un caso che il "ministro" Fitto sia di Maglie?
Grandi opere: la Puglia perde 720mln
di MASSIMILIANO SCAGLIARINI
Se quella delle infrastrutture è la cura che il governo mette in campo per l’economia italiana, allora alla Puglia spetta un blando sedativo: appena 274 milioni di euro su un totale di 10,6 miliardi che la scorsa settimana il Cipe ha messo a disposizione per aprire nuovi cantieri. Ma, e questo è più grave, rispetto agli accordi firmati un anno fa con il governo Prodi, ci sono 720 milioni di euro in meno: venerdì scorso, con un colpo di penna, lo Stato ha cancellato i finanziamenti a 24 progetti. Medio-piccoli dal punto di vista del valore economico, grandi sotto il profilo dell’importanza strategica.
IL CONFRONTO - La cifra (720,13 milioni) emerge dal confronto che la «Gazzetta» ha fatto tra il piano Cipe di venerdì 6 e l’accordo di programma Stato-Regione che la Puglia ha firmato nel 2007 (e poi rivisto nel 2008) con l’allora ministro Antonio Di Pietro. Un accordo da 1,389 miliardi che attingeva, sostanzialmente, agli stessi fondi cui ora ha attinto il Cipe: i Fas (Fondi per le aree sottoutilizzate) e le risorse della programmazione europea 2007-2013. Nel giro di un anno, però, i fondi Fas di competenza statale hanno subito una corposa quota dimagrante che ha quindi alleggerito la disponibilità per le Regioni. Vediamo perché.
LE CIFRE DEL PIANO - Il piano presentato venerdì dal Cipe, come ha fatto notare il «Sole-24 Ore», vale in realtà 10,8 miliardi e non 16,6, perché circa 6 miliardi arriveranno da investimenti privati. La quota di Fas destinata alle infrastrutture è di 8,7 miliardi: ai 12,3 di partenza bisogna infatti sottrarre i 3,6 miliardi che la legge ha destinato alle Fs (per pagare i treni dei pendolari) ed alla Tirrenia (i traghetti). Aggiungendo i 2,1 miliardi che l’ultima Finanziaria ha destinato alla legge Obiettivo, ecco i famosi 10,8 miliardi.
LE INCOGNITE - I 16,6 miliardi (10,8 più 5,8 che alcuni privati investiranno in autostrade) non sono stati assegnati a singole opere. Il Cipe ha definito soltanto un lungo elenco di progetti, suddivisi per tipologia, che rappresentano le priorità: per soddisfarle ci sono 2 miliardi per le strade, 2,75 per le ferrovie, 1,51 per le reti di trasporto, 150 milioni per gli schemi idrici, 1,3 miliardi per il Ponte sullo Stretto... Se ci si diverte a sommare il valore di progetto delle varie opere, si ottiene una cifra superiore ai 40 miliardi: 3-4 volte la disponibilità.
DUE OPERE - In questo elenco la Puglia compare due volte: il nodo ferroviario di Bari (apparentato con quello di Cagliari, che però è solo un’idea) e il raddoppio della statale Maglie-Leuca. La disponibilità finanziaria, come detto, non è stata ancora definita: avverrà in sede di sottoscrizione dei nuovi accordi di programma Stato- Regione. Ma, stando a quanto anticipato nei giorni scorsi dal ministro Raffaele Fitto, dovrebbero esserci 136 milioni per la Maglie- Leuca e 138 per il nodo di Bari: 274 milioni.
I «RESTI» - A quei 274 milioni ne vanno aggiunti altri 395 che sono stati assegnati al nodo di Bari con il Pon Trasporti: saliamo così a 669 milioni. Ci sarebbero pure i 111,55 milioni che la Regione investirà sulla Maglie-Leuca, soldi disponibili fin dal 2002 che quindi non rientrano in questa partita. Ma anche volendo considerarli (il che equivarrebbe a sommare pere con banane), il discorso resta pressoché uguale: oggi come oggi restano disponibili solo i 914 milioni che provengono dalla quota regionale dei Fas (la lista delle opere è nella pagina accanto).
IL VECCHIO ACCORDO - L’accordo del 2007-2008 con Di Pietro metteva in campo, come detto, 1,389 miliardi di fondi «nazionali»: sottraendo i 669 milioni disponibili oggi, si ottengono appunto 720 milioni di minori finanziamenti. Cosa significa, all’atto pratico? Significa che rimangono senza copertura finanziaria alcuni progetti strategici per lo sviluppo della regione. Per il turismo: niente soldi alle strade che portano a San Giovanni Rotondo. Per la sicurezza: tagliati i finanziamenti alla Casamassima- Putignano (una delle tante strade della morte) e alla vatiante Toritto-Modugno sulla statale 96. Per la mobilità urbana: a secco la terza mediana bis di Bari e la tangenziale Ovest di Foggia. E poi, niente soldi allo sviluppo del porto di Taranto: niente dragaggi, niente bretella ferroviaria, niente opere per la protezione dal moto ondoso, addio al nuovo centro servizi di San Cataldo.
LE CONSEGUENZE - Negli ultimi 10 anni, dicono gli esperti, la Puglia ha assistito più volte a questo tira e molla di progetti che compaiono e scompaiono dalla lista dei finanziamenti. Il fatto è che le opere non sono tutte uguali, perché alcune hanno un significato strategico fortemente legato al momento storico. Torniamo al caso di Taranto, che nel 2006 è diventato il secondo porto d’Italia dopo Genova: come potrà continuare a crescere, se i fondali restano a 14 metri e non consentono l’ingresso delle navi più grandi? Perché i cinesi di Hutchison, che hanno rilevato la Tct, dovrebbero scommettere sullo scalo pugliese se (oltre a non esserci l’acqua corrente) non è possibile sfruttare lo scambio intermodale nave-ferro? Sono solo due esempi. Ma ogni rigo di quella tabella racchiude una possibilità di crescita del territorio. Ogni rigo cancellato è un ostacolo che resta sulla strada dello sviluppo.
(La Gazzetta del Mezzogiorno)
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