Bagnoli, 300 ettari di occasioni perdute
Oggi Bagnoli (300 ettari di occasioni perdute) è un pantano d'inverno e una crosta lunare d'estate. La memoria della fabbrica (Ferropoli) è affidata solo ai documenti custoditi nel grande archivio dell'Italsider.
È notizia di qualche giorno fa che l'Ilva di Taranto ha messo in cassa integrazione ottocento operai in seguito alla crisi dei settori auto, elettrodomestici ed edilizia che si alimentano di ferro e di acciaio. La storia si ripete, sia pure a distanza di decenni. La crisi dell'Italsider di Bagnoli (ex Ilva) fece il suo debutto ufficiale il «martedì nero» del 3 novembre del 1981, quando Gianni De Miche-lis, ministro delle Partecipazioni statali nel governo Craxi, venne a Bagnoli ad annunciare agli operai riuniti in assemblea che l'altoforno chiudeva, anche se nulla era ancora perduto, perché era in progetto un nuovo treno di laminazione. Il fotografo Luciano Ferrara fu pronto a immortalare l'avvenimento.
L'OPERAIO - Racconta un operaio: «Capimmo subito che la dismissione era alle porte». Comincia dalla fine, dall'agonia di Bagnoli, Il cuore e l'acciaio, il lungo documentario che Aldo Zappalà ha realizzato per ‘‘La storia siamo noi'' di Giovanni Minoli, con la collaborazione di Mario Leombruno, Luca Romano e Assia Petricelli (i telespettatori lo vedranno su RaiTre il 18 marzo alle ore 8,05 e il 19 marzo alle 0,40). Oggi Bagnoli (300 ettari di occasioni perdute) è un pantano d'inverno e una crosta lunare d'estate. Nel ventre cavo dell'altoforno rimasto in piedi si può ascoltare la voce del vento. A ridosso della palazzina di Bagnolifutura è stato sistemato l'ospedale delle tartarughe. Qualche cantiere è aperto (della Porta del Parco, della Cittadella dello Sport), il resto è un tragicomico sovrapporsi di intenzioni che puntualmente finiscono nel nulla o quasi (vedi la colmata, gli Studios, il Museo del Mare, ecc).
LA MEMORIA DELLA FABBRICA - La memoria della fabbrica è affidata ai documenti custoditi nel grande archivio dell'Italsider. Qui ha lavorato proficuamente Ermanno Rea per scrivere il suo romanzo La dismissione e qui Aldo Zappalà ha messo insieme tasselli preziosi per il suo documentario che è anche la storia della industrializzazione e deindustrializzazione di Napoli. L'Ilva nacque all'inizio del Novecento in seguito alla legge speciale per Napoli che vedeva nell'acciaio il volano dell'industrializzazione di un Sud dilaniato dalla miseria contadina e dalla massiccia immigrazione verso le Americhe (in quegli anni Napoli fu il più grande porto migratorio del mondo). L'abbondanza dei suoli, il mare a ridosso, la ferrovia per Roma, fecero di Bagnoli il luogo ideale per impiantarvi una cokeria, anche se Lamont Young, nel suo progetto di risanamento di Napoli dopo la stagione del colera, aveva fantasticato di una città termale a Coroglio, con grandi alberghi e canali come a Venezia. Quando lo stabilimento fu inaugurato nel 1910 così titolò Il Mattino: «Una grande festa del lavoro napoletano».
FERROPOLI - Bagnoli diventò in breve Ferropoli. Città color ruggine, con le spiagge mangiate dal ferro e la crescita di una classe operaia combattiva. Nel '68 e dintorni diventarono familiari i cortei dei caschi gialli nel cuore di Napoli, con gli striscioni rossi e il battere ritmato dei tamburi di latta al Rettifilo, anche se la crisi della siderurgia era ancora lontana. Nel 1970 Pier Paolo Pasolini realizza per Lotta continua un film-inchiesta sulla condizione operaia in Italia (soggetto e sceneggiatura sono di Giovanni Bonfanti e Goffredo Fofi). Sette minuti sono dedicati a Bagnoli (nel documentario di Zappalà ne vedremo uno stralcio). Sette minuti drammatici, sul filo della retorica populista di quegli anni, con un operaio che vorrebbe raccontare la sua rabbia di disoccupato ma vi riesce a stento, perché un malattia gli impedisce di esprimersi compiutamente. Non si conteranno all'Italsider gli incidenti sul lavoro, con morti tragiche nelle officine o in prossimità dell'altoforno, anche se la fabbrica è una casa-guscio per gli operai che la mattina mettono la moka a bollire sulla ganga incandescente.
LA COLATA - Ricorda un ex-addetto alla colata: «La sirena segnava l'inizio e la fine dei turni, ma quando suonava fuori orario significava che c'era un morto». In fabbrica ci si ‘‘affidava'' a una Madonna in ghisa, la cosiddetta Madonna Ilvana (da Ilva), tanto che molte ragazze di Bagnoli si chiameranno Silvana o addirittura Ilvana. L'agonia della fabbrica ha risvolti involontariamente comici. 21 luglio del 1983: un nutrito gruppo di operai vola a Bruxelles per farsi ricevere dai rappresentanti della Comunità Europa nel tentativo di rinviare la chiusura della fabbrica. Già il viaggio si rivela avventuroso, con l'aereo che sbarella pericolosamente sulle Alpi. Ma le sorprese devono ancora venire. Quel giorno di luglio è festa nazionale in Belgio. Gli uffici della Cee sono chiusi. Gli operai napoletani marceranno in vie deserte dietro gli striscioni della Fiom, con i rari passanti che li guardano sbalorditi. Il documentario, realizzato in collaborazione con Bagnolifutura e l'Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa, è ricco di interviste (tra gli altri: ad Antonio Bassolino, Aurelia Del Vecchio, Antonio Donnarumma, Domenico De Masi, Gianni De Michelis, Luciano Ferrara, Emanuele Imperiali, Marino Niola, Mimmo Pinto).
Sergio Lambiase per Corriere del Mezzogiorno
Nessun commento:
Posta un commento