mercoledì 18 aprile 2012

La morte si colora di acciaio

Morte bianca in Ilva, tre condanne
Pollice verso per un dirigente e due capi reparto. Assolto il direttore dello stabilimento

Sono tre i responsabili di una morte bianca avvenuta all’Ilva circa sei anni fa. E’ quanto si evince dalla sentenza emessa ieri dal giudice monocratico del Tribunale di Taranto Fulvia Misseri a conclusione del processo sull’infortunio in cui perse la vita un operaio, Vito Antonio Rafanelli, 33 anni, di Molfetta.
Il giudice, accogliendo la richiesta del pm Remo Epifani, ha condannato a un anno e quattro mesi di reclusione (pena sospesa) per omicidio colposo tre imputati, il dirigente responsabile dell’area tubifici Ilva, Antonio Mignogna e i capi reparto del Tubificio 2, Angelo Raffaele Solito e Siro Cantiani.
Assolto “per non aver commesso il fatto”, invece, il direttore dello stabilimento, Luigi Capogrosso (gli imputati erano difesi, fra gli altri, dall’avvocato Egidio Albanese). Anche per lui il pm aveva chiesto la condanna.
Inoltre, il giudice ha disposto il pagamento di una provvisionale di oltre 10.000 euro e la trasmissione degli atti alla Procura per le valutazioni relative alla posizione di due persone.
La sentenza ha scritto la parola fine sulla triste vicenda dell’operaio Rafanelli, morto il 22 agosto 2006 nel reparto di rianimazione dell’ospedale Santissima Annunziata. Era stato ricoverato cinque giorni prima in seguito all’infortunio verificatosi nel Tubificio 2.
Da quanto emerso dalle indagini, il giovane aveva subito lo schiacciamento del torace mentre lavorava nei pressi della cianfrinatrice (una macchina che avvolge in cilindri le lamine di acciaio). Era impegnato nella smussatura dei bordi dei tubi mossi da appositi rulli sino all’imbocco della macchina. Da quanto si legge nel capo d’imputazione, “un truciolo, di scarto della lavorazione, posizionatosi dinanzi ad un sensore aveva determinato il rallentamento o l’arresto della fase di avanzamento dei tubi ed indotto il Rafanelli, rimasto solo nella posizione di comando ad intervenire personalmente e a frapporsi sulla traiettoria d’ingresso del tubo che, rimosso l’impedimento, veniva sospinto dai rulli della macchina smussatrice investendo l’operaio”.
Le condizioni dello sfortunato lavoratore furono giudicate subito gravissime e ogni tentativo di salvargli la vita si rivelò inutile. Anche il gesto generoso dei colleghi di lavoro della donazione del sangue non servì ad evitare il tragico epilogo.
L’infortunio costato la vita all’operaio fu uno di una lunga serie che in quel periodo inasprì i rapporti fra Ilva e sindacati.

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