venerdì 24 luglio 2009

Scrive un operaio del sud

di Giuseppe Oliveri

Dal lontano 1861, unità d’Italia, che la nostra terra, come tutto il meridione, è stata considerata come una colonia; allora dai sogni espansionistici dei Savoia fino ad arrivare agli affaristi senza coscienza né conoscenza dei giorni nostri. Non è certo per negligenza nostra che siamo arretrati in infrastrutture, ricchezza pro-capite e altro, noi che abbiamo “l’arte di arrangiarci” per ogni bisogno, ed è proprio a causa dello stato d’abbandono istituzionale che abbiamo evoluto tale arte, come se non fossimo mai stati veramente italiani, come fossimo la servitù nella dependance della villa d’Italia. E’ triste scrivere questo, ma se nel 2009 sopravviviamo ancora in questa situazione non è solo responsabilità delle mafie, quella è stata una conseguenza all’abbandono in cui versiamo. E cos’hanno pensato questi arrivisti patentati e parentati: di distruggerci definitivamente. Non basta più sfruttarci alla bisogna, ora si è passati allo scoperto; ci regalano una morte lenta e genetica, che ti entra nel DNA, sotto forma di progresso, perché per regalare energia elettrica alle loro imprese, alle loro fabbriche, hanno bisogno di un luogo lontano per sfornare detta energia, egregio esempio di decentralizzazione, e poco importa se popolazioni a volte millenarie, scenari e paesaggi incantevoli, prelibatezze naturali scompariranno poco dopo il loro insediamento. Cosa resterà della nostra Puglia e di tutto il Sud Italia? Quando torno nella nostra terra mi viene un nodo in gola. Piazzeranno sul nostro suolo inceneritori di tutti i tipi e nomenclature per incrociar affari e quindi aver l’appoggio delle mafie locali, col grande business dei rifiuti. C’appesteranno l’aria con sostanze cancerogene che lasceremo come eredità ai nostri figli, deprederanno di ogni marchio di qualità i nostri prodotti, distruggeranno i nostri paesaggi, le nostre carni e i nostri ortaggi che ancora hanno un gusto succulento. Saremo destinati a un futuro d’emigrazione, o per meglio dire a una continuità perché in vero non abbiamo mai smesso di allontanarci malvolentieri dalla nostra terra, per riempire il vuoto lasciato dalla gioventù del nord che neanche lontanamente si sogna di essere operaia, continuiamo ad esser servitù. E’ rabbia quella che mi porta a scrivere queste righe, anch’io lavoro al nord come operaio e riesco a constatare che di miei colleghi solo l’1 per cento è del posto, e così è anche nelle altre fabbriche. Ci vogliono manovalanza nella loro terra, riservandoci un’accoglienza degna della loro freddezza. Andremo in una terra che ha bisogno di noi ma allo stesso non ci vuole, ci denigra e non si vergogna di manifestarlo, almeno coloro che non vogliono far parte passiva dello scempio delle nostre lande. E come me si sveglieranno malinconici guardando un sole velato dalla nebbia o dai fumi delle fabbriche, mangeranno senza avvertire alcun gusto e piangeranno all’uscita del supermercato per quanto li han svenato, ma soprattutto sarà indescrivibile e insopportabile la lontananza dalla famiglia, dagli amici e dal nostro stile di vita. Io ancora ci spero nel riuscire a lavorare e vivere nella mia terra, se avessi la possibilità non ci penserei un attimo, ma non con i presupposti di far diventare la mia terra un inceneritore, e questa vuol’essere un’esortazione ad emergere dalla catalessi e dall’inerzia, si deve lottare contro queste scelte coatte, l’ho faccio anch’io che vivo a 700 chilometri da casa. Facendo eco al direttore: alziamo la Testa, costruiamo un futuro per noi e per i nostri figli, sarebbe meraviglioso non esser più costretti ad emigrare e guardare sempre i nostri splendidi tramonti che preannunciano nuove albe.

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