Taranto, «per l'acciaio se la crisi perdura il 2012 un anno nero»
Quale futuro per Alenia?
Di Vittorio Massanelli si apprezza sempre quel tratto umano che tempera la scorza ruvida del sindacalista di lungo corso. Dalla scorsa estate la sua esperienza è di nuovo al servizio della Fim Cisl, come commissario. In un momento difficile: «Dobbiamo rendere efficace l’azione sindacale con una serie di azioni concrete. E dobbiamo restituire alla Fim Cisl il ruolo che storicamente le compete».
La Fim Cisl un tempo maggioranza nello stabilimento siderurgico, la Fim Cisl di Mimmo D’Andria, il sindacato bianco caro all’arcivescovo Guglielmo Motolese e che spiegò le ragioni della fabbrica a papa Paolo VI quel Natale del 1968, Natale tra gli altoforni.
Massanelli, azioni concrete. Per esempio sul «tempo tuta». Lei invita la Fiom Cgil ad essere realista sulla necessità di chiudere un accordo con l’Ilva, ma si rischia la spaccatura. «Facciamo un po’ di conti: l’Ilva deve mettere sul piatto 25 milioni di euro per i lavoratori se stringe l’accordo sul “tempo tuta”. Che facciamo? Rinunciamo? La proposta di quantificare a un euro e 80 centesimi il tempo trascorso dall’arrivo in fabbrica al lavoro effettivo è una proposta insufficiente. L’Ilva è disponibile alla discussione, ma dice no a un testo dell’accordo che favorisca il contenzioso».
E lì comincia il dissidio con la Fiom Cgil… «Non è uno scandalo dire che sono d’accordo con l’azienda. E spiego il perché facendole una domanda. Secondo lei, un sindacato e un sindacalista, deve privilegiare le cause giudiziarie o gli accordi sindacali? Se un lavoratore non accetta l’intesa può sempre rivolgersi al giudice. E i contenziosi riguardano, per la stragrande maggioranza dei casi, lavoratori già in pensione. Poi, mi scusi: torno al ragionamento fatto in precedenza. Come si fa a sostenere la politica dei contenziosi di cui, inevitabilmente, beneficerebbe l’Ilva? Sa perché dico questo? Perché senza un accordo l’azienda non dovrebbe scucire quei 25 milioni di euro di cui parlavamo. E sui contenziosi non è automatico il sì del giudice del lavoro. Chi sarebbe favorito da tutto questo: l’azienda o i lavoratori?»
All’Ilva la crisi si fa sentire. Lei crede sia vicina una nuova ondata di cassa integrazione? «Voglio dire prima una parola netta, tornando al “tempo tuta”. O si chiude in fretta la trattativa oppure sarà la crisi a creare un contesto sfavorevole alla conclusione della trattativa. Quanto alla crisi, anche qui voglio essere netto: nessuna cassa integrazione fino a fine anno. Ma se la situazione di crisi perdura, il 2012 non sarà un anno facile per il lavoro al’Ilva. Il pericolo più grande rimane la stagnazione. Cioè il radicarsi della crisi, il suo diventare permanente, il suo abbassare in via definitiva i livelli produttivi con contraccolpi occupazionali serissimi. Ecco quindi che i sindacati sono chiamati a un grande atto di responsabilità, anche in un passaggio decisivo».
Quale? «In fabbrica c’è la necessità di verificare la piena applicazione degli accordi. Spesso nella gestione degli accordi emerge una differenza rispetto alle intese firmate. Questo sul piano delle relazioni industriali non è normale. Bisogna neutralizzare questa differenza».
Chissà cosa penseranno Fiom e soprattutto Uilm di questa valutazione… «Credo non avrebbero difficoltà a pensarla così. Un sindacato ha interesse a rendere sistematica la corretta esigibilità degli accordi. Fuori dal sindacalese: gli accordi si rispettano sul campo, in fabbrica. E noi dobbiamo vigilare…».
E il problema ambientale? «Non si può liquidare con una battuta. Le dico, rispetto a tutto il sistema industriale tarantino, che va perseguita la strada dell’eco-compatibilità. Fino in fondo, fino a vedere che è impossibile da seguire e solo allora pensare ad altro. Ma io ho fiducia. Lavoratori e cittadini hanno diritto a lavorare nelle migliori condizioni ambientali possibili. Le giro l’ultima domanda, a lei che è giornalista. L’eco-compatibilità è davvero contraria all’interesse dei cittadini?» (GdM)
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